La Commissione europea ha posto una serie di condizioni alla Georgia per diventare Paese candidato all’ingresso nell’Ue. La numero sette cita Nika Gvaramia. Il fondatore e direttore di Mtavari Arkhi, canale televisivo critico nei confronti del governo, da quasi un anno si trova in carcere, come l’ex presidente Mikhail Saakashvili, di cui durante il primo mandato è stato ministro dell’Educazione e della Giustizia. L’accusa è di aver usato a fini privati un’auto aziendale: è stata una condanna politica e come tale è considerata a livello internazionale, da Amnesty al Dipartimento di Stato americano, che ha recentemente sanzionato i vertici del sistema giudiziario di Tbilisi perché collusi agli oligarchi.
La candidatura georgiana era stata recapitata a Bruxelles praticamente insieme a quella di Ucraina e Moldavia, a cui il Consiglio europeo lo scorso giugno ha conferito lo status tanto ambìto. Si raggelava invece il sogno della repubblica caucasica, dove oltre l’ottanta per cento dei cittadini nei sondaggi dichiara che vorrebbe entrare nell’Ue, l’istituzione di cui si fidano di più in assoluto. In quell’occasione, riconosciuta la «prospettiva europea» del Paese, si subordinava lo scatto nel processo d’integrazione alle dodici priorità stilate dalla Commissione. Non sono seguiti progressi. Anzi. A scatenare le proteste di marzo è stata una legge sugli «agenti stranieri», poi ritirata, che sembrava copia-incollata da Mosca.
Torniamo alle criticità da sanare. Si prescrive una riforma della magistratura, di migliorare gli strumenti per contrastare la corruzione e la criminalità organizzata. La settima è quella che disegna un ecosistema mediatico «libero, pluralistico e indipendente». Si legge: «Le autorità dovrebbero fermare le indagini e i processi contro le testate critiche. Una dimostrazione della volontà politica del governo potrebbe essere il rilascio di Nika Gvaramia». Il parere di Bruxelles invocava la grazia presidenziale che, a differenza di altri obiettivi quantificati in mesi, può «essere esercitata in qualsiasi momento».
Era giugno. Da allora, la presidente georgiana Salomé Zourabichvili ha promesso la liberazione del giornalista. Ha invitato gli alleati europei a smetterla con le pressioni: se ne sarebbe occupata presto. Si è fermata alle parole, però. A Pasqua (pochi giorni fa nel calendario ortodosso) Zourabichvili ha concesso la grazia a dieci prigionieri, ma non a Gvaramia. Negli stessi giorni, ha cancellato un viaggio a Strasburgo. Era attesa all’Europarlamento, avrebbe dovuto parlare alla plenaria. Il discorso fantasma è stato un piccolo mistero tra i corridoi. La presidente ha incolpato il governo, che a sua volta ha subito smentito, di aver «artificialmente prolungato il processo di approvazione» della missione. Ufficialmente, solo rinviata.
Il rinvio sarebbe legato (anche) al caso di Gvaramia, secondo la sua avvocata Tamta Muradashvili. «Zourabichvili sapeva di dover portare qualcosa a Strasburgo, una decisione pratica. Quella decisione avrebbe dovuto essere la grazia a Nika, poi ha cercato di dare la colpa al governo, ma è falso. Penso sia un altro esempio delle menzogne della presidente quando cerca di dipingere un disaccordo con l’esecutivo. Allo stesso modo, ha provato a mentire ai nostri partner internazionali», spiega Muradashvili a Linkiesta. «La tempistica e le modalità dell’arresto di Nika sono direttamente collegate allo status di Paese candidato», aggiunge la moglie dell’ex ministro, Sofia Liluashvili.
Le condizioni di salute del giornalista, al momento, sono buone. È stato incarcerato il 16 maggio 2022; deve scontare una pena di tre anni e mezzo. «Nika era un bersaglio per gli oligarchi e il regime russo fin dall’inizio – continua Liluashvili –. Lui non ha mai chiesto la grazia, perché non è un criminale né un malvivente. Ma il perdono presidenziale avrebbe dimostrato che c’è ancora qualcuno nel Paese che tiene all’Occidente. La presidente, con queste tattiche, finge solo di farlo. Non sono sicura quale sia il gioco, ma riguarda gli oligarchi». Anche la mancata grazia, per Muradashvili, «è stata una decisione politica».
La strategia di Zourabichvili, e del partito Sogno Georgiano al potere, sarebbe questa: tenere l’oppositore in carcere, come vogliono gli oligarchi, e cercare di non implementare le indicazioni della Commissione. Per la classe dirigente, la cui vera agenda secondo Muradashvili è non portare il Paese dentro l’Ue, è quasi una «situazione win win». La stasi non deve dispiacere a Vladimir Putin e se alla fine Bruxelles cedesse, e finisse per concedere lo stesso lo status, la maggioranza potrebbe rivendicare di aver raggiunto l’obiettivo agognato dalla popolazione. Quanto a una sentenza della Corte suprema, «non abbiamo più speranze, perché la magistratura è dominata dal clan».
Quando Gvaramia è stato arrestato, a maggio 2022, la Russia sembrava poter vincere la guerra. Un anno dopo, la sta perdendo e su Viale Rustaveli, il Maidan georgiano, la società civile ha protestato brandendo la bandiera europea contro le cannonate ad acqua della polizia in assetto antisommossa. A conferma, se altre ne servissero, che quelle dodici stelle dorate su campo blu rappresentano più che mai un simbolo, un futuro ambìto, di democrazia e libertà. «Tutto ciò che sanno i giovani della Russia è che uccide ed è una nazione terrorista – riflette la moglie del dissidente –. Che Nika sia in prigione o fuori, il suo obiettivo è sempre stato liberare la Georgia dalla Russia. Combatte per la civiltà, per un futuro migliore. È la stessa cosa che hanno chiesto le persone che sono scese in strada a marzo».
Liluashvili paragona la vicenda di suo marito a quella di Vladimir Kara-Murza, giornalista russo condannato a venticinque anni di reclusione. «Un quarto di secolo solo per la libertà di parola. È esattamente quello che volevano fare con mio marito, ma fortunatamente per lui non si trova nella Russia di Putin, ma qui in Georgia, dove siamo sotto ai burattini di Putin e non a Putin in persona, e abbiamo ancora una possibilità». Per Muradashvili nel movimento c’è l’eredità politica di Gvaramia: «È una continuazione logica della protesta cominciata con Nika undici anni fa. Era da solo a gridare che Bidzina Ivanishvili (fondatore di Sogno Georgiano, ndr) era un oligarca russo e che la Georgia sarebbe stata trascinata verso la Russia. La gente si è svegliata e si è accorta che era vero».
Quelle piazze testimoniano che un avvenire diverso è ancora possibile? «Penso proprio di sì, ma deve accadere presto, perché non abbiamo altro tempo da perdere. È un momento decisivo per il Paese: o andiamo verso l’Europa o restiamo con la Russia», spiega Liluashvili. Dall’Ue si aspetta di più, magari sanzioni mirate, come ha fatto Washington. Nel nostro continente, la resistenza di Kyjiv sta aiutando Tbilisi: «Ho smesso di dire “se l’Ucraina vincerà”, perché credo che vincerà e sarà una vittoria anche per la Georgia». Rispetto a un anno fa, c’è anche un mandato d’arresto internazionale che pende sul dittatore russo. «Volevano rendere la Georgia una scatola nera, ma la politica globale sta mandando sufficienti segnali sul fatto che Putin sarà sconfitto e con lui i suoi mandatari in giro per il mondo».
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