Sei settimane, un tempo piccolissimo, in cui potremmo fare tante cose: un viaggio, ristrutturare il bagno di casa, decidere di sposarci, studiare per un esame. Un tempo piccolissimo che svanisce in un istante. Ed è anche quello che serve, più o meno, per salvare un bambino dalla malnutrizione. Sono quattordici milioni, infatti, quelli che soffrono di malnutrizione grave e oltre due milioni quelli che muoiono per questa causa ogni anno nel mondo. Si, anche nel 2023, in cui dovremmo essere in grado di distribuire reddito e cibo in modo equo. Un obiettivo, questo, che purtroppo ancora non è stato raggiunto, nonostante a parole siamo sempre bravi a discutere di alimentazione corretta e sostenibile.
Eppure è semplice: una buona alimentazione è alla base della salute, della crescita e dello sviluppo di ogni bambino. Questo è un dato oggettivo, che conosciamo tutti. Ma forse ignoriamo, o facciamo fatica a pensarci davvero, agli effetti devastanti del rovescio della medaglia: ovvero che la malnutrizione acuta è in grado di uccidere o comunque di non assicurare uno sviluppo fisico e cognitivo ai bambini che ne soffrono.
Perché, di solito, la maggior parte di noi non pensa alla fame. Non ne abbiamo bisogno. Mangiamo perché dobbiamo farlo, perché possiamo farlo, per la socialità. Abbiamo abbondanza, abbiamo scelta. Eppure la fame è uno spettro che aleggia sugli otto miliardi di abitanti sulla terra. Il cibo c’è, ma non è distribuito in modo equo. E allora si va incontro ai tanti che sono affetti da malnutrizione, da mancanza quindi non solo di calorie, ma di proteine, vitamine e minerali essenziali per la salute. Perché quando parliamo di malnutrizione, dobbiamo analizzare sia la denutrizione che la ipernutrizione. Sono due aspetti opposti dello stesso problema. Così come l’insicurezza alimentare, quella situazione in cui non vi disponibilità di accesso e utilizzo del cibo.
Abbiamo per questo abbiamo voluto parlarne con i professionisti di Azione contro la Fame, un’organizzazione umanitaria internazionale che da quarant’anni ho proprio lo scopo di rimuovere le cause alla base della malnutrizione infantile nel mondo, di evitare la situazione di oggi, che porta a morire un bambino ogni 15 secondi.
«Noi lavoriamo per eliminare questo problema, ma anche e soprattutto sulle cause» ci spiega Licia Casamassima, responsabile Partnership e Programmi di Azione contro la Fame Italia. «Il che significa andare a lavorare su quelle che sono situazioni di conflitto e di guerra o i cambiamenti climatici o sull’accesso all’acqua, che è l’altro grande tema di riferimento, perché l’acqua sporca è un qualcosa che porta la malnutrizione a diventare malnutrizione grave. Cerchiamo di rendere le persone più resilienti. Perché anche lo sviluppo economico fa parte delle cause della malnutrizione».
Queste, infatti, sono le principali cause della fame. Qualche anno fa la tendenza si era quasi invertita, i dati erano in diminuzione. Ora le cose stanno cambiando nuovamente e i numeri crescono al crescere di quelle problematiche planetarie sotto gli occhi di tutti: la pandemia, la crisi climatica, i conflitti, la crisi economica, le disuguaglianze sociali di età o di genere. Insieme, questi elementi costruiscono un sistema che mette a rischio soprattutto popolazioni già povere e prive di risorse.
Il problema rimane, ma esiste anche la soluzione. «Le cure ci sono, sono efficienti. Ma perché non li raggiungiamo questi bambini?» ci dice infatti Licia Casamassima. Loro, quelli di Azione contro la Fame, hanno diversi progetti in giro per i Paesi del mondo, anche in Italia, dove la povertà è cresciuta e non guarda se sei nato a ovest, a est. Tra questi, anche quelli che garantiscono una cura dalla malnutrizione acuta in sei o otto settimane, a seconda dei casi.
Il loro lavoro, infatti, consiste anche nell’intervenire affinché i bambini vulnerabili sotto i cinque anni, le loro madri e le donne incinte possano avere accesso al cibo, in modo tale da avere assicurata un’alimentazione corretta e sufficiente non solo al sostentamento, ma soprattutto ad un corretto sviluppo. Per quanto riguarda i bimbi, la cura è affidata ai cibi terapeutici pronti all’uso (RUTF, Ready to use therapeutic food), ovvero alimenti a base di burro di arachidi e biscotti, arricchiti con sostanze nutritive, energetiche e proteine. Si tratta di barrette confezionate, che risultano quindi non contaminate da batteri di origine idrica e che sono pronte all’uso.
In questo modo si cerca di rivoluzionare in qualche modo la lotta contro la fame: stiamo parlando infatti di alimenti che hanno un costo molto basso e consentono un aumento dei programmi di cura per i tanti bambini malnutriti.
Ovviamente, questo tipo di intervento non sempre è possibile. A volte i bimbi sono troppo piccoli, a volta le loro condizioni sono talmente gravi da poter essere gestite solo con cure ospedaliere. Ecco perché poi da una parte diventa fondamentale l’allattamento al seno, anche dopo i mesi raccomandati dall’Oms, e dall’altra la possibilità di accedere ai sistemi sanitari.
Sei o otto settimane per una vita, quindi. Ma non basta. Perché quel che conta è la costruzione della resilienza della comunità locali, al fine di smussare le cause della fame e rendere i territori interessati più efficaci da un punto di vista economico, sanitario e sociale. E ovviamente diventa ancora più importante quel che chi è più fortunato può fare, attraverso donazioni in grado di supportare le persone, volontari e i professionisti all’opera in loco.
Questo articolo fa parte del dossier su “Il valore del tempo”, il tema del Festival di Gastronomika 2023 che si terrà a Milano dal 21 al 22 Maggio.
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