Ingannare il tempoL’ansia di futurista di “riscrivere la storia” dopo ogni scoperta archeologica

Statue, fossili, scheletri. Ogni volta che viene alla luce un reperto storico si grida al cambiamento epocale. Ma già il giorno dopo, della cosa non si parla più

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C’è in giro una gran voglia di riscrivere la storia. No, non è l’influenza postuma di Ernst Nolte: è uno dei più logori e cretini tra i molti luoghi comuni del giornalismo. Ogni volta, o quasi, che è annunciata una scoperta riguardante il passato più o meno lontano, ci viene assicurato che «farà riscrivere la storia» di qualche cosa. Può essere una scoperta in campo archeologico, artistico, epigrafico, paleontologico (in questo caso si tratterebbe di riscrivere la preistoria), oppure il ritrovamento di un libro, di un documento o di una parte di documento mancante. Una volta si sarebbe parlato di «scoperta del secolo», ma, considerato che ogni anno salta fuori una scoperta del secolo, è ora in costante aumento la schiera degli aspiranti riscrittori.

In genere tutto nasce da un comunicato stampa; agenzie, giornali e televisioni pedissequamente si accodano. Come è accaduto a metà di questo mese, quando tutti gli organi di informazione si sono occupati degli straordinari reperti venuti alla luce negli ultimi mesi nel piccolo tempio dorico di inizio V secolo avanti Cristo rinvenuto a Paestum nel 2019: uno «scavo unico» che, come ha dichiarato all’Ansa la direttrice del Parco archeologico Tiziana D’Angelo, leggermente variando la formula consacrata, permette di «cambiare la storia conosciuta dell’antica Poseidonia» (il nome greco della città, sub-colonia sibarita). Come e perché andrà cambiata non si è capito bene, la direttrice non l’ha spiegato e presumibilmente nessuno glielo ha chiesto – tutti paghi di avere lo spunto per il titolo “revisionista”.

Pochi mesi prima, novembre 2022, il ritrovamento di ventiquattro statue bronzee etrusche nel sito archeologico di San Casciano, in Toscana, entusiasmava il coordinatore dello scavo Jacopo Tabolli: «Una scoperta che riscriverà la storia e sulla quale sono già al lavoro oltre 60 esperti di tutto il mondo», assicurava. Aspettiamo fiduciosi.

Questi sono soltanto gli episodi più recenti. Ma se si va a rovistare in rete, immettendo su Google la stringa di ricerca «farà riscrivere la storia», i casi si moltiplicano. A centinaia.

Nell’autunno del 2020 la storia si sarebbe dovuta riscrivere in seguito al ritrovamento, in una grotta nei pressi di Johannesburg, di un cranio di ominide vissuto due milioni di anni fa, appartenente alla specie Paranthropus robustus. Anche in questo caso, quale storia e come e perché riscriverla restò un mistero per chi apprese la notizia dai giornali, che con squisito senso della discrezione si astennero dal domandarlo agli scopritori della Washington University di St. Louis.

Uno scheletro intero, vecchio di circa novemila anni e ritrovato nel 2011 in Sardegna, località Su Pistoccu, dalla geoarcheologa Rita Melis, era invece meno reticente, nonché più preciso: prometteva di far riscrivere la storia del popolamento dell’isola. Ok, fateci sapere.

E cambiando isola, una grotta elbana reinterpretata in anni recenti come tomba etrusca (reinterpretazione successivamente smentita dal ministero della Cultura) avrebbe dovuto, secondo la soprintendenza di Pisa, «far riscrivere la storia dell’Elba preromana e delle sue relazioni con il mondo mediterraneo». Perbacco.

Potevano le smanie riscrittorie risparmiare l’antico Egitto? E no che non potevano. E infatti il vento revisionista ha preso a soffiare quando, nel gennaio del 2021, una squadra di archeologi locali guidata dal baldo Zahi Hawass ha riportato alla luce a Saqqarah una cinquantina di sarcofagi del Nuovo Regno, databili tra i 3500 e i 3000 anni fa. Come è andata a finire con questa riscrittura? Siete curiosi di saperne di più? Chiedetelo a Zahi Hawass, o, se non vi risponde, al suo modello cinematografico Indiana Jones.

A un’epoca di oltre un millennio più antica, inizi del III avanti Cristo, risale l’officina per la lavorazione dei metalli scavata alla fine degli anni Novanta nei pressi del villaggio cipriota di Pyrgos da un’équipe del Cnr diretta da Maria Rosaria Belgiorno, che (vai a sapere perché) avrebbe dovuto far riscrivere la storia della metallurgia. Un altro balzo all’indietro, nientemeno al “12.500-12.800” avanti Cristo, con il fantomatico CISREI (Centro internazionale di studi e ricerche etnografiche italiano) che così retrodatando le piramidi di Giza pretendeva di far riscrivere la storia tout-court: non risulta che ci sia riuscito, in compenso ha alimentato i vaniloqui della fantarcheologia e contribuito al conto in banca di schiere di romanzieri furbacchioni.

L’elenco sarebbe lungo e divertente, ma per non tediare – citando alla rinfusa – possiamo limitarci a rilevare che l’onore (senza onere) di far riscrivere la storia è toccato agli scheletri di dinosauro ritrovati nei pressi della città di Balde de Leyes, in Argentina; a un fossile di Megachirella riaffiorato sulle Dolomiti, che più modestamente doveva far riscrivere la storia di lucertole e serpenti; a una mostra londinese sullo straordinario (quanto misconosciuto) pittore Pordenone Montanari, la cui scoperta avrebbe dovuto far riscrivere la storia dell’arte italiana del dopoguerra; e così via riscrivendo. Il luogo comune è divenuto così logoro che addirittura lo si trova chiamato in causa in un sito di cucina, nella descrizione di un panino che, grazie alla «combinazione del cheddar al rafano, del ketchup, del polpettone e della crosta croccante della cipolla, ti farà riscrivere la storia».

Naturalmente, a parte gli usi ironico-iperbolici, come quest’ultimo, in tutti gli altri casi citati, e in centinaia di casi non citati, la riscrittura è rimasta un verbo da coniugare rigorosamente al futuro che aspetta ancora di diventare presente. Ma in genere non si cruccia nell’attesa, perché già il giorno dopo della cosa non si parla più. Un grande avvenire dietro le spalle.