«Erbalus è uva bianca così detta, come Albaluce, perché biancheggiando risplende: fa li grani rotondi, folti e copiosi, ha il guscio, o sia scorsa dura: matura diviene rostita, e colorita, e si mantiene in su la pianta assai: è buona da mangiare, e a questo fine si conserva: fa li vini buoni e stomacali».
È questa la prima menzione all’Erbaluce di cui esista documentazione certa, ed è contenuta in un testo del duca Carlo Emanuele I di Savoia risalente al 1606. Ma questo vitigno autoctono è di origini ben più antiche, e con grande probabilità era coltivato già dai Salassi, popolazione di origine celtica che abitava il Canavese prima dell’avvento dei Romani.
Questo territorio è sempre stato uno snodo di fondamentale importanza, conteso tra i popoli come luogo di passaggio e di sosta prolungata: vero e proprio corridoio tra Piemonte e Valle d’Aosta, si presta alla comunicazione con i Paesi d’oltralpe offrendo al contempo una ricchezza di ambienti naturali e microclimi che hanno favorito nei secoli la coltivazione della vite, innegabile protagonista del paesaggio canavesano.
La zona di produzione dell’Erbaluce comprende trentasette comuni situati tra Ivrea e Caluso, cuore della Docg (ottenuta nel 2010). L’origine del nome è fonte di dibattito: i più razionali preferiranno associarlo al colore ramato dei grappoli maturi, ma a noi piace credere alla romantica leggenda che attribuisce la nascita del vitigno alle lacrime della ninfa Albaluce, figlia dell’amore tra Alba e Sole.
Con poco più di duecento ettari coltivati a pergola (topìa), occupa una minima parte del panorama vitivinicolo piemontese ma suscita un enorme interesse grazie all’importante acidità affiancata alla mineralità elevata: queste peculiarità vengono sfruttate per creare una vasta gamma di stili, dal bianco secco, sapido e complesso, al passito dolce ed equilibrato, passando per uno spumante dal perlage fine e persistente.
E se la produzione di vino bianco non ha avuto successo fino alla fine degli anni Novanta – complici un’attrezzatura rustica e una vinificazione mediocre – il passito realizzato con tecniche secolari gode di una popolarità decisamente consolidata. I grappoli raccolti a mano vengono fatti asciugare in locali ventilati detti “passitaie”, dove rimangono distesi sui graticci o appesi per il peduncolo per circa cinque mesi, per poi essere sottoposti a pigiatura e fermentazione. Il trascorrere del tempo (almeno 36 mesi, 48 per la tipologia riserva) arrotonda e ingentilisce gli aromi, donando note di frutta matura smorzate da quella fresca acidità che inibisce la stucchevolezza. La dolcezza armonica di questo prodotto si sposa benissimo con la pasticceria secca piemontese, dai canestrelli alle paste di meliga, ma ancor meglio con gli erborinati e con i formaggi stagionati delle valli canavesane.
La tipologia spumante compare negli anni Sessanta (parallelamente al bianco secco): prodotto esclusivamente con il metodo classico con seconda fermentazione in bottiglia di almeno 15 mesi, l’Erbaluce spumante è una splendida alternativa ad altre denominazioni consolidate sul suolo italiano. Nonostante la stragrande maggioranza subisca un affinamento sui lieviti inferiore ai 18 mesi, alcune cuvée vengono lasciate in cantina per oltre 75 mesi offrendo una proposta completamente diversa: un vino complesso e vellutato con aromi di nocciole, agrumi e acacia, perfetto per l’aperitivo ma anche come accompagnamento agli antipasti di pesce, ai risotti e ai secondi di carni bianche.
Sebbene abbia riscosso i primi risultati pregevoli solo di recente, la vinificazione del bianco da tavola è iniziata nel dopoguerra grazie al sostegno di Adriano Olivetti: «Serve una cantina che possa raccogliere le uve di tutti i viticoltori canavesani così da non perdere la tradizione viticola, anzi esaltarne la vocazione enologica». Le parole dell’imprenditore eporediese prima di finanziare il progetto della Cantina della Serra manifestano un’incredibile apertura nel contesto di crescita vissuto in quel periodo: «L’economia di un territorio non può basarsi sull’industria ma devono coesistere economie alternative».
E la lungimiranza di Olivetti è quanto mai attuale e viva nell’entusiasmo dei Giovani Vignaioli Canavesani: «Una selezione di nuovi viti-vinicoltori seri, ricchi di speranze, fieri e appassionati del loro grande territorio» che stanno lavorando con dedizione per costruire un’economia stabile basata sul vino.