Passaggio di consegne Le case di moda non possono più fare a meno dei giovani artigiani

Da Santoni a Fendi, le aziende del settore stanno definitivamente passando la staffetta alle nuove generazioni. Giorno dopo giorno, aprono luoghi preposti all’apprendimento di tecniche di lavorazione, si lanciano premi e si organizzano tour nelle scuole. Sembra, insomma, che il fashion system stia riscoprendo il valore della propria filiera e la necessità di tramandarlo

FENDI Factory for leathergoods, Capannuccia, Tuscany, courtesy of Andrea Ferrari

Nel mondo precario in cui viviamo, costretto a ripensarsi da capo nei suoi attributi più longevi, il lavoro rappresenta la questione più dibattuta e controversa degli ultimi anni. Sembra che per le giovani generazioni ci siano solo due strade: la prima è la fuga, il rifiuto per l’annosa concezione del lavoro stabilito e regolamentato, depositario di uno zelo produttivo che oggi si interpreta come inconciliabile con l’impoverimento in crescita.

La seconda è il ritorno, una lenta risalita che punta invece a rimetterlo al centro della vita degli individui, nobilitandolo di nuovo nella sua dimensione “antica”. Qualche mese fa, a questo proposito, avevamo indagato l’aumento del ricorso alle maestranze da parte dei giovani, o meglio, a quei mestieri pratici e manuali che si apprendono con fatica e convergono con un immaginario distantissimo dall’apparente mercato del lavoro attuale, digitalizzato, frammentato, aereo.

Le cose in realtà non stanno esattamente così: il “saper fare” nostrano ha sposato eccome tecniche aggiornate, sempre più millimetriche e sintetiche, e per diventare “esperti” occorre prestarsi a scuole di formazione. A questo proposito, lo scorso 8 marzo è nata l’Accademia dell’Eccellenza, con lo scopo di addestrare i giovani a divenire depositari delle usanze artigiane della maison Santoni, affiancati da ventiquattro maestri. Come ha dichiarato lo stesso brand, per svolgere le attività essenziali a costruire le note calzature del marchio servono le mani. Sì, le mani.

Loro Piana, Savoir Faire, courtesy of LVMH

Quindi, nonostante i macchinari raffinati ed efficienti e i luoghi di lavoro che non ricordano ormai più retrobottega polverosi e avvolti nella penombra, l’atto è fisico e non corrisponde solo al clic sui tasti di un computer o a spingere i bottoni di un dispositivo. Bando all’avvento dell’intelligenza artificiale che rischia di sovvertire e spianare le professioni, in questa accademia di Corridonia, nelle Marche, si studia: a plasmare, a modellare, a colorare.

Si apprendono le tecniche di velatura, di impuntura, di assemblaggio, di perfezionamento – per chi non sapesse di cosa si sta parlando, sono le fasi di costruzione di una scarpa. E soprattutto, proprio perché ci si riferisce pur sempre alla moda, si impara ad affinare il senso estetico, lo sguardo, a riconoscere le cose belle, ma soprattutto a capire il processo che le costruisce e le rende ciò che sono. Certo, sono processi a dir poco infiniti, che potrebbero durare una vita intera. Ma il concetto di lentezza non si sposa con la civiltà occidentale: perciò le lezioni si snodano in quattro sole settimane, un’immersione piena che poi dovrebbe risultare anche feconda, un passe-partout per lavorare in azienda, registrata all’ottantacinque percento alla fine dell’ultimo corso – il prossimo inizierà a maggio. Il corso di Comunicazione Internazionale dell’Università Politecnica delle Marche ha voluto approfondire il progetto con un contest dedicato.

Dior Savoir faire, courtesy of LVMH

Santoni non è il solo marchio ad avere volto l’attenzione ai giovani. L’intero settore della moda ha capito che occorre depositare la staffetta. È un ragionamento che punta a proteggersi, a tutelarsi, ma anche a investire su se stessa per i tempi che verranno: laddove l’avvento sempre più massiccio della tecnologia crea scompiglio e induce ad accelerare una corsa verso qualcosa che certamente oggi è ancora piuttosto confusa e remota, accorgersi che invece ci sono già migliaia di giovani in cerca di lavoro e di tutele è il primo passo per mettere a garanzia il proprio futuro.

Sembrerebbe un movimento controcorrente e invece non lo è affatto. Basti pensare a Fendi, un altro colosso, che ha recentemente inaugurato la sua factory nel cuore della campagna toscana, a Capannuccia, nei pressi di Bagno a Ripoli. È un punto di svolta non soltanto perché proprio lì Fendi ha deciso di esibire la sua ultima collezione Primavera/Estate 2024 in occasione di Pitti Immagine Uomo n.104, che quest’anno si tiene dal 13 al 16 giugno. Ma perché per la prima volta si esibisce, si espone la maestranza. Si aprono i luoghi nei quali si lavora, all’interno dei quali si svolge fisicamente una professione.

È necessario continuare a sottolineare la discrepanza tra una narrazione sul presente che vuole le attività sempre più invisibili, frammentarie, avvolte nel nulla, anzi, nell’ombra e certe realtà che tentano invece di rendere il lavoro concreto, visibile, tangibile. «L’investimento della Maison FENDI mette a frutto le capacità e le conoscenze che qui hanno radici e al tempo stesso le alimenta, contribuisce alla loro modernizzazione, le unisce al design di alta qualità nella moda e negli accessori», ha dichiarato l’amministratore delegato di Pitti Immagine, Raffaello Napoleone.

FENDI Factory for leathergoods, Capannuccia, Tuscany, photo by Andrea Ferrari

Va anche ricordato che il discorso legato al made in Italy è tornato di moda, non soltanto su un piano politico e culturale. La presidente del consiglio Giorgia Meloni ha recentemente annunciato l’apertura di un liceo dedicato interamente alle competenze e ai valori trasversali del territorio nostrano. Ma a prescindere dalle speculazioni partitiche, la tutela e la difesa di un’economia di prossimità rappresenta una delle (poche) soluzioni che potrebbero mitigare il cambiamento climatico, o quantomeno costringerci a farlo.

In questo senso, la factory di Fendi è una struttura dedicata soprattutto alla pelletteria ma pensata per accogliere grandi numeri e per citare ancora le parole di Napoleone, «rappresenta una delle migliori espressioni della tradizione manifatturiera, industriale e artigianale della nostra regione». Per anni, il settore della moda ha dovuto combattere numerose battaglie volte a screditare la sua immagine. I riflettori sempre puntati addosso, ha dovuto combattere contro lo stereotipo – senza sempre riuscirci, perché gli stereotipi non sono necessariamente falsi – che dietro le passerelle, i servizi studiati al dettaglio, la molta pubblicità e i molti investimenti ci fosse anche una realtà inclusiva, meno crudele, gerarchica e spocchiosa di quanto la cinematografia e le testimonianze di chi vi è passato attraverso tendessero a comunicare.

Dior, Fosso, courtesy of LVMH

Si potrebbe trattare di una prima base, di una prima apertura anche se l’orizzonte che si staglia a pochi passi da noi pare muoversi (erroneamente) in tutt’altra direzione. Le avvisaglie parlano chiaro: a ottobre Lvmh concludeva un’altra edizione delle Journées Particulières, dove le settantacinque maison del marchio hanno spalancato le proprie porte, svelando un universo composto (anche qui) per la maggioranza da giovani artigiani.

Lo stesso gruppo ha lanciato un premio dedicato all’eccellenza insieme a Camera della moda, Fendi e Confartigianato. Per l’occasione, si è ribadito che i “mestieri” contati da loro e necessari di una formazione specifica sono duecentottantanove. Tutte occasioni, spiragli che si offrono alle nuove generazioni in attesa. Peraltro, per avvicinarle a un’area che molti non prendono in considerazione perché non gode ancora di sufficiente visibilità, è stato organizzato perfino un tour attraverso l’Italia per raccontare cosa si cela dietro ai prodotti, la storia che li tiene insieme, il collante della produzione tutta italiana.

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