Top of the PopsPete Wells e la classifica dei 100 migliori ristoranti di New York (secondo lui)

Il famoso critico gastronomico del New York Times ha stilato la sua personale graduatoria dove non sono poche le sorprese, sia tra i presenti che tra gli esclusi. L’Italia che scopriamo è alternativa

Foto di Marco Lenti su Unsplash

Quante volte si sente chiedere quali sono i migliori ristoranti di New York. L’importante è non chiedere, con insistenza, dove si spenda poco, perché quello tra Grande Mela e risparmio è un connubio che non funziona, non solo per l’inflazione post Covid, soprattutto per il cambio con l’euro. Dieci anni fa con una moneta europea si è arrivati ad acquistare oltre un dollaro e mezzo. Prima di Natale il biglietto verde era arrivato a superare l’euro, oggi siamo in risalita e il tasso è 1,1. È chiaro che solo questo vale almeno il trenta per cento in fatto di aumento del costo di una vacanza.

Fatta questa fondamentale premessa, i fan del New York Times (e chi non lo è?) martedì hanno trovato una risposta alla domanda sui ristoranti sparsi per i cinque boroughs. Arriva da Pete Wells, il critico prima firma del Nyt: autorevole e temuto, senza bisogno di inutili e ridicole pantomime mascherate, tanto che al pass di molti tra i ristoranti più importanti della città si narra ci sia una sua foto in modo che tutti lo possano riconoscere. Il suo giudizio (da una a quattro stelle) può fare la fortuna o meno di un locale. Il New York Times ha pubblicato la lista dei 100 ristoranti preferiti dal Wells.

Al primo posto troviamo Tatiana by Kwame Onwuachi la cui cucina è definita americana-caraibica-creola. Lo chef in realtà è di origine nigeriana, lo potremmo definire l’Antetokounmpo (fuoriclasse del campionato Nba che gioca a Milwaukee cresciuto in Grecia, ma di passaporto nigeriano) della cucina. Un primo posto, un po’ politically correct se vogliamo, che premia, finalmente, l’ingresso di uno chef afroamericano nell’olimpo del fine dining. Il ristorante si trova al Lincoln Center e scorrendo il menu la spesa per una cena potrebbe aggirarsi attorno ai 250 dollari, neppure tra i più cari della città. Tatiana non compare tra gli stellati Michelin.

La classifica di Pete Wells è frutto del suo palato, quella della guida rossa di diversi ispettori, però l’incrocio tra le due valutazioni è interessante. Solo due tri-stellati sono in questa classifica, peraltro in posizioni di valore: terzo Le Bernardin, sesto The Chefs Table at Brooklyn Fare. Nessuna traccia di Per Se, Masa e naturalmente Eleven Madison Park sulla cui scelta di diventare vegano Wells è stato molto severo. È curioso come non ci sia neppure un ristorante giapponese nella classifica.

E l’Italia? Che cosa piace al super critico della cucina italiana in città? Ci sono dieci ristoranti definiti italiani più due “italian-american!”. Insomma un successo, ma quanta cucina fedele alle ricette originali troviamo in questi locali? Scovare qualcuno che li abbia provati tutti è impossibile, ma qualche informazione tra quelli nelle posizioni più prestigiose della classica non è stata difficile da recuperare, a cominciare da Via Carota, sorprendentemente quarto: il piatto che ha fatto impazzire il critico sono state le olive fritte ripiene di salsiccia. «Sono stato con un gruppo di colleghi americani» ci racconta un cliente italiano professionista del settore, «il mio giudizio è molto critico, la pasta panna piselli e prosciutto, che già si qualifica da sola, era scotta, gli arancini modesti. Buoni i porri alla cenere. Ai miei colleghi è piaciuto. Non tanto diverso il giudizio su Lodi (quarantacinquesimo) dove ricordo le acciughe con il burro per 35 dollari, ma senza pane, da ordinare e pagare a parte».

Un appunto sulla pasta dei ristoranti italiani a New York: si tratta quasi sempre di pasta fatta in casa che cuoce (e scuoce) prima. Solo negli ultimi anni si sta facendo strada la pasta secca importata dall’Italia. Tre indirizzi, che non sono nella lista del Nyt, dove la pasta è sicuramente di grano duro di produzione italiana: Osteria57, Alice, La Devozione, Lucciola.

Lilia (17) e Misi (39) sono i due locali di Missy Robinson a Williamsburg. Misi, sempre secondo ristoratori italiani che lavorano in città, si fa preferire e dalla vetrina che affaccia su Kent Avenue si può vedere il laboratorio della pasta. È ripiena invece la pasta di Rezdora (l’unico tra gli italiani stellati presenti in questa classifica al quarantasettesimo posto) perché Stefano Secchi è stato a lungo in Italia a imparare l’arte della sfoglia ed è un allievo di Massimo Bottura. Consigliato. Torrisi al trentatreesimo posto pare in risalita dopo un periodo non proprio fortunato. Infine una sola pizzeria in classifica: Una Pizza Napoletana di Antony Mangeri con un brillante quindicesimo posto. Antony impasta tutto a mano, sforna solo 130 pizze al giorno, vale la difficoltà della prenotazione.

A New York ci sono oltre sessantamila ristoranti, dodicimila sono classificati come italiani, fedeli alla nostra cucina nella cura degli ingredienti di qualità, nell’uso della pasta di grano duro non più di una ventina. Chissà se Pete Wells li conosce, chissà se ha mai fatto un viaggio goloso nel nostro paese. Magari qualcuno potrebbe invitarlo.

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