Denominazione super protetta Non mettetevi contro la Champagne

Avete in programma di evocare il più celebre vino spumante del mondo per la vostra nuova linea di costumi da bagno femminili? È una brutta idea. L’establishment di Épernay ha 007 e gendarmi pronti a intervenire ad ogni violazione dell’appellation d’origine contrôlée. E colpiscono duro.

Foto di George Becker su Pexels

Bottiglie di bibite tropicali analcoliche e lattine di birra distrutte in nome dello Champagne. È successo nelle scorse settimane lungo le coste della Manica e del Mare del Nord. Ma non si tratta di atti vandalici né di riti satanici di inguaribili enofili.

Capire i retroscena economici
Un giro d’affari di 6,3 miliardi di euro netti. È la vertiginosa cifra che la Champagne del vino può vantare per l’ultimo anno, quello del definitivo rilancio economico dopo un 2020 tiepido per via della pandemia. Nel ’22 maisons, cantine sociali e vignaioli indipendenti hanno spedito nel mondo intero oltre 325 milioni di bottiglie, sfiorando il record storico del 2007 e mettendo così una pietra su un breve momento di difficoltà.

Ma questo impressionante patrimonio – che rappresenta da solo oltre un terzo del valore delle esportazioni francesi di vino – va protetto. E il Comité Interprofessionnel du Vin de Champagne (Civc) sa come farlo. Il grande consorzio che raggruppa le varie professioni facenti capo alla filiera dispone di personale solerte e qualificato per tracciare e richiedere la repressione di ogni tentativo di intestarsi la notorietà del più celebrato vino del pianeta. A questo scopo sono dedicati un ufficio centrale che lavora in stretta collaborazione con ben 70 studi di avvocati nel mondo intero, stanziando un budget di 1,2 milioni di euro l’anno.

Non solo vino nel mirino
I diretti concorrenti – vini spumanti in primis – sono ovviamente l’obiettivo principale. A sperimentare l’intransigenza di una grande maison di Reims, qualche anno fa, un piccolo produttore di spumante irpino, colpevole di aver utilizzato per la sua etichetta un colore troppo simile a quello del gigante francese. L’anno scorso, stesso copione in una causa gestita dal tribunale di Torino: la medesima maison contro un noto marchio di prosecco (già sanzionato per lo stesso motivo dieci anni fa).

Ma il caso forse più eclatante di intervento risale probabilmente al 1993, quando il Civc ottenne dalla giustizia la messa al bando del profumo “Champagne” di Yves Saint-Laurent, che fu obbligato a ritirarlo dal mercato. Non si tratta tuttavia né della prima occorrenza né tanto meno di un unicum. Negli anni il Comité si è attivato contro marchi di sigarette, biscotti, dentifrici, bagnoschiuma, sorbetti, bevande per bambini (in questo caso perdendo due volte).

Con la sua infaticabile opera il Civc è riuscito a ottenere il riconoscimento dell’esclusività della denominazione Champagne in oltre 120 Stati, benché manchino all’appello pezzi grossi come l’Argentina, la Russia e soprattutto gli Stati Uniti, che non tutelano l’uso di questo nome, o lo fanno solo in parte. Ultima in ordine di tempo ad adeguarsi, la Repubblica delle Mauritius.
E lo scorso dicembre, dopo un’accesa battaglia, l’interprofessione è riuscita a ottenere persino dalla giustizia svizzera un provvedimento giudiziario contrario all’istituzione di una denominazione “Commune de Champagne”, relativa al vino effettivamente prodotto nell’omonimo comune del cantone Vallese.

Interventi sul campo
La Champagne non si muove tuttavia solo nelle aule di tribunale. Ogni anno si aggiungono casi di interventi sul campo, in sinergia con le forze dell’ordine e le dogane francesi o all’estero.
Lo scorso mese di ottobre, ad esempio, gli agenti doganali italiani hanno sequestrato più di duemila bottiglie di spumante contraffatto, parzialmente etichettato come Champagne, immagazzinate in un box del Torinese.
E poi i due recentissimi casi: ad aprile 2023, è stata la volta di 2.352 lattine di birra americana, sbarcate nel porto di Anversa, in Belgio, colpevoli di riportare in etichetta la dicitura “The Champagne of Beers”. Qualche giorno fa, infine, un colpo ancora più grosso: 34.968 bottiglie di una bibita prodotta ad Haiti, e infelicemente battezzata “Fruit Champagne”. La bevanda analcolica era stata sequestrata nel porto francese di Le Havre.
In entrambi i casi i beni sono stati sequestrati e, dopo le relative decisioni giudiziarie o di polizia, distrutti (il Civc precisa che sia il contenuto sia i contenitori sono stati riciclati «in modo eco-responsabile»).

Morale
Come gli altri vini, la denominazione d’origine Champagne non è, alla lettera, un diritto d’autore né un oggetto frutto di proprietà intellettuale. Ma è un segno che identifica e tutela una sorta di marchio collettivo che appartiene a tutti coloro che sono titolati a sfruttarlo legalmente. Il motto del Civc è “Non c’è Champagne al di fuori della Champagne”.
Insomma: non si tratta di un nome comune né banalizzabile (come accadde per l’aspirina o lo scottex), bensì di un toponimo che vincola all’origine geografica della materia prima ed è rafforzato da un preciso metodo produttivo regolato da un disciplinare tecnico-legale.

Se tuttavia pensate che il rischio di usurpazione non riguardi ambiti commerciali diversi dal vino, ricredetevi. Insomma: se vostro cognato sta pensando di aprire un negozio di parrucchiere e di chiamarlo “Champagne hair”, o se la vostra migliore amica ha intenzione di usare questo nome per la sua prossima produzione di braccialetti sconsigliateglielo. Potrebbe costare molto caro!

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