Piano munizioniInterrompere la fornitura di armi all’Ucraina non aiuterebbe il negoziato, dice il capo di Stato maggiore

«Nessuna soluzione scaturisce dal fatto che l’aggredito non è più in grado di difendersi», spiega Pietro Serino. «Mi rendo conto che gli strumenti militari non hanno una finalità nobile, ma come più volte ribadito dal ministro della Difesa, l’aiuto di Paesi che condividono i valori di libertà e democrazia fra le nazioni ci deve essere. Non si può fare un passo indietro»

Maxim Dondyuk, Ukraine ’22 (2022), foto digitali. Courtesy dell’artista
Maxim Dondyuk, Ukraine ’22 (2022), foto digitali. Courtesy dell’artista

Gli ambasciatori dei 27 Stati membri dell’Ue hanno approvato ieri il “secondo pilastro” del piano munizioni europeo, che permetterà di utilizzare un miliardo di euro del Fondo per la pace per finanziare i rifornimenti militari all’Ucraina. Il comitato ha dato anche il via libera a una misura “modello-vaccini” che stanzia 500 milioni di euro per accelerare la capacità produttiva delle aziende europee, con la possibilità di ricorrere ai fondi del Pnrr. Decisione che in Italia ha suscitato le ire del leader del Movimento Cinque Stelle Giuseppe Conte: «Quei fondi servono a far rialzare l’Italia non a fare la guerra», ha detto.

Una risposta arriva oggi dal generale di Corpo d’Armata Pietro Serino, capo di Stato maggiore dell’Esercito, che sul Corriere lancia l’appello per la costituzione di un polo industriale militare terrestre: «Avere un partner industriale di riferimento per la difesa terrestre sarebbe un bene per il Paese e per l’Esercito. In Italia questo settore non è mai decollato, a parte realtà con obiettivi a medio termine, come l’Iveco-Oto Melara. Invece in quello navale e aerospaziale abbiamo campioni come Fincantieri e Leonardo. Ma se vogliamo partecipare alla costruzione di un sistema di difesa europeo, dobbiamo fare sinergia con le realtà industriali che abbiamo, non solo nello sviluppo dei prodotti, ma anche nell’assetto societario».

Un’urgenza, dice, in un momento in cui «il quadro è cambiato in modo repentino: la guerra in Ucraina ci ha insegnato che ciò che sembra lontano può presentarsi all’improvviso vicino a casa nostra». Certo, ammette, è difficile azzardare previsioni sulla durata della crisi con la Russia: «Di sicuro per porre fine a un conflitto sul piano negoziale c’è bisogno di entrambe le parti: mi sembra difficile che l’interruzione della fornitura di armi all’Ucraina possa essere una precondizione per arrivare al negoziato. Nessuna soluzione di questo genere scaturisce dal fatto che l’aggredito non è più in grado di difendersi. Mi rendo conto che gli strumenti militari non hanno una finalità nobile, ma come più volte ribadito dal ministro della Difesa, l’aiuto di Paesi che condividono i valori di libertà e democrazia fra le nazioni ci deve essere. Non si può fare un passo indietro».

Senza entrare nel dettaglio di decreti secretati, il generale racconta che «tra i vari aiuti, sono stati anche donati mezzi dismessi dalle forze armate italiane da molti anni e mai offerti proprio per il loro stato di manutenzione e vetustà. Sono stati richiesti, comunque, da parte ucraina, nonostante le condizioni, per essere revisionati e messi in funzione, vista l’urgente necessità per fronteggiare l’aggressione russa. Sull’esito della rimessa in efficienza, non sono stati dati aggiornamenti né alla Difesa né all’Esercito, trattandosi solo di mezzi classificati come di non conveniente riparazione».

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