Corrente GasparriLa brutale melonizzazione di Forza Italia

Il partito di Berlusconi si trova davanti bivio: ritrovare la sua ragion d’essere nonostante la malattia del leader, o diventare la costola di Fratelli d’Italia

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A quasi un mese dal ricovero di Silvio Berlusconi al San Raffaele appare sempre più chiaro che Forza Italia sta diventando una costola di Fratelli d’Italia. C’è un nesso di causalità tra la forzata assenza del Cavaliere e la crescente perdita di autonomia degli azzurri? È molto probabile. A costo di apparire sgradevoli, diremmo che per Giorgia Meloni non è davvero un problema trovarsi all’improvviso la strada sgombra per affermare il suo dominio a destra (complice anche l’inabissarsi di Matteo Salvini). 

Con Antonio Tajani e Annamaria Bernini al governo e l’uscita di Mara Carfagna e Mariastella Gelmini si fa fatica a scovare nel partito di Berlusconi un minimo di volontà di dialogo con chi la pensa diversamente e soprattutto un briciolo critico nei confronti della presidente del Consiglio e del suo partito. Vedremo se nella cosiddetta convention milanese del 5 e 6 maggio oltre all’orgoglio berlusconiano emergerà qualche riflessione politica seria oppure no, ma c’è sinceramente da dubitarne vista la piega che hanno preso le cose. 

A parte una presa di posizione antifascista di Berlusconi nei giorni delle mattane di Ignazio La Russa e dei balbettii di Meloni (non era ancora giunta l’esternazione fascista di Gianni Alemanno che ha chiuso il cerchio), Forza Italia ha da tempo assunto la faccia di Maurizio Gasparri che nei contenuti e ancora di più nelle movenze non differisce di un’oncia dai Fratelloni d’Italia. 

Costui è onnipresente in tutte le trasmissioni, con particolare assiduità a quelle de La7 (anche due volte al giorno), oltre che a imperversare su Twitter dove si sente legittimato a tornare il ragazzo che fu soprattutto nei toni volgari.Le perle non si contano. Basti questa. Gasparri posta una vecchia foto con lui giovane, insieme ad altri missini del tempo tra cui il sopracitato Alemanno, Fabio Rampelli e lo scomparso Andrea Augello, al che un tizio domanda – con ironia tipicamente twitteresca, che vale per quello che vale – se la foto l’avesse scattata Carminati. Risponde Gasparri: «No, tua sorella, che poi fu allontanata, visto il mestiere sconveniente che faceva, seguendo l’esempio di tua madre. Infatti tra migliaia non sapete chi sono i vostri padri». Questo che sui social pare un quindicenne è anche vicepresidente del Senato. 

È possibile che l’immagine di Forza Italia, che all’inizio vantava profili come quelli di Lucio Colletti, Piero Melograni, Raffaele Della Valle, Antonio Martino, Giuliano Urbani e tanti altri, adesso si identifichi, o quasi, con Gasparri? È chiaro che lo scadimento non è cosa che riguardi solo l’immagine ma investe proprio il senso politico, diremmo storico, di questa Forza Italia ove le pur non incancellabili tracce di liberismo e garantismo unite a una certa moderazione in campo economico e istituzionale hanno connotato questo partito per anni: ma oggi tutto è scomparso tra le fauci del melonismo inteso come politica del risentimento e della reazione ad anni di emarginazione politica e culturale dell’estrema destra. 

Molti hanno notato la differenza abissale tra il Berlusconi del discorso di Onna e l’articolo di Meloni sul Corriere della Sera: il primo univa, il secondo ha diviso. Il Cavaliere, nella sua lunga traiettoria, ha certo alternato decine di volte la responsabilità nazionale al gusto arrogante del suo primato personale me è quasi un bel ricordo dinanzi a una presidente del Consiglio che sta facendo della rottura del Paese il presupposto della sua azione. Infatti mai nessun presidente del Consiglio aveva pensato di rubare la scena ai sindacati il Primo maggio: nel giorno della Festa del lavoro parlano i lavoratori, il governo poteva parlare l’indomani. Non si tratta solo di galateo politico: è una questione di rispetto dei ruoli. 

Invece i meloniani ritengono di aver escogitato una grande trovata propagandistica: “loro” fanno «balli e canti» (lo ha detto in tv uno della nouvelle vague di FdI che si chiama Raffaele Speranzon, mentre sempre Gasparri ha parlato di lavoratori «con il putipù», il concetto è il medesimo) mentre il governo lavora. Olè. Grande colpo d’immagine, devono aver pensato. Mentre invece sarebbe stato molto meglio, anche dal punto di vista dell’immagine, ascoltare i sindacati in piazza e il giorno dopo rivendicare di averli ascoltati varando il decreto (che peraltro ignora le richieste di Cgil Cisl e Uil, «la triplice» come l’ha sprezzantemente chiamata la presidente del Consiglio). 

Non si tratta solo di piccoli trucchi buoni per gli aficionados e per il Tg2 formato Eiar. Siamo piuttosto davanti alla più clamorosa smentita di quanti prevedevano una Giorgia Meloni democristiana, in qualche modo mediatrice, ecumenica, madrina più che sorella, una piccola Angela Merkel tricolore, una proiezione politica degli italiani brava gente che lavora e che produce, una nipotina del Caf (Bettino Craxi, Giulio Andreotti, Arnaldo Forlani). E invece, soprattutto nell’arco tra 25 aprile e 1 maggio, Meloni ha diviso l’Italia. Lo ha fatto prima con il denegato antifascismo, lo ha rifatto sfidando i sindacati o per meglio dire la parte più debole del mondo del lavoro. 

In questo senso la presidente del Consiglio ha mancato una duplice irripetibile occasione per accreditarsi come una leader nazionale capace di unire il Paese, spaccandolo proprio su due assi fondamentali dello spirito repubblicano, l’antifascismo e il lavoro. E la Forza Italia di Maurizio Gasparri si spella le mani. Davanti al partito di Berlusconi dunque si para un bivio: o ritrovare una sua ragion d’essere o diventare la squadra di camerieri di Giorgia Meloni. Senza Silvio, non è difficile indovinare come andrà a finire.

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