«Io non volevo parlare di queste cose, ma stamattina ho letto il discorso fascista di Pannella…». La voce profonda di Giorgio Amendola sollevò l’applauso di tutto il XV Congresso del Partito comunista (aprile 1979), all’Eur. Un Congresso difficile perché i comunisti avevano appena chiuso l’esperienza dei governi di solidarietà nazionale con la Democrazia cristiana e sostanzialmente non avevano chiara la prospettiva politica tanto che alle elezioni del giugno persero quattro punti, per la prima volta nella loro storia arretravano. Il tema della Resistenza, ovviamente, per il Pci era sacro.
«In questa sala ci sono delle medaglie d’oro per l’azione di via Rasella», disse ancora Amendola, tra l’altro lui stesso era il capo con Sandro Pertini e Riccardo Bauer di quel Cln a Roma che aveva autorizzato, o deciso, l’attacco al battaglione Bozen. Nella “sala” (cioè il Palasport) in effetti c’erano Carla Capponi, Rosario Bentivegna, probabilmente Pasquale Balsamo, non sapremmo dire se anche Carlo Salinari: tutti “gappisti” di via Rasella che conducevano la forma forse più tremenda della guerra, la guerriglia urbana: colpisci duro e scappa.
Gli autori e i mandanti non devono farsi scoprire, l’organizzazione ne risulterebbe indebolita: è una regola della guerriglia, alla faccia di quelli che oggi dai divani accusano di vigliaccheria quei partigiani opponendogli l’eroismo di Salvo D’Acquisto, che non faceva la guerriglia, guerriglia che è stata dichiarata dai Tribunali parte integrante della Resistenza.
Ma che era successo con Pannella? Il leader radicale in quel periodo apriva un fronte al giorno in polemica con il Pci, un po’ perché – lo abbiamo ricordato – voleva sottrarre voti ai comunisti rimproverandogli il compromesso storico e l’unità nazionale, operazione che in effetti gli andò bene, ma soprattutto perché forse mai come in quella polemica affiorò il “pasolinismo” di Pannella.
Ecco quello che disse al Congresso radicale che si svolgeva negli stessi giorni di quello del Pci: «Bene, compagni del Pci, preparate una caterva di insulti per chi vi parla. Se non si rifiutano le leggi barbare della guerra, rendeteci conto dei quarantaquattro ragazzi altoatesini fatti saltare per aria a via Rasella solo perché portavano un’altra divisa, e per cui sono morti poi i compagni di Giustizia e Libertà ed ebrei alle Ardeatine! Non possiamo fare la storia senza questi dilaniamenti interiori e senza dire che se si è barbari e assassini, non è il fatto che la causa sia giusta o meno che ci può affrancare… Se barbari e assassini sono i ragazzi dell’Azione cattolica come Curcio, allora anche Carla Capponi, la nostra Carla, medaglia d’oro della Resistenza per aver messo la bomba in via Rasella, con Antonello, con Amendola e gli altri, debbono ricordare quella bomba…».
Un discorso tipicamente pannelliano, “pasoliniano” nel ricordare i «quarantaquattro ragazzi» con «un’altra divisa»: c’è qui l’eco della famosa poesia di Pasolini sui poliziotti figli di contadini attaccati dagli studenti borghesi a Valle Giulia nel Sessantotto. Ma il punto era evidentemente un altro: l’accostamento dei gappisti a Renato Curcio, accostamento non “cattivo” («la nostra Carla…») ma per così dire, secondo lui, “oggettivo”.
Ora, pizzicare i comunisti su via Rasella e in più sul terrorismo era chiaramente troppo. Dal palco del Congresso del Partito comunista Amendola e Luciano Lama furono violentissimi, forse più Lama di Amendola.
Quest’ultimo insieme a Arrigo Boldrini, capo della Resistenza, andarono in commissariato a denunciare il «fascista» Pannella per «vilipendio della Resistenza»: non se ne fece nulla. Ma al capo dei radicali non bastava, resosi conto di aver toccato un nervo scoperto insistette: «Ieri sono andato al congresso del Pci con questo loden blu che conoscete, è lì sul tavolo. L’ho comprato in gennaio una sera a Trieste, con una mezza bora, perché crepavo di freddo. E oggi l’Unità scrive che sono andato lì con un mantello nero, come Dracula, a provocare e a farmi cacciare dal congresso urlante…».
Siccome chi scrive quel giorno era presente, può testimoniare che Pannella indossava veramente un mantello nero, molto pittoresco, aggirandosi nel palco degli invitati al Congresso comunista, e la cosa venne presa come un ulteriore sgarbo, una presa in giro, e sonoramente fischiata, cosa di cui il leader radicale ovviamente s’infischiò.
Ancora Pannella spiegò ai radicali: «Io ho detto questo: che nel momento in cui il terrorismo induce a disperazione, tutta la storia della violenza va ripercorsa e rivista. E dobbiamo dirci che il terrorismo fa parte della nostra storia, la storia della sinistra, con Dostojevski e il nichilismo. Ricordare che erano sudtirolesi i ragazzi di via Rasella è insultare la Resistenza? Io vorrei portar fiori sulle tombe di quei quaranta ragazzi, il cui nome non è scritto da nessuna parte. Allora via Rasella era il modo giusto, tragico e drammatico di affermare i valori socialisti. Ma non è un oltraggio dire che per domani le cose devono essere diverse…».
Era «sociologismo d’accatto», come scrisse l’indomani L’Unità? Era certamente polemica politica ma anche un voler mettere il dito in una piaga che sotto la pelle bruciava ancora, una piaga che i comunisti certo non esibivano ma che doleva quando chiunque la sfiorasse. Storie di ieri. Credevamo, prima che arrivassero i Fratelli.