Rondò alla turcaIl destino di Erdogan non è solo legato al voto dei curdi

Continuerà o si ritirerà l’ondata popolare di consenso all’islamismo e la critica allo Stato laico che è da un ventennio la grande forza del presidente turco? Una risposta la darà il voto nelle aree a maggioranza curda dove il consenso è calato drasticamente

LaPresse

È finita l’era Erdoğan? La Turchia svolta finalmente verso la democrazia piena? È difficile rispondere a queste domande ed è indispensabile essere molto cauti nelle previsioni sul voto presidenziale di domenica prossima. Le ragioni della prudenza sono molte, a partire dal fatto che sarà un voto solo parzialmente libero e democratico a causa della cappa di piombo imposta da Tayyp Erdoğan sulla società turca (trentadue ore di televisione per la sua candidatura, trentadue minuti al suo avversario), migliaia sono i prigionieri politici, i tribunali sono asserviti al governo e i media di opposizione zittiti. Gioca anche la sostanziale inaffidabilità tecnica dei sondaggi turchi che pure danno un certo margine di vittoria al candidato del blocco di opposizione Kemal Kilicdaroglu, leader del Hcp.Il tutto in un paese dall’economia terremotata dal 160 per cento di inflazione, con conseguenze sociali devastanti aggravate da quelle provocate dal terribile terremoto di febbraio.

Va innanzitutto detto che molto influente sul risultato sarà lo sviluppo del voto delle regioni curde, peraltro le più colpite dal recente terremoto gestito in modo disastroso da Tayyp Erdoğan con probabili conseguenze elettorali negative per il governo e il presidente. Voto curdo sul quale in Occidente si hanno idee molto sbagliate, perché è vero che in gran parte va ai partiti di opposizione, ma è altrettanto vero che sino al 2018, secondo quanto riporta Le Monde, il Akp, il partito di Tayyp Erdoğan ne otteneva addirittura il 30-35 per cento. Interessante è la ragione di questo alto consenso curdo a Erdoğan espresso sino a ieri, perché è stato prodotto da un rifiuto netto di ampi settori della società curda della lotta armata e della guerra civile volute dal Pkk con conseguente schieramento a favore del governo di Ankara. 

Di nuovo, un dato troppo spesso misconosciuto in Europa: la Turchia è un paese la cui scena politica è determinata da un trentennio da una dissennata e crudele guerra civile scatenata unilateralmente dall’avventurista e filo maoista Pkk curdo che ha fatto secondo le stime ufficiali sinora più di 46.000 morti (6.400 tra incolpevoli civili, 7.800 tra le forze di sicurezza), una cifra enorme, con più di 4.000 caduti dal 2015 a oggi. Non piccola parte del successo politico personale di Tayyp Erdoğan deriva proprio dalla affidabilità da lui dimostrata, persino tra strati di popolazione curda, nel contrastare duramente l’avventurismo del Pkk.

Oggi, saggiamente, il Hdp, il principale partito curdo (i cui leader, a partire da Selahattin Demirtas, sono ingiustamente da anni in prigione) ha deciso di non presentare un suo candidato alle presidenziali per favorire il blocco di sei partiti – molto eterogenei va detto – che sostengono l’avversario di Erdoğan, Kemal Kilicdaroglu – che è curdo – e comunque si stima che nelle regioni curde il consenso per il Akp di Tayyp Erdoğan sia precipitato dal 30-34 per cento al 20-24 per cento e questi due dati sembrano indicare una vittoria dell’opposizione.

L’incognita vera, di fondo di questa tornata elettorale di importanza enorme per il Mediterraneo è un’altra. Continuerà o si ritirerà l’ondata popolare di consenso all’islamismo e la critica allo Stato laico che è da un ventennio la grande forza di Tayyp Erdoğan? Questo è il punto. 

Va sempre ricordato che dal 2002 al 2016 le elezioni in Turchia sono state tutte libere e democratiche e Erdoğan ha sempre trionfato liberamente nelle urne non solo perché ha garantito un formidabile sviluppo economico, ma anche perché propugnava e propugna il ritorno della sharia e delle norme shariatiche e la demolizione sostanziale dello Stato laico voluto da Kemal Atatürk unito alla proposta iper nazionalista di ritornare ai fasti e alla potenza dell’Impero ottomano.

In sintesi, Tayyp Erdoğan è stato ed è il simbolo del fallimento del tentativo quasi secolare di costruire una democrazia totalmente laica e liberale in un paese islamico. Una regressione che è maturata con un largo e solido consenso popolare democraticamente espresso. Questo è dunque il vero interrogativo di fondo di queste elezioni presidenziali e politiche. È intatto o è entrato in crisi il consenso della netta maggioranza degli elettori turchi a favore di uno Stato retto non più dai principi laici e liberali ma basato sull’islam shariatico e sull’autoritarismo di Tayyp Erdoğan?