Quesiti linguisticiI diversi nomi dell’ora libera a scuola, spiegati dall’Accademia della Crusca

Da Nord a Sud, ci sono diverse alternative per indicare quella parte della giornata in cui una classe o un insegnante sono liberi dalla lezione. Ma tutto ruota intorno al sostantivo «buco»

(Unsplash)

Tratto dall’Accademia della Crusca

Alcuni lettori e alcune lettrici chiedono delucidazioni su quale sia la forma corretta da utilizzare tra ora buca, ora buco, ora di buca e ora di buco per indicare l’ora in cui una classe o un insegnante sono “liberi” dalla lezione e quale sia il plurale in caso di più ore.

Risposta
Nelle scuole di qualsiasi ordine e grado (e non di rado anche all’università) è possibile che l’orario di lavoro giornaliero di un/una docente non sia continuativo (per es. il lunedì mattina la professoressa Rossi insegna italiano alla prima e alla seconda ora e storia alla quarta) o che una classe rimanga, come si dice in gergo scolastico, “scoperta” (ossia priva dell’insegnante) per un’ora o più (per es. il professor Bianchi è in malattia e martedì non potrà svolgere le sue due ore di matematica).

Queste due situazioni, seppur diverse (la prima riguarda infatti l’orario lavorativo dell’insegnante, la seconda quello della classe), in ambito scolastico vengono solitamente denominate nello stesso modo, ossia con le espressioni riportate nei quesiti che ci sono pervenuti (ossia ora buca, ora buco, ora di buca e ora di buco). Tuttavia, è difficile stabilire quale sia la forma più giusta perché, come vedremo, il quadro dipende da diversi fattori interni ed esterni alla lingua: 1. l’ampio ventaglio di possibilità alternative (oltre alle espressioni elencate, si hanno anche locuzioni più generiche, per es. ora libera e ora di pausa, o di tipo gergale, come ora di spacco); 2. la possibilità di riscontrare la stessa situazione anche in altri mestieri (si pensi a chi lavora in esercizi commerciali o in punti vendita come i supermercati che spesso ha un orario lavorativo definito spezzato, ossia diviso in due o più turni durante la giornata e quindi con diverse pause prolungate); 3. la mancanza di una denominazione ufficiale da parte del Ministero (si parla piuttosto di ora a disposizione che è tuttavia differente: in questo caso l’insegnante deve essere presente a scuola per svolgere ad esempio supplenze in altre classi); 4. la presenza della componente regionale che esercita un forte influsso sul lessico (e non solo) della nostra penisola (cfr. la risposta su Regionalismi e geosinonimi di Raffaella Setti).

Prima di analizzare singolarmente le diverse denominazioni al fine di caratterizzarle con più attenzione da un punto di vista linguistico, teniamo presente che il punto di partenza sia il sostantivo buco (derivato da buca) nella sua accezione di ‘intervallo di tempo libero in un orario di lavoro’ (Zingarelli 2023).

Ora di buco
La locuzione ora di buco (sostantivo + preposizione + sostantivo), al plurale ore di buco, non è attestata dalla lessicografia italiana (né s.v. ora né s.v. buco), nonostante la presenza di circa 9.090 risultati (5.790 al plurale) nella pagine italiane di Google (stringa di ricerca: “ora di buco” + “scuola” per evitare espressioni concorrenti con diversa accezione; data 15/9/2022).

In italiano, la polirematica risulta attestata già intorno agli anni Settanta del Novecento (come suggeriscono testimonianze certe dalla Toscana). Una ricerca su Google libri ci offre un esempio leggermente più tardo, tratto da un’opera teatrale risalente al 1987:

GIUSEPPE – (vinto dall’insistenza di Elisa, si dispone a raccontare l’episodio) Dunque. Un mattino, durante un’ora di buco, la bidella mi dice che la preside mi vuol parlare. (Stefania Porrino, Lilli, “Ridotto”, 10-11 (1987), p. 87; l’autrice è romana)

Dello stesso anno è anche un articolo di Andrea Binazzi, autore toscano, intitolato L’ora di buco, (“Belfagor”, 42/6, pp. 717-721), in cui l’autore si riferisce alla vicenda burocratica dell’ora di religione nell’orario scolastico. Più sicuro è questo esempio tratto da un articolo apparso sulla “Repubblica” (l’espressione compare anche in un articolo del 1985, ma in un senso leggermente diverso):

Si decida questo e la questione è risolta. Per la parte ideologica s’intende. Perché poi non mi possono chiedere di fare ogni giorno solo la prima e l’ultima ora lasciandomi tre ore di buco nel mezzo (Luca Villoresi, ‘Io difendo la libertà’ dei ragazzi, “la Repubblica”, 10/10/1987; nell’articolo si parla di un’insegnante di religione del liceo Virgilio di Roma)

Si hanno poi molti esempi negli anni Novanta, la cui quasi totalità proviene da Roma:

Nelle ore di buco o a ricreazione, stilavamo sottovoce gli elenchi e, in una sarabanda capricciosa influenzata dagli umori del momento, i nomi degli invitati rimbalzavano dal capo della lista alla fine, e viceversa. (Maria Grazia Cessese Serrao, L’estate degli inganni, Roma, Il Ventaglio, 1992, p. 23; alla riga precedente appare scritto “Terenzio Mamiani”, probabilmente l’autrice fa riferimento al liceo romano omonimo)

Nelle ore di buco sto spesso con Diotallevi, il professore di educazione fisica che ha da fare ancora meno del solito (Marco Lodoli, Grande Circo Invalido, Torino, Einaudi, 1993, p. 88; l’autore romano ha insegnato fino allo scorso anno, per decenni, alla scuola Sandro Pertini di Roma)

Non voglio dire che non esistono insegnanti/massaie che arrivano con trafelato ritardo dopo aver accompagnato i figli a scuola, corrono in classe a lavorare, sgattaiolano nell’ora di buco per fare un po’ di spesa o pagare bollette (Conversazione con Domenico Starnone: il sottile dispiacere dell’ironia, a cura di Paola Gaglianone, Roma, Omicron, 1996, p. 29; Starnone è nato a Napoli, ma ha insegnato a lungo nelle scuole di Roma)

E sapevo che la Brosnan, la nostra prof. di biologia, se ne andava in giro quando aveva un’ora di buco in cerca di studenti che avevano fatto sega (Conor McPherson, Il pergolato di tigli, traduzione di Alfredo Rocca, Roma, Gremese Editore, 1999, p. 13; l’esempio è marcato diatopicamente per via dell’espressione fare sega ‘marinare la scuola’, tipica di Roma e dell’Italia centrale)

Gli esempi, come mostrato, sono quasi tutti riconducibili all’area romana e toscana (ve ne sono anche altri, non riportati, provenienti da Grosseto e Velletri; preziosa anche una testimonianza orale dalla zona del Valdarno aretino). È possibile, dagli anni Duemila in poi, che l’espressione si sia diffusa su larga scala nel territorio nazionale per via del ruolo di Roma, città in cui ancora oggi si è mantenuta la preferenza per tale forma, come dimostrano questi esempi recenti:

In questo caso si può coprire l’ora di buco, ma non si può chiamare un supplente (Diana Romersi, Visconti senza insegnanti. Solo un’ora di Dad al giorno, “Corriere della Sera”, 21/1/2022, p. 3; il Visconti è un liceo di Roma)

La docente del liceo Righi che ha detto a una studentessa con la pancia scoperta, «ma che stai sulla Salaria?», subirà una sanzione disciplinare. La commissione Scuola della Regione Lazio, invece, ne parlerà in una riunione. I fatti risalgono a lunedì: la supplente era entrata nell’aula durante un’ora di buco e aveva visto la ragazza, R., 16 anni, con l’ombelico scoperto intenta a ballare per un video da postare su TikTok. «Stavo recitando una canzone di Sanremo», dirà poi lei (Valentina Lupia, Una sanzione disciplinare per la prof del Righi, repubblica.it, 17/2/2022; anche il Righi è un liceo romano)

Ora di buca
Si tratta di una locuzione analoga alla precedente (al plurale ore di buca), ma raramente attestata. Sulle pagine in italiano di Google si hanno soltanto 1.460 risultati per il singolare e 1.410 per il plurale (stringa di ricerca, anche stavolta: “ora di buca” + “scuola”, 14/9/2022). Su Google libri il primo e unico risultato risale al 1999:

Il ragazzo (con l’aria di chi si vuole scusare): «Li faccio a scuola, nell’intervallo o durante le ore di buca quando mancano gli insegnanti oppure quando sono interrogati gli altri» (Maria Rita Parsi, Trilogia della città di R., Milano, Mondadori, 1999, p. 61; l’autrice è una nota psicologa romana)

Si hanno poi altre poche attestazioni nel XXI secolo, tra cui è interessante la testimonianza di una studentessa di un liceo di Torino che ha svolto nel 2011 uno stage all’Università Tor Vergata di Roma:

Magari tra un cosa e l’altra c’era un’ora di ‘buca’, magari dovevamo aspettare che cuocessero i vetrini, forse si potevano ridurre le ore in generale (Studenti-ricercatori per cinque giorni, a cura di Liù M. Catena, Francesco Berrilli, Ivan Davoli, Paolo Prosposito, Milano, Springer, 2014, p. 227)

Ci riporta al Piemonte anche l’unico esempio presente sulla “Repubblica”, in cui si possono leggere le parole di una studentessa di Novi Ligure (AL):

Monica Pisani, Ilaria Mondo e Rita Gazzo, frequentano la quarta A dell’istituto professionale commerciale Boccardo di Novi; dicono che a Milano neppure ci pensano: «Io e Monica, faremo Economia e commercio; Rita, Giurisprudenza. A Genova è meglio: nelle ore di buca possiamo andare al mare» (Bruno Persano, E a Novi Genova ha perso il suo appeal, repubblica.it, 8/10/2000)

Di primo acchito sembrerebbe un’espressione propria dell’area piemontese (almeno a Torino e a Novi Ligure), con un’attestazione anche in area romana. Nella capitale (ma non solo), infatti, buca è abbastanza vitale in alcune espressioni gergali, per es. dà(re) buca ‘mancare a un appuntamento’, fà(re) la buca ‘aspettare a lungo qualcuno’ (quest’ultima più giovanile; cfr. Vocabolario del romanesco contemporaneo di Paolo D’Achille e Claudio Giovanardi). È vitale, invece, in fiorentino l’esclamazione fa buca ‘di luogo in cui arrivi continuamente gente di ogni genere (sottintendendo che spesso si tratta di persone un po’ particolari)’ (cfr. Vocabolario del fiorentino contemporaneo di cui è responsabile Neri Binazzi).

Ora buco
La locuzione ora buco, formata da due sostantivi, può essere interpretata come un composto di tipo subordinativo, in cui il secondo elemento svolge la funzione di complemento (l’ora del buco nell’orario lavorativo) e vi è l’omissione della preposizione (ora di buco > ora buco ≈ capo della fila > capofila), o come un composto appositivo, in cui sempre il secondo elemento può determinare il significato del primo svolgendo una funzione quasi aggettivale (la stessa formazione, ad esempio, di madre coraggio). Prima di verificarne la diffusione sul territorio italiano, vediamo come si forma il plurale. Di norma i composti subordinativi e appositivi lasciano invariato il secondo elemento (ora buco – ore buco sul modello di capofila – capifila, madre coraggio – madri coraggio), ma non sono estranei casi in cui si volge al plurale proprio il secondo elemento lasciando immutato il primo (ora buco – ore buco → ora buchi sul modello di fondovalle – fondivalle → fondovalli, su cui cfr. S. C. Sgroi, Risposta ai quesiti di vari lettori sul plurale di fondovalle, “La Crusca per voi”, n. 54 (2017), p. 15).

Inoltre, non si esclude del tutto neanche la possibilità di volgere al plurale entrambi gli elementi, soprattutto se si interpreta il composto come di tipo coordinativo (ora buco – ore buchi sul modello di studente lavoratore – studenti lavoratori). Un’altra tendenza dell’italiano contemporaneo, che si individua soprattutto nelle classi nominali, è quella dell’invariabilità (ora buco – ore buco → le ora buco sul modello di fondovalle – fondivalle → i fondovalle), che in questo caso è, però, poco probabile. In questo mare magnum di possibilità sarebbe preferibile la forma ore buco. La prevalenza di questa forma è in effetti testimoniata anche dalle pagine in italiano di Google (i cui risultati, ricordiamo, non sono molto affidabili, ma ci forniscono comunque un’indicazione): l’unico plurale che produce abbastanza risultati è infatti ore buco (stringa di ricerca “ore buco” + “scuola”: 2.150 risultati; “ore buchi” + “scuola” e “ora buchi” + “scuola” hanno circa 10 risultati ciascuno, mentre “le ora buco” + “scuola” nessun risultato). Specifichiamo che la forma singolare (“ora buco” + “scuola”) ha circa 8.910 risultati (tutti i dati sono aggiornati al 15/9/2022).

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