Prove interamente digitalizzate, da completare al massimo in sei mesi e niente orale fino al 31 dicembre 2026 per le posizioni non apicali. Il governo Meloni ha inserito nel decreto sulla Pubblica amministrazione alcuni emendamenti che modificano le regole sui concorsi pubblici, decidendo di anticipare quanto programmato inizialmente.
L’emendamento è stato approvato ieri con voto di fiducia alla Camera, mentre rimane in sospeso la possibilità di prorogare per sei mesi, fino al 31 dicembre 2023, il diritto allo smartworking per i fragili e per i genitori degli under-14.
Le novità sono legate al Pnrr. L’Italia si è impegnata a una riforma dei concorsi pubblici entro fine mese, con l’obiettivo principale di accelerare i tempi di assunzione nelle pubbliche amministrazioni. Non a caso tra le prime misure in evidenza c’è la chiusura entro sei mesi del concorso. Come riporta Repubblica, in un articolo di Rosaria Amato, «il regolamento che oggi il ministro della Pubblica Amministrazione Paolo Zangrillo presenta in Cdm prevede “celerità di espletamento” e obbligo di conclusione delle procedure al massimo entro sei mesi, calcolati a partire dalla scadenza del termine per la presentazione delle domande di partecipazione. Altrettanto rigidi tutti i termini della procedura».
Inoltre tutta la procedura, dalla pubblicazione del bando alle candidature ai risultati, si svolgerà sul Portale InPa, al quale i candidati dovranno registrarsi: in questo modo i concorsi saranno interamente digitalizzati, anche per gli enti locali.
In direzione di un’accelerazione sui concorsi c’è anche l’assenza di prove orali fino alla fine del 2026 – termine di conclusione dei progetti del Pnrr. L’emendamento del governo, infatti, stabilisce che per le posizioni non apicali sarà possibile fare i concorsi con la sola prova scritta. «Una norma che ha già suscitato molte polemiche tra gli addetti ai lavori e tra gli stessi aspiranti partecipanti ai concorsi, perché espone al rischio di una selezione poco accurata, che difficilmente potrà davvero valutare le capacità dei candidati», scrive Repubblica. È possibile che successivamente questa norma sarà rinnovata e resa stabile, ma il governo non ha ancora dato segnali su questo.
In più, lo stesso emendamento prevede anche che nascano anche dei concorsi con divisioni su base territoriale: nei concorsi nazionali i candidati potranno presentarsi per tentare di essere assunti solo in un ruolo – anche se il bando riguarda più di una figura professionale – e in un solo ambito territoriale, cioè in molti casi in una sola Regione.
C’è poi una clausola di equilibrio di genere. Ogni bando, si legge all’articolo 6 del Dpr di riforma dei concorsi, dovrà indicare «la percentuale di rappresentatività dei generi nell’amministrazione che lo bandisce», e se la differenza tra quote maschili e femminili dovesse risultare superiore al 30%, appartenere al sesso svantaggiato costituirà un titolo preferenziale.