Recupera e ripetiMauro Montanaro, tra agricoltura e socialità

A Lucca, l’azienda Calafata mantiene fede all’idea originale con cui è stata fondata. Proporre un modello virtuoso che rimetta al centro la terra e le persone, dando loro fiducia e un nuovo inizio

Photo credit: triplea.it

«Siamo partiti che eravamo solo tre», lui, Mauro Montanaro, insieme a Daniele Tuccori e Maik Tintori. Tre amici, membri dello stesso gruppo di acquisto solidale, accomunati da un sogno: creare un progetto agricolo che, oltre a far fruttare i prodotti della terra, si facesse lui stesso seme di «percorsi nuovi di inclusione e di sviluppo del territorio, percorsi di economia civile». Nel 2009, l’offerta di Lorenzo Citti di cedere i tre ettari dell’azienda familiare, col desiderio che potessero essere utilizzati a fine sociale, ha permesso di mettere in atto la loro «strampalata» idea. Due anni dopo nasce così «Calafata»: la prima cooperativa agricola sociale toscana. Il suo punto di partenza: il concetto di «riscatto», come suggerisce il suo nome. «I maestri Calafati» erano infatti coloro che si infilavano nelle intercapedini delle navi, allora ancora in legno, e con pece e stoppa si occupavano di «rattopparle», rendendole così nuovamente sicure e pronte a riprendere il mare. «Una sorta di recupero» come lo definisce Mauro, lo stesso che lui e i suoi soci hanno applicato fin da subito nella costruzione dell’azienda, a partire dai suoi terreni. Nessuno di questi è infatti di loro proprietà, tutti sono stati salvati da una condizione di incuria o abbandono. Proprio tale iniziativa ha contribuito a far crescere il progetto, creando i primi legami nel territorio lucchese. Come racconta il fondatore: «Molte persone che non ci conoscevano hanno iniziato a chiamarci per affidare a noi terre che loro non riuscivano più a seguire».

È così, ettaro per ettaro, prende forma l’azienda, inizialmente dedicandosi alla viticoltura, fin dal primo giorno praticata con l’unico metodo adottato fino a oggi in vigna: la biodinamica. Più che un modo, una filosofia di pensiero la cui condivisione con la «Velier», fa sì che a partire dal 2015 anche Calafata sia parte della famiglia delle Triple A. «Non è stato sposare un movimento e neanche una scelta. È stato un leggersi dentro» – ribadisce Mauro – «Io ho avuto la fortuna di non fare mai un vino, che non fosse un vino fatto in questa maniera qui». «In ground we trust» è infatti il motto che ha accompagnato sin dall’inizio la realtà agricola nella sua missione di riconversione e recupero. Fidandosi del potere della terra, quei terreni prima coltivati con un approccio tradizionale e appunto abbandonati perché non più redditizi hanno infatti ritrovato nuova vita, in un territorio che alle pratiche biodinamiche era in realtà vocato ormai da tempo. Come ci racconta Mauro: «Lucca è la provincia italiana con la maggior concentrazione di aziende biodinamiche. È contagioso». Lo è stato anche per Calafata, che dal 2011 produce nelle colline della Maulina e del Morianese i loro vini, rispecchianti il territorio quanto il pensiero con cui sono stati creati: da «Almare», beva facile e tratti marini; a «Scapigliato» di nome e di fatto, versatile infatti finisce subito; fino alla bottiglia «WAW Come Prima», prodotta per il progetto di Triple A «WAW».

Non solo vino, però. Come ben afferma Mauro: «È tutto in fermento», anche l’azienda stessa. Da dieci anni a questa parte, questa è infatti cresciuta, divenendo una realtà «policolturale». Dai tre ettari iniziali, oggi ne conta infatti trenta, sempre in provincia di Lucca, ma non più concentrati in collina e non destinati esclusivamente alla produzione vitivinicola. Gli appezzamenti di Valgiano ospitano oliveti e api, da cui ottengono quattro tipi di mieli diversi e polline. I territori dei comuni di Viareggio e Camaiore sono stati scelti invece per la nuova produzione orticola. Con questa si intende la coltivazione di verdure in campo, secondo metodi di agricoltura sostenibile, rispettando il susseguirsi delle stagioni. Vengono vendute ai mercati cittadini o nei comuni di produzione e in quelli vicini tramite «P’Orto»: un servizio integrato di produzione, vendita e distribuzione. Attraverso la sua piattaforma online è possibile infatti ordinare il proprio assortimento di ortaggi, facendolo consegnare gratuitamente e direttamente a casa. Se l’orto ha da una parte diversificato la già ricca offerta dell’azienda, dall’altra ha generato però del surplus, dell’invenduto, «spreco della materia prima». Una difficoltà divenuta ben presto ulteriore occasione di crescita per l’azienda, con l’apertura di un laboratorio di trasformazione che ridesse una seconda vita a quei alimenti, altrimenti scartati.

Ritorna così il fil rouge che ha guidato e guida ancora oggi la cooperativa, il recupero. Recupero prima dei terreni e del suolo, ora dei prodotti agricoli, ma ancor di più a Calafata il recupero è delle persone. I venticinque dipendenti che oggi lavorano quotidianamente nell’azienda provengono infatti da situazioni difficili di marginalità e svantaggio. «Sono ragazzi che arrivano dal Centro Africa, richiedenti asilo; ragazzi in affido ai servizi sociali; ragazzi che hanno problemi di salute mentale» racconta Mauro. Calafata non nasce però con l’idea di creare una comunità all’interno del loro progetto agricolo. Come specifica infatti il viticoltore: «I ragazzi non dormono con noi. Ognuno fa la propria vita. Non è un luogo protetto in cui tante volte queste persone hanno lavorato o hanno aiutato» – ma bensì – «È un luogo di lavoro che serve per reinserirli in un ambiente “normale”». Questo attraverso iniziative che vanno anche oltre i campi coltivati e passano per i campi di gioco, con la creazione della squadra «Dinamo Calafata», con l’obiettivo di rafforzare il gruppo e insegnare cosa significa «intercultura».

Calafata è quindi questo: «un’idea di impresa agricola capace di coniugare la qualità dei prodotti, il rigore chiesto dalla terra e il protagonismo delle persone che la lavorano». Un’azienda in cui l’aspetto umano non è solo un’aggiunta, ma torna a essere protagonista di un modello aziendale che riconosce il lavoratore risorsa preziosa, necessaria per la sua continuazione, per far prendere alla barca il mare, verso la giusta direzione.

 

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