Giunto alla seconda edizione e inaugurato dal convegno tenutosi il 30 marzo a Milano alla Casa dei Diritti, l’Lgbt+ History Month Italia è iniziato, come lo scorso anno, l’1 aprile e si protrarrà fino al 30 con oltre ottanta iniziative culturali: da un capo all’altro dello Stivale ripercorreranno la storia di quanto era inizialmente chiamato “movimento di liberazione omosessuale” e lumeggeranno il contributo di attiviste e attivisti, intellettuali, artisti, personaggi del mondo della politica alle ultracinquantenarie battaglie per i diritti civili.
Un’edizione, questa del 2023, che, come spiega a Linkiesta Alessio Ponzio, componente del team organizzatore e ricercatore di Storia europea e Storia del genere e della sessualità presso l’Università canadese di Saskatchewan, «avviene in un momento molto particolare per l’Italia. Le scelte della classe politica attualmente al governo continuano a relegare le persone appartenenti alla comunità Lgbt+ a una condizione di cittadini di seconda classe. E il dramma delle famiglie omogenitoriali ne è una chiara rappresentazione. Tanto è stato fatto, indubbiamente. Ma tanto ancora c’è da fare. La consapevolezza storica è essenziale per capire chi siamo ma anche per indirizzare le battaglie di domani».
È sull’acquisizione di tale coscienza che insiste Chiara Beccalossi, professoressa associata di Storia europea moderna e contemporanea all’Università di Lincoln, che fa parte anche lei del team dell’Lgbt+ History Month Italia. «La conoscenza della storia – così al nostro giornale – è importante per ogni individuo, e forse ancora di più per ogni gruppo discriminato che rivendica uguaglianza. La storia è una bussola che ti dice da dove vieni come gruppo sociale, aiuta a capire il presente, offre strumenti per costruire un futuro diverso. Se fai parte di un gruppo marginalizzato, la tua storia è contrassegnata da discriminazioni come minimo, e molto spesso da persecuzioni».
Per la nota accademica, che da anni studia la medicalizzazione della sessualità e dell’identità di genere nell’evolversi temporale, «imparare la storia Lgbt+ serve a trarre un bilancio dei diritti conseguiti e da conseguire, a rafforzare la stessa comunità e le sue lotte, a individuare e contrastare le diseguaglianze odierne in nome di una società più aperta e inclusiva. Conoscerla aiuta inoltre a creare una memoria collettiva, fondamentale per ogni rivendicazione di gruppo».
La scelta del quarto mese dell’anno per celebrare la storia della comunità Lgbt+ italiana non è casuale: nell’aprile – mercoledì 5, per essere più precisi – del 1972 si tenne infatti la prima manifestazione nazionale di visibilità e orgoglio omosessuale, passata alla storia come la protesta di Sanremo. A farsene organizzatori e promotori in segno di contestazione del 1° Congresso internazionale di Sessuologia, ospitato nel teatro del Casinò, Angelo Pezzana e i/le militanti del F.U.O.R.I (Fronte unitario omosessuale rivoluzionario italiano), fondato appena un anno prima dal dotto libraio torinese, non senza il coinvolgimento di esponenti del Gay Liberation Front (Glf) e del Front homosexuel d’action révolutionnaire (F.H.A.R.), rispettivamente rappresentati da Mario Mieli e Françoise d’Eaubonne, del belga Mouvement homosexuel d’action révolutionnaire (M.H.A.R) e di gruppi olandesi e norvegesi.
Ma quello che è significativo per l’Italia non lo è altrove. Non meraviglia, dunque, che l’iniziativa, laddove è stata introdotta, abbia un carattere di mobilità a seconda del Paese di ricezione e della relativa storia Lgbt+. Negli Stati Uniti, ad esempio, dove è stato ideato nel 1994 da Rodney Wilson, insegnante di storia presso la Mehlville High School di Saint Louis, e per la prima volta celebrato col nome di Gay and Lesbian History Month, l’insieme di eventi, che lo compongono, cade in ottobre.
Ispirandosi a precedenti illustri quali il Black History Month e il Women’s History Month, ancora oggi rispettivamente osservati in febbraio e marzo, l’insegnante del Missouri, che in quell’occasione fece anche coraggioso coming out sul posto di lavoro, fondò la sua scelta in considerazione del fatto che nell’ottobre del 1979 e del 1987 si erano tenute a Washington le prime due Marce nazionali per i diritti di lesbiche e gay (National March on Washington for Lesbian and Gay Rights) e che l’11 di quel mese è dal 1988 la data anniversaria del National Coming Out Day (Ncod).
E se in ottobre l’Lgbt+ History Month è celebrato anche in Australia e Canada, è febbraio il mese in cui nel Regno unito si dà particolare attenzione alla storia della comunità arcobaleno, dopo che nel 2003 era stato abolito il famigerato articolo 28 del Local Government Act obbligante le autorità locali a «non promuovere intenzionalmente l’omosessualità o pubblicare materiale con l’intenzione di promuovere l’omosessualità».
Con Stati Uniti, Canada, Australia, Regno Unito, Italia sono complessivamente diciassette i Paesi in cui si osserva l’Lgbt+ History Month. Ai cinque indicati vanno infatti aggiunti Armenia, Cuba, Estonia, Finlandia, Germania, Irlanda, Norvegia, Nuova Zelanda, Romania, Uganda, Ungheria e lo stato insulare di Groenlandia, appartenente al Regno di Danimarca.
La diffusione del progetto da un capo all’altro del globo ha spinto due anni fa Rodney Wilson a istituire un Comitato internazionale, composto da esponenti del mondo dell’accademia, della ricerca d’archivio, della scuola, dell’attivismo, per incoraggiare la collaborazione tra i Paesi, che celebrano l’Lgbt+ History Month, per confrontarsi sugli eventi caratterizzanti tale mese, per sostenere chi desidera istituirne di nuovi in tutto il mondo.
«L’idea di un Comitato internazionale – racconta Wilson a Linkiesta – è nato dalle conversazioni intercorse nel novembre 2021 col team italiano, mentre si stava pianificando il primo Lgbt+ History Month Italia. Con lo scambio di mail è emersa la necessità di trovare un modo per aiutarci vicendevolmente, superando ogni confine, nel pubblicizzare la storia Lgbt+ attraverso gli eventi dei vari History Month. La prima riunione del Comitato internazionale ha avuto luogo, via Zoom, nel gennaio 2022. Alla fine di questo mese saremo al nostro sesto incontro».
Resta pur sempre la questione del notevole ritardo con cui si è iniziato a celebrare in Italia l’Lgbt+ History Month. A spiegarcene le ragioni con consueta lucidità è la professoressa Beccalossi, che sottolinea, innanzitutto, come nel nostro Paese non ci sia «la tradizione di celebrare la storia dei gruppi discriminati e marginalizzati, come è dato invece osservare, ad esempio, negli Stati Uniti. Quando nel 1994 venne lanciato il primo Gay and Lesbian History Month al mondo, la locale comunità Lgbt+ aveva di fronte a sé vari modelli: il Black History Month, ideato dagli afroamericani e celebrato a partire dal 1926, e, dopo la seconda guerra mondiale, il Women’s History Month, l’Hispanic Heritage Month, e così via. Negli anni Novanta la comunità queer statunitense poteva dunque già contare su illustri precedenti nell’organizzare un Lgbt+ History Month».
C’è in secondo luogo la siderale differenza con molti di quei Paesi europei, in cui, negli ultimi vent’anni, «la storia Lgbt+ è entrata nel curriculum d’insegnamento delle scuole superiori. Noi abbiamo collaborato e continuiamo a collaborare con la Rete Insegnanti Educatori/trici Lgbtiq+ Maria Silvia Spolato. Mi sembra però di capire che numerosi dirigenti scolastici frappongano continue resistenze a inserire anche una sola lezione di storia Lgbt+. Ci sono poi insegnanti, appartenenti alla comunità, eppure riluttanti ad affrontare certe tematiche in classe per timore dello stigma o di problemi nell’ambiente lavorativo».
Non è infine d’aiuto l’attuale clima politico. «Mi pare evidente – conclude Chiara Beccalossi – che la destra al governo abbracci lo spauracchio della presunta “ideologia gender” per riaffermare i valori d’una società patriarcale. Le polemiche correnti sulle carriere alias sono indicative di una temperie politica certamente sfavorevole a iniziative, volte a promuovere l’inclusione, valorizzare le differenze, contrastare l’omolesbobitransfobia».