L’Italia, per il 2023, è già in burnout. Si tratta di un esaurimento energetico, e non solo, chiamato Overshoot day, il giorno in cui le risorse naturali a disposizione per il sostentamento di un Paese terminano prima che l’anno in corso possa dirsi effettivamente concluso. Il punto di non ritorno in Italia è già arrivato: quest’anno cade il 15 maggio, lo stesso giorno di Bahamas e Cile, e non è una buona notizia.
Come funziona
Dal 1961 a occuparsi di identificare l’Overshoot day del nostro pianeta e delle diverse nazioni è il Global footprint network, ente che ci offre annualmente una fotografia dello stato di salute della Terra, estratto conto di quanto e come l’umanità decide di consumare ciò che ha a disposizione. Tutto parte da un calcolo semplice, dal rapporto tra la quantità di risorse che il Pianeta riesce a generare annualmente (biocapacità) e l’impronta ecologica, ossia la quantità di risorse divorate da tutti noi, il nostro lascito alla natura.
La tendenza dominante è chiara e inquietante: catturati in una spirale in cui a contare sono l’hic et nunc, il tempo presente lo disegniamo in base alle nostre esigenze, bulimiche e sconclusionate delle risorse naturali, che puntualmente finiscono per non soddisfarci. È così che, ogni anno, il pianeta dispone di una finestra sempre più ristretta per rigenerarsi, i burnout sono più frequenti e irreparabili. Il peggioramento è evidente: secondo il World Economic Forum, infatti, l’Overshoot day globale nel 1970 cadeva il 30 dicembre, soltanto il 29 luglio nel 2021.
Nonostante la data dell’Earth Overshoot day 2020 ci avesse fatto ben sperare (era caduta il 22 agosto), il nostro debito con il pianeta aumenta costantemente, anche a livello nazionale. A terminare per primi le risorse, quest’anno, ci hanno pensato Qatar e Lussemburgo (rispettivamente il 10 e il 14 febbraio) mentre tra i Paesi più parsimoniosi troviamo Mali, Sud Sudan e Benin, i cui mezzi naturali si concludono rispettivamente il ventuno, il venticinque e il ventisei dicembre.
In Italia, in Europa
L’Overshoot day è forse percepita come una data nefasta, l’ennesimo conto alla rovescia verso la fine del mondo alla stregua del Climate Clock, il maxi orologio apparso a New York nel 2020 che scandiva il lasso di tempo che ci separava dal baratro climatico. Eppure, proprio come il countdown di Union Square o le recenti e controverse proteste degli attivisti ambientali, ricordarci l’Overshoot day ha un significato più importante, che vuole trascinarci oltre il mero allarmismo.
La verità che emerge è che non solo le risorse naturali sono insufficienti, ma la Terra non ci sopporta più, ed è solo colpa nostra. Secondo i calcoli del Global footprint network, per esempio, se nelle altre Nazioni si consumassero risorse come in Italia, avremmo bisogno di 2,7 Terre per il sostentamento mondiale.
Il nostro Paese, infatti, ha ancora molta strada da fare e nella valorizzazione delle proprie risorse e nell’educazione a un consumo consapevole e sostenibile, che per svilupparsi faccia leva anche sugli elementi apparentemente di scarto. Se secondo Assoambiente l’Italia è prima in Europa, insieme alla Francia, per il tasso di rifiuti riciclati, lo stesso primato non si ripete per esempio a livello idrico. In barba alla siccità e alla crisi idrica mondiale, da circa vent’anni l’Italia detiene il primato del volume di acqua dolce prelevata per uso potabile, con picchi nei mesi estivi.
Si tratta di circa 9,2 miliardi di metri cubi nel 2018, che non sempre arrivano a destinazione. Perché se ingenti sono i prelievi, altrettanto corposi saranno le perdite, a causa di infrastrutture inadeguate e carenti. Secondo l’Istat, nel periodo 2018-2020, per ogni cento litri d’acqua immessi nel sistema idrico, quarantadue sono andati persi.
L’inadeguatezza delle infrastrutture è la spada di Damocle che non possiamo permetterci di reggere, con il 2022 che si attesta uno degli anni più caldi mai registrati e la siccità dilagante in tutta Europa. Tra sprechi e opportunità non colte, è proprio dall’Unione europea che giunge, anche per l’Italia, la spinta al miglioramento.
Le indicazioni sono semplici: maggiore sostenibilità idrica, che si traduce anche nel riutilizzo delle acque reflue urbane. Si tratta di acque di scarico depurate e riutilizzate in vari ambiti e il cui uso, dal 2020, è stato regolamentato anche in ambito agricolo e industriale. L’Italia, anche in questo caso, è il fanalino di coda: secondo Arera (Autorità di regolazione per energia reti e ambiente), infatti, il nostro Paese riutilizza solo il quattro per cento delle acque reflue effettivamente a disposizione, destinandone solo lo 0,4 per cento al settore agricolo.
Le cause, come dimostrano le procedure d’infrazione comunitarie finora collezionate, sono riconducibili anche all’inadempienza alle direttive precedenti. Volente o nolente, però, le nuove indicazioni europee, applicabili da giugno 2023 negli Stati Membri, dovrebbero finalmente fissare delle norme sanitarie e ambientali comuni.
Per un settore che, secondo BNL BNP Paribas, nel 2020 è stato responsabile del diciotto per cento della produzione mondiale di gas serra, questa può rappresentare una grande possibilità di evoluzione, per chi saprà coglierla. Intanto quattro miliardi di euro del Pnrr destinati al servizio idrico nazionale e al suo rinnovamento e la promessa, tramite il decreto siccità, di affrontare la crisi idrica passando per l’agricoltura e l’utilizzo delle acque reflue. Se l’Europa ci prova, l’Italia arranca. Tra uno stress climatico e l’altro restando a bocca secca, verso il prossimo Overshoot day.