Police bombingL’uso massiccio dei bombardamenti aerei per reprimere le rivolte anticoloniali nel XX secolo

All’inizio del Novecento, gli Stati europei hanno iniziato a usare l’aviazione per ristabilire l’ordine in territori scossi dalle insurrezioni popolari. Una tecnica nuova e devastante raccontata da Thomas Hippler ne “Il governo del cielo” (Bollati Boringhieri)

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Inaugurati ben prima della seconda guerra mondiale, i bombardamenti aerei fanno parte dell’arsenale impiegato da tutte le grandi potenze contro i paesi colonizzati. Dopo la grande guerra, l’armata aerea britannica acquista un ruolo di primo piano in alternativa alle spedizioni punitive nelle colonie. A costi inferiori, la Royal Air Force (la RAF) garantisce il medesimo servizio delle forze di terra, ovvero reprimere le rivolte anticoloniali che scuotono le colonie in quel periodo.

Nasce così il concetto di police bombing. Volto a ristabilire l’ordine, il bombardamento aereo non è più una pratica di guerra, ma di «polizia», anzi, di polizia imperiale: non interviene alle frontiere di uno Stato, ma su scala mondiale, come un modo per governare il mondo. L’ordine che impone non è quello di una sovranità politica particolare, ma di un intero sistema-mondo. Questo libro si propone di ripercorrere l’evoluzione di tale governo del mondo dall’inizio del XX secolo ai giorni nostri seguendo il filo conduttore del suo strumento prediletto: i bombardamenti dell’aviazione a fini «di polizia».

Il police bombing viene impiegato per la prima volta in Iraq. Inizialmente si opta per il metodo della caccia all’uomo, che prevede di mitragliare via aerea i combattenti contro il colonialismo. Ma poiché i ribelli spesso riescono a nascondersi, gli aviatori, frustrati, puntano le mitragliatrici sul bestiame. Ed è così che arrivano a un’idea brillante: invece di dare la caccia ai ribelli, colpiranno le loro risorse; se non riusciranno a ucciderli, li faranno morire in qualche altro modo, di fame, di sete o di malattia. La diagnostica strategica non è dunque molto diversa da quella applicata in Europa, dove, invece di attaccare direttamente il nemico, si preferisce accanirsi sulle fonti della sua forza. L’approccio, in entrambi i casi, è indiretto. Se il blocco navale ha svolto un ruolo importante nel crollo degli Imperi centrali durante la prima guerra mondiale, la RAF inventa un concetto analogo: il «blocco aereo». Le operazioni iniziano con bombardamenti pesanti che si protraggono per vari giorni. L’intensità degli attacchi in seguito diminuisce, ma rimane sufficientemente alta da tenere le tribù insorte lontane dai rispettivi villaggi, campi, pascoli e fonti idriche. Obiettivo dei bombardamenti è piegare la vita sociale ed economica delle popolazioni ribelli per «prosciugare» l’ambiente nel quale i rivoltosi portano avanti la loro lotta.

La storia della guerra nel XX secolo è contraddistinta da una trasformazione radicale del rapporto fra gli avversari. Il police bombing ne è il segno più evidente. Nella concezione classica della guerra, l’occupazione territoriale costituisce il fine – e la fine – delle azioni militari. Il vincitore occupa il territorio del vinto, se ne appropria e lo pacifica. Sovrano esecutivo, instaura con la popolazione civile un rapporto di protezione da una parte e di obbedienza dall’altra. La guerra del bombardamento aereo spezza questo legame. L’occupazione del suolo non è più un obiettivo, perché il bombardamento intende sostituire precisamente l’occupazione. Allo stesso tempo, l’occupazione non segna più la conclusione delle azioni di guerra. L’aviazione è l’arma preferita delle guerre «senza fine» (nei due sensi) che oggi conosciamo, le guerre che non dicono il loro nome e si presentano come semplici operazioni di polizia su scala mondiale.

I popoli colonizzati sono il bersaglio dei primi attacchi aerei, che utilizzano bombe, mitragliatrici e gas tossici. La mira è puntata non tanto contro gli insorti, quanto contro popolazioni intere e, di conseguenza, contro tutta una struttura sociale ed economica. In tal senso queste pratiche riflettono l’approccio dominante in materia di «piccola guerra», che al contrario della guerra «vera», nella quale si contrappongono due Stati nazionali, non ambisce a sconfiggere un esercito, ma a terrorizzare una popolazione. Da questo punto di vista l’aviazione coloniale non fa che portare avanti pratiche già esistenti, che consistono nell’attaccare i civili per punirli collettivamente, o addirittura sterminarli. Ma con l’avvento dell’aviazione, i principî della «piccola guerra» possono essere applicati alla «grande guerra». Non si tratterà più di colpire gli eserciti nemici, ma i popoli, proprio come si era soliti fare nelle colonie.

Come possiamo comprendere questa estensione delle pratiche coloniali all’insieme della popolazione mondiale? Un confronto tra le strategie aeree applicate nella periferia coloniale e in Europa offre una risposta tanto evidente quanto inquietante: la guerra, in entrambi i casi, riguarda l’intero popolo e non più soltanto lo Stato, entità trascendente rispetto ai cittadini. La guerra si «democratizza»: se tutti i cittadini partecipano in un modo o nell’altro allo sforzo bellico, è assurdo concentrarsi unicamente su coloro che imbracciano le armi e risparmiare coloro che, con il lavoro quotidiano, rendono possibile l’esistenza dei primi. La morte in guerra non è più il privilegio aristocratico del guerriero: «democratizzata», la morte diventa accessibile a tutti.

© 2023 Thomas Hippler/ © 2023 Bollati Boringhieri editore

Torino/ Traduzione di Maria Lorenza Chiesara

Da “Il governo del cielo. Storia globale dei bombardamenti aerei” (Bollati Boringhieri editore), di Thomas Hippler, p. 192, 25€

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