Zappa sui piediNon si parla abbastanza dell’inefficienza della rete idrica italiana

In Italia sprechiamo il 36,2% dell’acqua immessa nelle tubature, e il 60% delle infrastrutture è stato messo in posa più di 30 anni fa. Questi problemi risultano molto più evidenti durante i periodi di siccità, ma c’è chi ancora si concentra solo sulla responsabilità individuale

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Con l’attuale crisi idrica dovuta alle scarse precipitazioni e alle temperature sopra la media del periodo (tutte conseguenze della crisi climatica), sui social e sul web serpeggiano post, video e articoli ricchi di dritte – utili o meno – per non sprecare acqua nel quotidiano. Tra questi contenuti figura anche un’intervista del Corriere della Sera al presidente onorario del Wwf, Fulco Pratesi, che ha ammesso di aver fatto la sua ultima doccia completa quando era giovane e giocava ancora a rugby e di cambiare le mutande «in maniera molto ecologica, ogni due-tre giorni, ma a volte di più». 

La responsabilità individuale è un tema importante e da non sottovalutare: è fondamentale che ogni cittadino utilizzi l’acqua con parsimonia, a maggior ragione in un momento come questo. Tuttavia non deve trasformarsi in una retorica così ingombrante da oscurare alcune questioni cruciali, spesso dimenticate in un angolo remoto del panorama informativo italiano. Una di queste riguarda il pessimo stato della rete idrica italiana, che è un vero e proprio colabrodo: perde (tanta) acqua preziosa a causa dell’obsolescenza degli impianti, degli scarsi investimenti e di una manutenzione sporadica. Soprattutto nelle regioni del sud, come spiegheremo più avanti. E più acqua pubblica si spreca, più i prezzi salgono: secondo Cittadinazattiva, nel 2021 la bolletta media dell’acqua in Italia è risultata più cara del 2,6% rispetto al 2020. 

Obsolescenza, scarsa manutenzione e pochi investimenti 
Guardando le statistiche dell’Istat, notiamo che – nei capoluoghi di provincia/città metropolitana – nel 2020 sono andati persi 41 metri cubi d’acqua per chilometro di rete idrica: parliamo del 36,2% dell’acqua immessa nel sistema. «In questo dato sono racchiuse le perdite reali, che derivano magari dai classici fori, e quelle apparenti, dette anche amministrative. Queste ultime non sono connesse a una perdita fisica di volume d’acqua, ma in termini economici danno origine a sprechi di risorse. Parliamo, per esempio, di volumi non quantificati in modo corretto per errori di misura da parte dei contatori», ci spiega Domenico Pianese, professore di Costruzioni idrauliche e marittime e idrologia all’Università degli Studi di Napoli Federico II. 

Quell’inquietante 36,2% è la conseguenza del pessimo stato del nostro sistema idrico, anche in questo caso confermato da numeri emblematici. Stando al report sul servizio idrico di Cittadinanzattiva, il 60% delle infrastrutture (il 70% nei centri urbani) è stato messo in posa più di 30 anni fa, e il 25% (40% nei centri urbani) supera i 50 anni di età: «Considerando che la vita utile di una struttura idrica è di 50 anni, stiamo parlando di condotte non giovani», afferma Maurizio Giugni, Commissario straordinario unico per la depurazione. Come se non bastasse, sottolinea il professor Pianese, in Italia «non si realizzano nuove opere che possono far convogliare le acque verso i destinatari finali». 

Il 13 giugno il ministero per le Infrastrutture ha annunciato di aver ricevuto 119 proposte di interventi per aumentare l’efficienza delle reti idriche italiane. Questi progetti rientrano tra le opere del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), che per questo ambito prevede investimenti complessivi di 900 milioni di euro, con una prima tranche da 630 milioni. In generale, per raggiungere l’obiettivo della “Garanzia della sicurezza dell’approvvigionamento e gestione sostenibile ed efficiente delle risorse idriche lungo l’intero ciclo”, il Pnrr stanzierà un totale di 4,38 miliardi. Risorse importanti, ma probabilmente insufficienti, per provare a compensare un ritardo infrastrutturale dovuto (anche) a una grave carenza di investimenti e interventi manutentivi. 

«Per ridurre le perdite d’acqua si può intervenire anche senza rifare le condotte, sfruttando tecniche innovative. Ma quando il sistema invecchia, c’è poco da fare. Serve una manutenzione programmata, e questo comporta degli investimenti», sottolinea Giugni. Negli ultimi anni, specifica Cittadinanzattiva, in questo settore gli operatori industriali hanno investito 44 euro annui per abitante. Da una parte c’è stato un incremento del 30% rispetto a sette anni fa. Dall’altra, però, bisognerebbe salire ad almeno 80 euro per rimanere in linea con gli standard europei. 

Il “water service divide”
Parlando di qualità del sistema idrico, si evidenzia un netto divario tra nord e sud. Anche dal punto di vista della manutenzione ordinaria, straordinaria e preventiva (per evitare problemi durante l’esercizio del sistema).

«Il parametro delle perdite va a incrementarsi quando ci spostiamo verso sud. I dati peggiori si notano in Sicilia, in Calabria e in parte in Campania, che sta però recuperando il terreno perduto. In questi territori il servizio idrico integrato è molto articolato, e manca un gestore affidabile che faccia manutenzione sulle parti più vecchie. La stragrande maggioranza di interventi, i due terzi, dovrebbe avvenire in Sicilia, e gli altri in Calabria e Campania», ci spiega Giugni, che ha ricordato l’importanza di colmare il cosiddetto “water service divide”.

Mentre nelle Regioni del nord-est e del nord-ovest viene disperso (e quindi sprecato) rispettivamente il 38,9% e il 32,2% dell’acqua immessa nella rete idrica, nel resto l’Italia la situazione è decisamente più drammatica: 49,4% al centro e 51,3% nel sud e nelle isole. «In Italia, gli investimenti nel sistema idrico sono decisamente aumentati negli ultimi dieci anni, toccando anche i 49 euro per abitante ogni anno. Questo dato, però, scende a 35 per abitante ogni anno nel mezzogiorno», aggiunge Giugni. Nel 2018, sempre secondo Cittadinanzattiva, in Abruzzo c’era una dispersione idrica del 55,6% e in Basilicata del 45,1%, in Lazio del 53,1% e in Sardegna del 51,2%, contro il 22,1% della Valle d’Aosta, il 29,8% della Lombardia e il 31,2% in Emilia-Romagna. 

«C’è una scarsa percezione delle reti idriche, perché la stragrande maggioranza dei manufatti è sotto terra, chi non lavora nel settore non sa esattamente di cosa parla», ricorda il professor Giugni. In Italia, ormai da anni, c’è una sottovalutazione sistematica dei problemi a livello di rete idrica e di approvvigionamento idrico: due temi che dovrebbero essere prioritari, ma che hanno spesso occupato le posizioni finali della “to do list” di governi e amministratori locali. Il risultato? La siccità e le temperature attuali stanno avendo conseguenze molto più traumatiche del previsto, e diverse Regioni rischiano il razionamento dell’acqua (la Lombardia ha già dichiarato lo stato di emergenza valido fino al 30 settembre).

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