Derecho de viviendaLa ricetta spagnola contro il caro affitti non sarà perfetta, ma almeno ha capito l’entità del problema

La riforma di Sánchez contro la speculazione edilizia risponde a un’emergenza. Nel Paese iberico, però, il tema del diritto all’abitare è riconosciuto come l’altra faccia della crisi e viene affrontato senza tifo da stadio e senza colpevolizzare i giovani

Barcellona dall'alto
Foto di Logan Armstrong su Unsplash

Perdere la casa, cercarne una nuova, brancolare tra gli annunci più assurdi. Quando ho scoperto che il mio contratto di affitto, non sarebbe stato rinnovato è stato il buio. Perché svariati anni da fuori sede, in una grande città come Milano, per esempio, ti insegnano tante cose. Tra le più pratiche ed emotive insieme, c’è il non dare per scontato il tetto che hai sulla testa e, soprattutto, la fatica nel guadagnartelo.

Fatica perché, spogliandosi dalle aspettative meramente estetiche, chi vive e viene percepito come ospite in una grande città sa fin da subito che la caccia alla casa è una competizione feroce che somiglia, a tratti, all’inferno dantesco. A barcamenarsi tra gli oscuri gironi c’è chi cerca un alloggio, il potenziale inquilino, e poi ci sono tutti gli altri: locatori, agenzie immobiliari, case fantasma e truffatori. Una Battle Royale dal quale sì, riesci a sopravvivere, ma a costi altissimi.

Sono anni e settimane di tende davanti alle università, proteste, promesse che si susseguono e si contraddicono. Quando si parla di caro affitti però, in Italia, la storia è sempre la stessa. Fazioni contrapposte, tifoseria da stadio tra chi è costretto a pagare prezzi esorbitanti e chi, nella bambagia del proprio orticello d’inconsapevolezza e privilegio, si erge a osservatore, talvolta criticando e senza mai capire (neanche un tentativo) l’entità del problema. Il privilegio che da generazioni e a prescindere dall’estrazione sociale tutte e tutti vorremmo, in questo caso, è la fortuna di poter esercitare il proprio sacrosanto diritto all’abitare.

Derecho de vivienda
Se in Italia il diritto all’abitare sembra un miraggio, sminuito da politici e personalità pubbliche e declassato a vezzo delle generazioni più giovani, nel resto d’Europa, perlomeno, qualcosa sembra muoversi. Risalgono infatti a qualche settimana fa le ultime riforme spagnole sugli affitti proposte dal governo Sánchez, espressione di una classe politica che sembra essere se non la più progressista, sicuramente la più attiva in Europa.

Al centro c’è il tema della speculazione immobiliare, da arginare con una soglia del due per cento e del tre per cento (a partire dal 2024) sull’aumento degli affitti e una svolta sulle agenzie immobiliari, la cui provvigione sarà a carico del locatore, non più dell’inquilino. Si interviene inoltre fissando un tetto sugli affitti nelle zone «stressate», ovvero quelle aree in cui il costo delle spese basilari supera del trenta per cento il reddito medio degli abitanti, oppure zone in cui negli ultimi cinque anni i costi di locazione sono aumentati di oltre il tre per cento rispetto all’inflazione.

Le regioni avranno inoltre la facoltà di considerare «grandi proprietari» anche le persone fisiche che possiedono più di cinque case, contenendone i prezzi. Un pacchetto di riforme che dovrà ora trovare applicazione e che però, almeno in teoria, sembra testimoniare una propensione all’azione verso un problema che, così come in Italia, ha radici profonde.

Diritto all’abitare e crisi abitativa sono due facce della stessa medaglia, tendono a intersecarsi e rincorrersi, con conseguenze tangibili sui cittadini e sulla qualità della vita, soprattutto quando lo Stato non mostra supporto. Secondo Amnesty International, la Spagna è il Paese che ha ricevuto il maggior numero di condanne dal Comitato dei diritti economici, sociali e culturali delle Nazioni Unite, con l’accusa di violare il diritto all’abitare.

Ce lo mostrano anche i numeri, nel 2021 in Spagna gli sfratti sono stati circa quarantunomila, cinquecentomila dal 2013 a oggi. In Italia, comunque, la situazione non è migliore: infatti secondo l’Osservatorio nazionale sulle politiche abitative e di rigenerazione urbana in Italia ogni anno vengono eseguiti tra i ventimila e i trentamila sfratti. La precarietà la fa da padrona, trasformandosi in malattia di cui si tentano di mitigare solo i sintomi.

Tamponare un’emergenza
Tornando alla Spagna, l’evoluzione delle politiche abitative è articolata, fatta di tentativi e correzioni continue. «Durante il franchismo le politiche della casa erano insufficienti, pensate in maniera paternalista. Con la transizione democratica e la strutturazione dello Stato in comunità autonome, il problema si è regionalizzato, così come si sono regionalizzate le soluzioni. Ciò ha creato ulteriori squilibri all’interno del sistema», racconta Marco Cipolloni, dottore di ricerca in Iberistica e professore ordinario di Lingua cultura e istituzioni dei paesi di lingua spagnola, Varietà della lingua e Comunicazione interculturale presso il Dipartimento di Studi linguistici e culturali dell’Università di Modena e Reggio Emilia.

Soluzioni eterogenee per un sistema complesso, il modello spagnolo fa del settore immobiliare il proprio traino verso lo sviluppo, con una cementificazione forsennata (che riguarda anche l’Italia, pure in zone rischiose a livello ambientale) che spinge verso l’acquisto, a scapito dell’affitto e dell’edilizia pubblica. In Spagna infatti gli alloggi popolari sono solo il 2,5 per cento di quelli disponibili, la situazione è leggermente  migliore in Italia dove rappresentano il quattro per cento, ma ancora insufficiente per gli standard europei (la media è del nove per cento).

Le soluzioni proposte in Spagna nel corso degli anni rispondono all’esigenza di arginare una problematica storica e anche culturalmente connotata, ma non sempre si rivelano così efficaci nel lungo termine. «Si sono sperimentate tante e idee e soluzioni, più o meno riuscite. Inizialmente, in Spagna, anche l’idea di finanziare ampiamente i mutui sembrava efficace, facendo sì che tutti potessero comprare la vivienda e costruendo tanto, ma poi la crisi economica del 2008 ha modificato tutto, amplificando il problema e la crisi abitativa. Le ultime riforme sembrano quindi una risposta congiunturale a un’emergenza, che allevia la problematica senza risolverla», continua Cipolloni.

Tende fuori dal Politecnico di Milano, protesta contro il caro affitti
(AP Photo/Luca Bruno)

Paesi (e politiche) a confronto
Eppure, nonostante alcuni interventi si siano rivelati fallimentari, sembra che in Spagna la crisi abitativa favorisca una circolazione di idee e un fermento che non ha eguali in Italia. La questione demografica, l’invecchiamento della popolazione, il pendolarismo che si scontra con infrastrutture inconsistenti e la migrazione interna che negli anni, in Spagna come in Italia, ha visto lo spostamento della popolazione più attiva verso il Nord e le regioni più ricche; i macro-fattori che generano difficoltà sono i medesimi, l’attitudine alla risoluzione non comparabili.

Spagna e Italia non sono sovrapponibili in termini storici, politici e culturali ma alcuni fenomeni si dispiegano diversamente. In Italia, per esempio, la questione della migrazione interna riguarda anche gli studenti universitari: secondo Talent Ventures nel 2017-2018 il ventisette per cento degli universitari in Italia frequentava un ateneo in una regione diversa da quella di residenza, con Lombardia, Lazio ed Emilia-Romagna che accolgono il cinquanta per cento degli studenti fuori sede.

Eppure, i quasi seicentomila studenti fuori regione, in Italia possono fare affidamento su poco più di quarantamila posti letto in alloggi gestiti a livello pubblico, che soddisfano solo il cinque per cento della richiesta totale. Panoramica totalmente ribaltata in Spagna dove la quota di universitari che studiano fuori la propria regione di residenza raggiunge il trenta per cento, con la possibilità di fare affidamento su una fitta rete di collegi statali e strutture residenziali, legati alle università ed enti pubblici.

Dopo settimane di proteste davanti ai maggiori atenei italiani, il governo Meloni ha messo in campo un’azione palliativa: 660 milioni di euro, prima bloccati e poi ritirati, a riprova della scarsa (se non inesistente) considerazione che questo Paese attribuisce non solo al diritto all’abitare, ma anche ai giovani. E mentre in Spagna si attendono le prossime elezioni governative, è sempre più evidente che responsabilità politica e consenso elettorale sono legate a doppio filo.

Rocco e i suoi hermanos
«Il calmierare gli affitti sicuramente allevia una crisi, scaricando su una parte di privati la responsabilità e dei costi, a beneficio di una fetta di popolazione che è più debole ma anche capace di essere più rilevante politicamente. Chi viene buttato fuori di casa o sfrattato va in piazza e protesta, il padrone di casa che ha l’alloggio occupato sì, protesta, ma in maniera meno violenta nella certezza di avere un tetto sopra alla testa. Sono elementi che rispondono a calcoli politici di breve durata, una soluzione palliativa che valuta il consenso perso e guadagnato, senza però incidere sulla problematica strutturale», conclude Cipolloni.

Il privilegio rende ciechi, eppure la drammaticità del vivere la grande città, il disagio sociale e urbanistico di chi cerca di sintonizzarsi con i ritmi e le aspettative della terra promessa sono tematiche annose, che anche le arti hanno fatto proprie. Negli anni Cinquanta ne parlava Luchino Visconti in “Rocco e i suoi fratelli”, attraverso le peripezie di una famiglia lucana che si trasferisce per cercare fortuna finendo stipati in un inospitale tugurio milanese.

Qualche giorno fa, rivolgendosi agli studenti in protesta, il sindaco di Venezia ha dichiarato che chi si fa fregare da chi chiede settecento euro per un posto letto, non merita una laurea. Penso all’ultimo annuncio incrociato: «Zona Milano Sud – Affittasi bilocale di quaranta metri quadri, quarto piano senza ascensore, milleduecento euro al mese (utenze escluse). Contratto a uso transitorio (di diciotto mesi, non rinnovabile), si chiedono due mensilità di cauzione, spese di agenzia (millenovecento euro più Iva, non rateizzabili) a carico del conduttore. Solo persone referenziate».

Le proteste continuano, oltre il dissenso sprezzante e l’incomunicabilità tra nuove e vecchie generazioni che tentando di dividersi gli spazi, il cambiamento. Passeranno di nuovo i titoli di coda e, come nel film di Visconti: il mondo sta cambiando, ecco le sirene, devo tornare a lavorare.