Qualcuno a Palazzo Chigi deve aver confuso il senso delle istituzioni di Sergio Mattarella per acquiescenza sulle scelte del governo. Il Capo dello Stato non ama fare da controcanto all’esecutivo – a qualunque esecutivo – ma nemmeno il notaio. Parla, e chi vuole capire capisca.
Quando ieri a Varsavia ha detto che in tema di accoglienza e asilo bisogna superare «norme preistoriche» non si può fare a meno di pensare che abbia voluto alludere all’orientamento “emergenzialista” del governo, che vorrebbe riportare la legislazione indietro: esattamente quello che Giorgia Meloni, su impulso di Matteo Salvini, vuole fare con l’abolizione o la forte limitazione della “protezione speciale” per gli immigrati che arrivano in Italia.
Ma è forse anche una risposta indiretta a quel Manfred Weber, capogruppo dei popolari a Bruxelles e platealmente in marcia verso destra, che plaude alla costruzione di nuovi muri finanziati dall’Unione europea e chiede di dare soldi alla Tunisia perché eviti le partenze.
Altro che preistoria: i popolari hanno perso l’anima. È probabile dunque che il nostro Presidente della Repubblica sappia bene che il lavorìo della destra italiana e europea per rovesciare alle Europee 2024 lo storico asse popolari-socialisti (non a caso ha parlato a Varsavia, il cui governo è molto “meloniano”) è molto avanzato, a partire dalla sintonia proprio sul tema dell’immigrazione.
Limitare la “protezione speciale” agli immigrati suona dunque come lo squillo di tromba sul classico spartito salviniano emesso da una premier che sta mostrando di non saper governare il problema: Meloni si è accorta che dopo il disastro di Cutro, forse per un complesso di colpa, la sensazione è stata quella di un vistoso allargamento delle maglie, al limite dei “porti aperti”, una politica non solo agli antipodi della filosofia del blocco navale et similia, ma anche molto impopolare agli occhi del suo elettorato, corteggiato da un Salvini che ha ritirato fuori la retorica dei decreti sicurezza dell’allora governo gialloverde guidato da Giuseppe Conte (anche su questo, soprattutto su questo, sparito dai radar).
Il problema del governo è però emerso subito con il no dei sindaci di centrosinistra che vedono in una politica restrittiva un problema non solo politico ma anche amministrativo e di governo. Si tratta come al solito di una norma-bandiera, di uno specchietto per le allodole, essendo già ampiamente dimostrato – tra l’altro nei dossier ufficiali del Senato – che la “protezione speciale” in Europa si applica quasi ovunque e non è certo in grado di fungere da “muro” anti-immigrati, ma solo di complicare la vita agli enti locali e a qualche disgraziato in cerca di libertà e lavoro.
E c’è lo scontro istituzionale tra il neocommissario per l’“emergenza immigrazione” (ma quale emergenza?) Valerio Valente, nominato tre giorni fa dal governo, e quattro Regioni a guida centro-sinistra, i cui presidenti non controfirmeranno i suoi atti: un bel garbuglio giuridico.
Che poi lei, la premier, se ne sia uscita ad Addis Abeba con questa idea salviniana contro la “protezione speciale” abbracciando bambini etiopi fa parte di un marketing che fa male agli occhi ma che non cambia i termini politici della questione, e cioè che Giorgia Meloni vuole re-impossessarsi della linea dura in allineamento con il Matteo Piantedosi dei giorni di Cutro e con la faccia feroce dei tempi del decreto sui rave: una sterzata a destra, se possibile.
Per questo torna buona la stretta sulla “protezione speciale”, norma che verrà inserita nel decreto-Cutro sul quale c’è battaglia in Senato e che verrà votato in aula oggi pomeriggio. Ma è chiaro che il governo ha i numeri. Sergio Mattarella vigila, ma la sterzata a destra sta arrivando. E c’è da presumere che di qui in avanti i toni di palazzo Chigi saranno sempre più duri, sull’immigrazione e non solo, non essendo proprio aria di “draghismo” ma semmai di serrare i ranghi su tutto. Oggi sulla “protezione speciale”, domani sul 25 aprile, dopodomani chissà. Avanti così, fino all’assalto all’Europa dell’anno prossimo.