Pensiero ottimistaIl futuro ci sembrerà meno fosco se lo guarderemo come se fosse lo scarabocchio di un bambino

Comportiamoci meglio che possiamo e cerchiamo soprattutto di apprezzare la vita nella sua pienezza. Così riusciremo forse a lasciare ai nostri figli un mondo diverso da quello profetizzato dai pessimisti

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Questo è un articolo dell’ultimo numero di Linkiesta Magazine + New York Times Turning Points 2023 in edicola a Milano e Roma e negli aeroporti e nelle stazioni di tutta Italia da oggi in edicola. E ordinabile qui.

La storia offre molte lezioni, ma il suo quadro generale è sempre una matassa intricata di lana multicolore. Dove essa ci conduca dipende molto dal filo che scegliamo di seguire: l’ottimista trova sempre un bandolo che il pessimista vuole evitare accuratamente.

L’ottimista pensa a quanto oggi le cose siano migliori rispetto a venticinque anni fa. La povertà è diminuita e la scolarizzazione e l’alfabetizzazione sono cresciute costantemente. Sempre meno madri si avviano a partorire pensando che potrebbero morirne. E l’aspettativa di vita è aumentata mentre la mortalità infantile globale è diminuita.

Naturalmente, l’ottimista non ignora le ansie con cui conviviamo in questi giorni. La guerra in Ucraina rimane una grande ferita aperta. La pandemia di Covid-19 sembra avviarsi a diventare endemica. L’inflazione si ostina a rimanere alta e, se si applicassero le soluzioni proposte dalla Federal Reserve, come ad esempio una recessione indotta, sarebbe un po’ come se si provocasse un’inondazione per fermare un incendio. In politica, la destra è in ascesa negli Stati Uniti e nel mondo. E, infine, c’è il cambiamento climatico. In molte parti dell’Asia, dell’Europa e del Nord America la scorsa estate è stata infernale, con temperature che hanno superato i 40 gradi (e addirittura i 50 in alcune zone dell’India) e sono rimaste tali per settimane: ciò ha reso l’annunciata crisi climatica ormai quasi impossibile da ignorare.

L’ottimista sa però che anche in passato abbiamo avuto delle crisi. Oggi ricordiamo i primi anni Sessanta come l’epoca del sorriso di jfk e di Jackie O. anche se quella fu in realtà un’epoca piena di pericoli: la crisi dei missili di Cuba, che ci portò sull’orlo di una guerra nucleare; la “teoria del domino”, che profetizzava un futuro a tinte fosche a causa dell’aggressiva diffusione del comunismo; l’inizio della guerra del Vietnam; una crescita della popolazione mondiale a fronte di una produzione alimentare in affanno, con la conseguenza di catastrofi come la Grande carestia cinese durante la quale, come avremmo appreso in seguito, quasi 30 milioni di persone morirono di fame. E gli anni Settanta non furono molto meglio: erano gli anni del napalm e del Watergate, di Pol Pot e di Bokassa e della lenta evaporazione dell’euforia seguita alla decolonizzazione.

L’ottimista sa che da quelle crisi ne siamo usciti e quindi vede anche oggi dei progressi: il Congresso degli Stati Uniti ha finalmente approvato una legge importante per combattere il cambiamento climatico; le morti causate dal Covid-19 sono diminuite e i vaccini, almeno per ora, hanno intercettato le ultime varianti; le difficoltà della Russia in Ucraina sono un utile avvertimento per i potenziali aggressori. L’ottimista pensa che una svolta positiva sia proprio dietro l’angolo.

Il pessimista riconosce le molte conquiste dell’umanità, ma teme che le abbiamo ottenute con l’avidità, il consumismo, l’ambizione spietata e uno crudele sfruttamento. E ci vede così assuefatti a questo modo di essere da non riuscire a cambiare rotta anche se questo significa la rovina per tutti noi. Il livello del mare si innalzerà e scoppieranno guerre in conseguenza delle quali ci saranno degli sfollati che cercheranno di trovare rifugio altrove, ma quelli di noi che sono abbastanza fortunati da avere ancora una casa continueranno ad attendere un miracolo, perché non siamo in grado, o non siamo disposti, a cambiare il nostro stile di vita.

Il pessimista sa anche che gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica sono riusciti in qualche modo a evitare una terza guerra mondiale, ma ritiene che nessuna delle due parti avesse per Cuba o per il Vietnam lo stesso ardente interesse che ha ora la Cina per Taiwan. E, poiché sia gli Stati Uniti sia la Cina perseguono una volontà di grandezza e poiché l’imperialismo dell’Occidente è ancora una ferita aperta nella memoria della Cina, la terza guerra mondiale, questa volta potrebbe essere inevitabile. Questo è ciò che teme il pessimista, che pensa che abbiamo già svoltato l’angolo e a cui non piace la direzione verso cui stiamo andando.

La nostra posizione professionale è sempre stata che il dibattito tra ottimisti e pessimisti non offre alcuna soluzione: il mondo è semplicemente troppo confuso per questo. Ma possiamo (e forse dovremmo) funzionare adeguatamente anche senza conoscere le risposte. Nel frattempo, come ci dice il Candido di Voltaire, potremmo anche coltivare il nostro giardino. Facciamo del nostro meglio, risolviamo i problemi che possono essere risolti e restiamo con gli occhi aperti e concentrati su ciò che è certo. Questo “credo” ci ha aiutato a condurre una vita felice e soddisfacente. E siamo persino riusciti a convincere noi stessi che stiamo contribuendo in qualche modo al benessere globale.

La pandemia, forse perché abbiamo avuto troppo tempo a disposizione per soffermarci a riflettere su temi di questo tipo, ha cambiato le cose. E adesso ci sono giorni in cui è difficile pensare a qualcosa che non sia lo scoraggiante quadro generale. A volte uno di noi due si sente ottimista e a volte ci sentiamo ottimisti entrambi. Ma il peggio è quando siamo entrambi pessimisti: la tristezza si alimenta da sola senza che nessuno possa sostenere la tesi opposta. Ci sono momenti in cui è il lavoro a salvarci. Il dover risolvere un problema, che sia abbastanza grande da essere una preoccupazione ma che non sia così grande da soverchiarci, può ricollocare il mondo nella giusta prospettiva.

Ma si tratta al massimo di un fragile momento di tranquillità, reso possibile dal razionamento del nostro accesso alle notizie. Una qualunque cosa può riportarci nel vortice – un’osservazione buttata lì a pranzo, una battuta che non è del tutto una battuta, una conversazione intorno a un programma di viaggio. Reagiamo in modo diverso. Uno di noi due profetizza ad alta voce un destino tragico, sperando ardentemente che l’annunciarlo a voce alta possa rompere la maledizione. L’altro tace e mette in ordine la biancheria della nostra famiglia.

Dire che i bambini ci salveranno è un luogo comune. Ma non è vero, purtroppo. Anche i bambini si preoccupano e noi ci preoccupiamo con loro, sapendo che i prossimi anni sono il loro futuro più che il nostro. Ma forse i bambini sono una metafora azzeccata di una cosa che invece può salvarci: la pienezza della vita. Mentre aspetti l’idraulico che non arriva mai, puoi riallacciare un rapporto con un amico che avevi quasi dimenticato. Un bambino piange, in modo apparentemente inconsolabile, fino al momento in cui si parla di gelato. Il caos che si produce cucinando una cena per venti persone è seguito da un piacevole dopocena, durante il quale, mezzi ubriachi, si piluccano distrattamente gli ultimi avanzi di biryani continuando a ridere come degli stupidi. Le cose si confondono tra loro e la storia si disintegra in uno scarabocchio infantile in cui non c’è neppure un linea che si possa seguire fino a una svolta o a una deviazione.

© 2022 THE NEW YORK TIMES COMPANY, ESTHER DUFLO AND ABHIJIT BANERJEE

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