Sono quasi quindici anni che la Russia tratta la Georgia come una provincia del proprio impero. Tbilisi si è piegata alle esigenze russe grazie a una politica del bastone (l’occupazione del venti per cento del Paese nei territori separatisti dell’Abkhazia e Ossezia del Sud) e della carota (una forte dipendenza economica e il supporto alla parte più corrotta della classe politica, incarnata dal partito Sogno Georgiano e dall’oligarca Bidizina Ivanishvili). Mosca sfrutta sapientemente le divisioni interne al piccolo Paese montano e la sua dipendenza economica dal gigante russo: basti pensare che la metà dei 4,4 miliardi di dollari mandati a casa da lavoratori e lavoratrici georgiane all’estero proviene dalla Russia.
Popolo filoeuropeo, governo corrotto
Complice anche una politica europea a volte assente e priva di strumenti con i quali spingere vigorosamente per il rientro della Georgia sulla traiettoria di democratizzazione, Tbilisi è rimasta alla mercé delle politiche di influenza russe, palesi o corruttrici che esse siano. Lo shock della guerra del 2008, al netto degli errori commessi dalla leadership georgiana e la scelta comprensibile dell’Occidente di evitare un’escalation, ha fatto sfumare per la Georgia la prospettiva di qualsivoglia protezione europea nel caso di uno scontro politico con Mosca. Tutto ciò, paradossalmente, avviene nonostante il forte sentimento filoeuropeo del popolo georgiano.
Ciò ha fatto scivolare il Paese verso il tipo di palude politica perfetta per gli strumenti meno coercitivi nell’armamentario politico russo. Mosca interloquisce direttamente con Ivanishivili, eminenza grigia del governo, tramite canali ufficiosi come oligarchi e affaristi. In più, l’autoritarismo del governo e la fortissima polarizzazione fra società civile e classe politica ostacolano la nascita di qualsiasi visione di politica alternativa allo status quo.
Anche se sulla carta la Georgia rimane impegnata nel processo di integrazione europea, de facto è da anni che il governo si spende per un riavvicinamento alla Russia: Ivanishivili stesso si è impegnato in prima persona in colloqui bilaterali a Ginevra fra i due stati, che tecnicamente non intrattengono rapporti diplomatici dal 2008.
Questo sviluppo è parecchio apprezzato dalla Russia, che vede in Tbilisi un pilastro fondamentale della propria politica regionale. Dal 24 febbraio 2022, la quantità di cargo in partenza dalla Georgia per la Federazione Russa è aumentata di circa un terzo, e la tirannia della geografia impone che la maggior parte del commercio proveniente dalla Turchia (che non ha adottato le sanzioni) transiti da qui.
Un’altra importante novità nel rapporto è la presenza di centinaia di migliaia di esuli fuggiti dalla Russia per evitare il reclutamento. Secondo la politica di centrodestra Nona Mamulashvili, quasi l’otto per cento di chi attualmente vive in Georgia è un cittadino russo arrivato dopo il 24 febbraio: un numero enorme che ha già avuto pesanti effetti sul mercato del lavoro e degli affitti. In più, Mosca non può essere assente da una zona geografica così importante per i rapporti Est-Ovest: basti pensare alla ferrovia Baku-Tbilisi-Kars o al corridoio energetico meridionale, che partendo dall’Azerbaigian sfocia nel Tap in Puglia.
Riassestamento delle sfere d’influenza
Ma qualcosa è cambiato in Georgia e nella regione. Nella visione del mondo russa, il Caucaso rappresenta uno spazio geopolitico nel quale il Cremlino si aspetta una totale assenza di rivali. La Federazione Russa si vede come arbitro regionale che si riserva il diritto di intervenire nelle questioni che infiammano il Caucaso quando ne va delle priorità fondamentali della politica estera russa. Per anni ciò ha significato gettare benzina sul fuoco e provocare (o tollerare) escalation che richiedessero un intervento russo, rendendo la Russia un «attore indispensabile».
Con l’affacciarsi di nuove potenze come l’Iran e la Turchia, questa funzione insostituibile è tuttavia venuta meno. Nel conflitto fra Armenia e Azerbaigian, Mosca ha avuto un ruolo ben minore rispetto al passato nei negoziati fra i due Stati. È notevole anche che Tbilisi abbia votato a favore della risoluzione Onu che condanna l’invasione del 24 febbraio (una scelta diplomatica che verosimilmente appariva inevitabile perfino agli occhi di Mosca) ma che abbia disertato le risoluzioni sulle violenze in Iran.
L’incapacità (o mancanza di volontà) da parte di Mosca di investire in soluzioni politiche durature nella regione si sta tramutando in una evidente debolezza, e l’egemonia russa è erosa al punto da non garantire più un supporto sine die per la politica del Cremlino. L’improvvisa debolezza militare russa poi non aiuta: pur rimanendo la maggiore potenza della regione, Mosca non può attualmente permettersi di distrarre risorse convenzionali dall’Ucraina.
Un futuro diverso
Queste dinamiche sono emerse con particolare virulenza di Georgia. L’accelerazione (relativa) del processo di adesione all’Ue per Moldavia e Ucraina, unita alla solidarietà popolare nei confronti di Kyjiv e i disagi causati dai profughi russi, hanno riacceso la speranza per un futuro diverso e lontano dall’ombra della Russia. Questa instabilità arriva al momento sbagliato per Mosca, che si trova all’improvviso a dover gestire una crisi profonda per la quale non ha necessariamente gli strumenti.
Quello che Mosca può fare a questo punto è raddoppiare il proprio investimento nelle parti di classe dirigente a lei più congeniale, e spingere affinché la Georgia rimanga un Paese istituzionalmente compatibile con gli strumenti della politica estera russa: oligarchico, corrotto e autoritario. L’offerta di rilanciare rapporti diplomatici diretti e di restituire voli diretti fra i due Stati sono modi con cui la Russia spera di poter cementare la propria presenza informale, rafforzando la mano della coalizione di governo nella dialettica interna alla Georgia.
La legge sugli “agenti stranieri” passata da Sogno Georgiano, e ritirata dopo le proteste di questi giorni, va vista in questa ottica: rappresentava un ostacolo artificiale posto del governo per allontanare definitivamente il Paese dal percorso dello status di candidato all’Unione europea, con la quale gli alleati della Russia a Tbilisi cercano di garantire la propria permanenza nella sfera di influenza di Mosca.
L’obiettivo ultimo, sia per il Cremlino che per i suoi accoliti, è insomma quella di preservare l’attuale status quo e mantenere l’attuale politica di appeasement nonostante le pressioni della piazza. Quanto Ivanishvili e i suoi sostenitori siano effettivamente agenti del governo russo, o se si tratta di una semplice convergenza di interessi fra Mosca e i cleptocrati al potere in Georgia, rimane un punto di domanda significativo.
Una variabile sarà la capacità di Unione europea e Stati Uniti di sostenere politicamente le opposizioni democratiche. Il rischio è che con la fine del rapporto imperiale fra Russia e Georgia, Mosca decida che l’alternativa migliore a una Georgia completamente assoggettata sia una Georgia politicamente instabile ed economicamente al palo.