«Ho vinto lo scudetto e adesso cambio il calcio». Così Repubblica titola l’intervista che il direttore Maurizio Molinari ha fatto al presidente del Napoli campione d’Italia Aurelio De Laurentiis dopo la storica vittoria del terzo scudetto.
Nel lunghissimo colloquio, il presidente degli azzurri rivendica il merito di aver progettato il terzo scudetto dal nulla, scrivendone la sceneggiatura proprio come avviene per i film di successo a Los Angeles. Assicura di voler tenere la squadra compatta per il prossimo campionato «aggiungendo altre stelle» e rivela particolari inediti della genesi dell’accordo con l’allenatore Spalletti.
Ma il suo orizzonte ora si allarga all’intero sistema del calcio italiano, proponendo qualche novità. Tra queste c’è il campionato d’estate e una competizione europea con le migliori squadre del campionato. Che però non vuole chiamare Superlega. Ma il primo problema sono gli stadi, dice: «Tranne qualche rara eccezione, sono obsoleti, la partita si vede male, c’è la pista d’atletica, come a Napoli o a Roma. E poi, vogliamo portarvi le famiglie? Vogliamo far sì che allo stadio si possa rimanere tutta la giornata a divertirsi, a mangiare? Io allo stadio celebrerei i matrimoni e le prime comunioni».
La Chiesa potrebbe arrabbiarsi, ammette, ma De Laurentiis ha la soluzione in tasca: «Basterebbe montare un altare benedetto, noi lo abbiamo fatto in ritiro a Dimaro: quante volte è venuto il cardinale Sepe a officiare la messa e nessuno si è mai scandalizzato? Il campo di calcio è sottostimato e sottoutilizzato, potrebbe produrre dei benefici sul fatturato».
Poi c’è il calendario del campionato: «Perché giocare d’inverno con la neve, la pioggia, la grandine? Non potremmo cominciare in tutta Europa il primo aprile? Non è un pesce d’aprile, ma una necessità. In sette mesi fino a ottobre si potrebbero disputare campionati nazionali e Coppe europee. Da novembre a marzo restano cinque mesi per far riposare i signori calciatori, andare in ritiro, giocare con le nazionali».
Ma per il presidente del Napoli, c’è un problema se si vuole riformare il calcio: «Uefa e Fifa sono assenti per egocentrismo ed egoismo. Per loro esistono solo le votazioni per essere riconfermati, ma non si pongono questi problemi. Alla finale di Champions a Parigi un anno fa c’è gente che ha rischiato di morire, bambini che urlavano, mamme spaventate: così non si fa un assist al calcio, anzi lo si mortifica. Fifa e Uefa operano in posizione dominante e nessuno dice loro nulla. Dovrebbero sedersi al tavolo con noi ed essere rispettose dei nostri campionati, che per i tifosi vengono prima delle Coppe europee e delle nazionali. Ho calciatori che vanno e vengono dal Sudamerica o dall’Asia in 48 ore e poi devono giocare da noi il giorno dopo: follia».
E De Laurentiis ha anche l’idea di una «competizione europea» con le migliori squadre di ogni campionato: «L’ho messa un po’ da parte, sennò si arrabbiano tutti. Avevo detto che bisognerebbe portare sul tavolo 10 miliardi, non i 4-5 che l’Uefa si appresta a garantire dal prossimo ciclo. Ho proposto due campionati europei. Uno per 25 federazioni minori che non possono permettersi gli investimenti dei Paesi più importanti. E uno con le prime sei squadre dei cinque grandi campionati, che dunque cambierebbero ogni anno, con partite secche, escludendo i confronti fra squadre dello stesso Paese. Tutto il mondo le guarderebbe: quanto porterebbero in termini di diritti? E quanto valorizzerebbero i nostri allenatori e i nostri calciatori? Quando leggo le convocazioni delle nazionali io sto male perché i ct chiamano sempre i più vecchi, avendo paura di sbagliare. Ma dico: le nazionali sono un teatro mondiale, fatemi vedere i giovani, tirate fuori i più bravi. Anche per le loro famiglie che hanno fatto mille sacrifici e meritano di vedere realizzati i propri sogni».
Il presidente poi elogia i suoi calciatori: «Non solo i gioielli, Osimhen, Kvara, ma anche tutti gli altri. Il capitano Di Lorenzo è un uomo straordinario, educatissimo, su cui si può sempre contare. E Spalletti è un condottiero, un grande affabulatore: tutti dovrebbero studiarlo, c’è sempre da imparare da lui». Promette di tenerli tutti. Anzi, di aggiungerne altri: «Mi piacerebbe avere un americano, perché in America anche se il campionato vale poco ci sono grandissimi giocatori che risplendono in nazionale. E poi un giapponese, avendo già un coreano, visto che c’è un grande sviluppo del nostro calcio in Oriente e ci sono nuove entrate da considerare. Ma non vorrei mandare via nessuno dei nostri».
Quanto a Spalletti, «lo seguo da quando era in Russia, tante volte l’ho chiamato per portarlo a Napoli», racconta. «Un bel giorno sono andato a trovarlo a Milano al bosco verticale, lui è venuto molto timorosamente nel garage per non farsi vedere, con un cappuccio in testa, e mi ha trascinato nel suo appartamento. Gli ho detto: “Non so se andrò avanti con Gattuso, tu tieniti pronto”. Rispose: “Presidente, a giugno vengo ma adesso non me la sento”. Insistetti: “No, se io dovessi avere dei problemi e decidessi di esonerare subito Gattuso, tu mi devi promettere che ti rendi disponibile”. Mi diede la mano, poi non c’è stato bisogno di cambiare in corsa, abbiamo aspettato la fine della stagione. È arrivato in un clima abbastanza eversivo, perché nel frattempo a febbraio avevo mandato a monte i miei accordi con lo sponsor tecnico per diventare io sponsor di me stesso. Avevo chiamato Giorgio Armani, un amico, che mi ha messo a disposizione il marchio EA7, e ho chiesto a mia figlia Valentina, che aveva sempre avuto voglia di cimentarsi nella moda, di darmi una mano. C’erano problemi con i trasporti e le spedizioni per il Covid, eravamo in ritiro, Spalletti era preoccupato: ”Presidente, ma non è che alla prima partita andremo in campo con le maglie vecchie?“. E adesso invece questa parte nuova del Calcio Napoli sta avendo un successo senza precedenti, fatturiamo tre volte più di quando avevamo lo sponsor tecnico».
Alla premier Giorgia Meloni, «poiché ci sono 28 milioni di elettori appassionati di calcio», chiede «di sedersi con noi cinque minuti e di liberalizzare il modello per poter ottenere un fatturato che renda tutti felici e competitivi, senza debiti. Perché dobbiamo venire dopo Inghilterra, Spagna e forse Germania? È ridicolo». Poi racconta: «Io sono sempre stato un grande estimatore di Draghi, mi ha chiamato per complimentarsi per lo scudetto. Gli ho detto che avremmo bisogno di unificare la sua figura come economista – perché io sono dell’idea che non si pub fare politica senza fare economia – e la caparbietà, la capacità, la passionalità di una politica che dà tanti anni sta sulla scena e ha fatto la gavetta come Giorgia Meloni. “Voi due insieme sareste imbattibili”. Però bisognerebbe cambiare la nostra Costituzione fondando una repubblica di tipo presidenziale».