Lo zar è deboleLa solitudine di Putin e il tramonto della Russia come potenza globale

Il dittatore russo è diventato un paria internazionale. Tutti i suoi obiettivi strategici e diplomatici sono falliti. Se cadrà non sarà perché il popolo ha deciso rovesciarlo, ma perché il suo trono malfermo è crollato

LaPresse

Lo zar è debole: isolato dall’esterno, braccato dall’interno, prigioniero degli “amici”. Dietro la narrazione costruita a colpi di falsi miti dalla sempre meno efficace propaganda del Cremlino, si intravede ormai nitidamente la debolezza di una leadership che ha mancato tutti gli obiettivi che si era prefissata. E così, dalla Cina che all’ONU vota una risoluzione che riconosce la Russia come «aggressore», al Sudafrica che avverte Putin di non entrare nel paese altrimenti dovrà procedere al suo arresto, passando per la questua all’Iran per la fornitura di droni e il continuo fuoco amico di accuse e denigrazioni da parte del capo della Wagner, Yevgeny Prigozhin, la presunta Grande Russia agognata dallo Zar Vladimir appare ormai per quello che è: un patetico paria internazionale.

Ma per comprendere bene la situazione, bisogna sgombrare il campo da uno dei più ingenui e colossali abbagli che incombono su chi cerca di districarsi tra fatti, fattoidi e sgangherate fake news: nessuna rivolta popolare è all’ordine del giorno in Russia, neanche lontanamente. Nessuna presa della Bastiglia all’orizzonte. Ogni tanto questa ipotesi riaffiora, ma si tratta di fantascienza. La stragrande maggioranza dei Russi sostiene Putin. Chi non lo sostiene è totalmente silenziato da una repressione di stampo ormai talebano. Chi prova a reagire è numericamente insignificante e destinato a una brutta fine.

Non sarà dunque il popolo a rovesciare il tiranno, sarà il suo trono malfermo a crollare. Da un lato, sotto i colpi della Resistenza ucraina sul campo e i contraccolpi che questa sta inducendo nelle élite di corte; tanto quella finanziaria quanto quella militare, sempre più insofferenti per gli umilianti fallimenti del fu glorioso esercito russo e per le devastanti conseguenze economiche della scelta criminale e suicida di invadere la sovrana Ucraina. Le sanzioni infatti picchiano duro. Lo ammette implicitamente da sempre Ėl’vira Nabiullina, governatore della Banca centrale della Federazione Russa. Di recente, è stato costretto ad ammetterlo in modo esplicito persino Putin. A negarlo sono rimasti ormai i soliti, frastornati rossobruni più realisti del re.

A oggi, è impossibile prevedere se il dittatore russo sopravviverà al suo rovinoso fallimento militare e politico, con l’odiata NATO che si allarga proprio come effetto della sua paranoica debolezza. Quello che è certo è il definitivo tramonto della Russia come potenza globale e il suo irreversibile declassamento a pericolante potenza regionale.

La maggiore spina nel fianco di Putin è certamente l’imprenditore Yevgeny Prigozhin, leader del gruppo mercenario Wagner. Per la scarsa efficacia dell’esercito regolare russo, lo zar si è visto costretto a ricorrere, come già era avvenuto in Siria, all’esercito privato di Prigozhin, ex imprenditore della ristorazione e protetto dello stesso presidente russo, tanto da vedersi affibbiare il soprannome di “cuoco di Putin”. Usare Prigozhin per lo zar significa avere qualcuno che risponde formalmente solo a se stesso, e quindi può operare tranquillamente fuori dalla legalità. L’esercito privato può dunque compiere le peggiori atrocità, se utili al governo di Mosca. A Putin, per prenderne le distanze, basterebbe eventualmente disconoscerle e licenziare, anche solo apparentemente, i mercenari responsabili. Ma non è tutto. La presenza della Wagner a Putin serve anche per controbilanciare eventuali meriti, prestigio acquisito e quindi potere, dei suoi generali dell’esercito regolare. A loro volta, i generali vengono branditi da Putin per scongiurare che la stella di Prigozhin inizi a brillare troppo.

Questo gioco di prestigio dimostra la paranoia di Putin e quanto questi avverta a pieno la propria precarietà. Putin sente di essere debole, sa bene che il suo regime si regge sulle tremanti gambe della repressione violenta, dell’omicidio dei dissidenti, dell’appoggio famelico di chi vuole fagocitarlo (leggasi Cina), della totale negazione della realtà riguardo alle miserevoli condizioni socioeconomiche della stragrande maggioranza della popolazione. Le immagini dello zar che riceve i suoi generali e ministri e li fa sedere a metri di distanza sono esaustive in tal senso.

E con Prigozhin il gioco gli è scappato di mano. Come scrive Tatiana Stanovaja per il The Carnegie Endowment for International Peace, «ogni giorno cresce il divario tra il ruolo che Putin ha assegnato a Wagner e il posto che lo stesso Prigozhin crede di meritare. Per il presidente russo, una compagnia militare privata è una risorsa conveniente per qualsiasi potere con ambizioni geopolitiche, ma dovrebbe operare esclusivamente nell’interesse dello Stato ed evitare le luci della ribalta. Non dovrebbe intraprendere iniziative proprie e certamente non dovrebbe avere un’agenda politica». È successo l’esatto contrario.

Il capo della Wagner ha quasi da subito messo in scena un protagonismo che ben presto si è rivelato molesto per il Cremlino. Al comando dell’assalto di Bakhmut, la piccola cittadina del Donbas dove lo stallo invernale ha costretto i combattimenti, Prigozhin ha dato il via al suo show. Più volte ha annunciato la presa della cittadina ucraina, con tanto di video più casarecci che solenni, dove il capo dei mercenari annuncia trionfante la conquista. Scene certamente gradite al Cremlino, ma non se si verificano ogni venti giorni. Infatti, questa mitica presa di Bakhmut sarebbe avvenuta più volte. Decisamente troppe! Presa che poi lo stesso Prigozhin smentiva puntualmente.

In realtà, ancora oggi, dopo nove mesi di strenui tentativi tra esercito regolare e gruppo Wagner, una parte della cittadina resta ancora non espugnata. Come risultato si è avuta una sorta di assuefazione, dove l’unica cosa che emerge con nettezza è l’incapacità dei russi di ottenere almeno una minima vittoria simbolica, da poter brandire dal piedistallo della propaganda. Il tutto, inoltre, al prezzo spaventoso di decine di migliaia di soldati russi morti, per appena pochi chilometri quadrati di avanzata.

Un’impasse umiliante che il dittatore russo ha cercato di mascherare nel modo più feroce e criminale possibile: il lancio massiccio di missili su edifici civili, lontani dai teatri di guerra, che hanno provocato migliaia di vittime, inclusi centinaia di bambini, molti di questi in fasce.

Obiettivi insignificanti dal punto di vista militare, ma utili a creare artificialmente l’immagine muscolare della Russia forte e sicura di sé, che fa strage del nemico. Questo abbandonarsi al terrorismo più estremo, che rende indistinguibile la Russia da Al Qaida o dall’Isis, certamente è servito anche a placare una non piccola parte di popolo russo e di sostenitori stranieri di Putin (palesati o nascosti dietro un peloso pacifismo), delusi per l’esito dell’invasione e assai compiaciuti per i massacri.

Lo sfiancamento di Prigozhin ai danni di Putin si è poi allargato alle lamentele sulla fornitura di munizioni. Più volte il capo della Wagner ha fatto rimostranze pubbliche su questo tema, corroborando le indiscrezioni delle intelligence occidentali sulle difficoltà di approvvigionamento dei russi, a causa delle sanzioni. In effetti, benché fossero delle esagerazioni le voci sulla fine imminente di munizioni da parte di Mosca, negli ultimi mesi gli attacchi missilistici dei russi contro gli inermi civili ucraini sono diminuiti. Più massicci ma assai più diradati nel tempo. Come segnalato dalla puntuale e precisa intelligence del Regno Unito.

Infine, è arrivata la nuova mobilitazione in Russia. Prima annunciata a petto in fuori, quasi a dire che ora si fa sul serio… Poi smentita, dando a intendere che in realtà non ve ne fosse bisogno. Infine, annunciata di nuovo. Ed ecco Prigozhin, in uno squallido stanzino, armato di cornetta del telefono, seduto accanto a un collaboratore. Come in un b-movie con intenti parodistici, il sanguinario capo della Wagner si fa riprendere mentre chiama personalmente a casa i possibili candidati al reclutamento, offrendo una lauta paga mensile e altri mirabolanti benefici. Solo che non è un film di David Zucker, è tutto tragicamente vero.

Questo grottesco ping-pong mediatico tra Prigozhin e Putin viene poi intercalato da continue voci su aspirazioni presidenziali del primo, mentre le prime critiche di peso allo zar, sebbene ancora sottovoce, iniziano ad arrivare da più parti. In questo modo, Putin appare sempre meno capace di tenere in pugno la situazione, benché nessuno, ad oggi, abbia mostrato la forza necessaria a disarcionarlo dall’interno. Una fase di stallo che costituisce una sorta di sabbie mobili politico-militari entro le quali la Russia sta progressivamente affondando.

Una spirale che si ripropone anche sul piano geopolitico. La Russia infatti è sempre più isolata e la sua economia sta soffrendo duramente. Questo nonostante gli sforzi epici nella forma ma risibili nel merito di quanti, prezzolati o irriducibili che siano, come automi ripetono in loop la propaganda del Cremlino. Dalla crescita mirabolante di nuovi mercati russi verso est, alla imminente creazione di fantomatici nuovi poli geopolitici, in grado non solo di superare l’Occidente, ma persino di creare una moneta alternativa, destinata a scalzare il primato del dollaro. Stiamo parlando ovviamente della mitologia, molto internettiana, dei “Brics”, le cosiddette potenze emergenti (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) e della “de-dollarizzazione”.

A oggi, il G7 ha un Prodotto interno lordo complessivo di 45,1 trilioni di dollari mentre quello dei BRICS si ferma a 27,8 trilioni (dati: FMI). Tra Cina e India intercorrono ancora tensioni che tre anni fa portarono a uno scontro a fuoco sul confine con decine di morti per parte. L’ultimo scontro risale ad appena sei mesi fa. La Cina ha mire sul medio oriente, ossia l’area che rappresenta, o meglio, rappresentava il giardino di casa della Russia. Il Sudafrica si è visto costretto a realizzare un piano di blackout nazionali programmati, per ridurre i gravi disagi dovuti alla carenza di energia elettrica. Questo è nella realtà.

Intanto, all’ONU, per la prima volta Cina e India votano favorevolmente a una risoluzione che contiene la definizione della Russia come “aggressore”. Per l’esattezza, sul paragrafo specifico si sono astenute. Hanno quindi peccato di eccesso di euforia quanti hanno brindato al cambio di passo. Tuttavia, il voto favorevole finale rappresenta quantomeno un segnale.Perché fino a oggi, prima di questo frangente, ogni risoluzione di questo tenore aveva visto sempre e solo l’astensione da parte dei due paesi asiatici.

Un’altra nota dolente per Putin, ben più pesante, arriva da un altro “alleato brics”, il Sudafrica. La questione riguarda il mandato di arresto che la Corte Penale Internazionale (CPI) ha emanato contro il dittatore russo circa un mese fa. Ora, il prossimo agosto il Sudafrica, membro della CPI, ospiterà il summit dei Brics. Ogni paese membro ha l’obbligo di arrestare chiunque sia colpito da mandato d’arresto internazionale, se transita sul proprio territorio. Il Sudafrica, in ossequio a Putin, ha valutato l’ipotesi di uscire dallo Statuto di Roma, che istituisce la Corte Penale Internazionale (CPI), per consentirgli di recarsi al vertice senza essere arrestato. Dopo un penoso tira e molla, la marcia indietro: il Sudafrica resta membro della CPI.

Ed ecco che Putin si trova nella umiliante condizione di ricercato internazionale, che non può recarsi a un summit fra alleati, ospitato in uno dei paesi alleati, altrimenti il paese ospitante, in questo caso il Sudafrica, è costretto ad arrestarlo. E su questo punto è arrivato l’avvertimento del governo sudafricano: «non abbiamo alcuna opzione per non arrestare Putin… se viene qui, saremo costretti a trattenerlo».

Intanto sul versante occidentale la grande famiglia della NATO è cresciuta con l’ingresso della Finlandia, e tutto procede per il futuro ingresso della Svezia. Mentre si alzano sempre più numerose le voci che chiedono con forza l’ingresso dell’Ucraina nella UE e anche nella NATO. Si tratterà di un processo non immediato. Ci sono dei tempi tecnici da rispettare. Ma il percorso è iniziato, ed è irreversibile.

Tutto questo rappresenta esattamente il contrario degli obiettivi che Putin si era prefissato. L’allargamento della NATO era infatti una delle ragioni con le quali ha motivato la criminale invasione della sovrana Ucraina. In realtà, è noto che il problema vero non era la NATO, bensì l’incontenibile voglia di Occidente di tutte le ex repubbliche sovietiche, desiderose di assaggiare libertà, progresso e democrazia, dopo aver conosciuto il giogo dell’URSS e la miseria umana e materiale della distopica società comunista. Era ed è questo che minaccia le antistoriche velleità imperiali della Russia di Putin. Dividere Unione europea e Stati Uniti, la UE al suo interno e depotenziare la NATO era la sua ultima spiaggia. E ha miseramente fallito.

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