Leggi qui la prima puntata del “Il Romanese”
Il Romanese quando gira per Milano è cauto come un esploratore. Sa che tra le mille insidie della città-che-dorme-poco ce n’è una apparentemente innocua ma assai irritante: i numeri civici. Non la loro presenza, beninteso, ma la loro latitanza. I milanesi quando si tratta di ordinare i portoni in una banale progressione numerica sono taccagni come spesso lo sono nei sentimenti. E la cosa è francamente incomprensibile.
A Roma, e più o meno in qualsiasi città più o meno civilizzata, ogni strada enumera ciascun portone, vetrina di negozio, ingresso di garage, perfino porte cieche, in ordine crescente (o decrescente se uno procede contromano). Nessun varco sfugge al censimento, al massimo reca l’aggiunta di una lettera come postilla: 17b, 17c, 17d, a dimostrare che anche gli intrusi sono etichettati. Tutto logico, tutto banalmente pratico.
A Milano no. Lo stesso numero civico designa un cluster di situazioni. Al 28 di una strada possono esserci l’ingresso di un condominio poi un ferramenta, quindi un panettiere, un bar, accomunati da uno stesso indirizzo. Naturalmente la cosa può sembrare un’inezia: se io cerco un ristorante al numero 131 di corso di Porta Romana, arriverò lì e mi guarderò attorno, e alla fine lo troverò e mi siederò a tavola trionfalmente.
Però che fastidio, che inutile complicazione per la città che ama definirsi un algoritmo perfetto o quasi. Arrivi in auto o in moto per la prima volta alla strada che cercavi, devi recarti al numero 9, ma quando ti fermi all’incrocio, a metà della via, non sai se andare a sinistra o a destra. Allunghi il collo, cerchi con lo sguardo febbrile un numero civico che ti orienti ma non lo vedi. E allora vai a caso, contando sul destino benigno. Ecco, vedi un numero, è il 23, sei ancora abbastanza lontano dalla mèta, ma non sai se nella tua direzione i numeri crescono o decrescono, e per scoprirlo spesso devi attraversare un altro incrocio. Uffa.
Naturalmente il Romanese prova talora a sfogarsi con qualche milanese cercando solidarietà toponomastica. Inutile dire che è uno sforzo vano. Milano è una città perfetta, non lo sapevi? E solo i milanesi (non certo i Romanesi) possono lagnarsene. E il Romanese pensa (ma pensa soltanto): sapete che c’è? V..f..c.lo (alcune lettere sono state omesse come fossero civici di portoni di serie B).