Né sussidi né pensioniSolo l’aumento del tasso di occupazione può ridurre la povertà in Italia

La percentuale di persone a rischio indigenza e esclusione sociale in Italia è diminuita, nonostante la pandemia. E questo miglioramento è da attribuire soprattutto ai nuovi posti di lavoro

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Gli italiani sono un po’ meno poveri. Soprattutto se, oltre a coloro che vivono con un reddito inferiore al sessanta per cento di quello mediano (definizione di rischio di povertà), consideriamo anche quanti sono in una condizione di grave deprivazione materiale e risiedono in famiglie in cui si lavora molto poco, e quindi le chance di essere indigenti sono maggiori. Nel complesso, coloro che sono definiti a rischio di povertà e di esclusione sociale erano il 25,6 per cento della popolazione prima della pandemia, nel 2019, e sono scesi al 24,4 per cento nel 2022.

Apparentemente sembrerebbe una riduzione limitata, ma dobbiamo considerare sia che in questi anni vi è stata una pandemia che ha provocato la peggiore recessione del dopoguerra nel nostro Paese sia che si tratta della prosecuzione di un calo iniziato in precedenza. Anzi, è proprio in Italia, tra i grandi Stati Ue, che si è verificata la diminuzione maggiore, del quattro per cento dal 2015. E solo in Italia e Spagna i numeri sono minori rispetto a quelli precedenti al Covid.

Dati Eurostat

È solo perché storicamente qui vi è sempre stata più povertà che nel resto dell’Europa Occidentale? Cosa ha provocato questo progresso, che rappresenta indubbiamente una buona notizia? Sicuramente hanno influito le misure di sostegno ai redditi durante la pandemia, vi è poi chi dà il merito al Reddito di Cittadinanza. Certamente questi fattori hanno contribuito nel 2020 e 2021 ad attutire il colpo del Covid. Tuttavia, come si vede i miglioramenti erano già iniziati prima.

Cosa è accaduto quindi? Vi è un indicatore economico che al termine di un trend, per certi versi sorprendente, ha toccato un record in Italia: è il tasso di occupazione, che per la prima volta nella storia del Paese ha recentemente superato il sessanta per cento. Che questo fattore si sia rivelato decisivo è testimoniato dai dati sulla diminuzione del rischio di povertà ed esclusione sociale “spacchettati” in base al soggetto.

Il fatto che vi sia una riduzione della povertà molto più accentuata tra chi vive da solo e ha meno di sessantacinque anni, del 2,9 per cento, rispetto a chi è più vecchio, che invece riporta una diminuzione media dell’1,2 per cento, dice molto: difficilmente i primi hanno un sostentamento diverso da un posto di lavoro.

Se la povertà scende, quindi, è perché in tanti hanno trovato un impiego. Vi è un calo dell’indigenza, pur se di minore entità, anche nelle coppie, ma soprattutto in quelle senza figli. Mediamente queste ultime sono più giovani, e sappiamo chi ha meno di trentacinque anni che l’occupazione è aumentata di più. Significativo, poi, è il progresso per chi è monogenitore: non è solitamente a carico di altri e la riduzione della povertà, del quattro per cento, nel loro caso è ancora più strettamente legata a migliori condizioni di lavoro.

Dati Istat

Queste ultime hanno avuto un impatto decisivo sul calo della percentuale di indigenti tra chi è lavoratore dipendente (-2,8 per cento) o autonomo (-5,2 per cento). Ciò è accaduto sia perché è migliorata la situazione di chi già aveva un impiego sia soprattutto perché quest’ultimo è più spesso membro di un nucleo familiare ad alta intensità lavorativa, ovvero dove a lavorare sono più di uno, per esempio. È il caso, magari, di una donna appena assunta che vive con un partner già occupato.

Allo stesso tempo assistiamo a un’inversione di tendenza: cresce il livello di povertà di chi prende una pensione o un sussidio (+2,4 per cento). Diventa evidente qui la diminuzione di quella platea di pensionati completamente retributivi che per decenni hanno visto crescere i propri redditi più di quelli dei giovani.

Una conferma è invece il peggioramento della situazione delle famiglie con membri stranieri. Hanno sofferto più degli italiani la crisi pandemica, di cui sono state le principali vittime, e la ripresa occupazionale per loro è più recente, successiva a quella che ha interessato gli altri lavoratori. A livello geografico, poi, non è un caso che la povertà sia scesa più al Mezzogiorno che al Nord. Qui infatti l’occupazione, partendo da livelli bassissimi, va detto, è salita di più.

Dati Istat

Coerenti con questi numeri sono le differenze regionali. A cavarsela peggio, dal punto di vista del rischio di povertà ed esclusione sociale, sono state le regioni con più anziani, Abruzzo, Sardegna, Liguria, Piemonte, Calabria. Piuttosto male, però, anche Lazio e Veneto, mentre importanti miglioramenti vi sono stati, appunto, nelle più popolose (e più giovani) aree del Mezzogiorno, come Campania e Sicilia. Emilia-Romagna, Toscana e Marche, poi, vedono un trend migliore della Lombardia.

Dati Istat

In sostanza siamo davanti alla conferma di quello che, spesso non ascoltati, molti dicono da sempre: solo il lavoro può sconfiggere la povertà. Più di sussidi e pensioni. Proprio mentre è in corso un crollo delle domande di Reddito di Cittadinanza, al Sud e nelle Isole il tasso di occupazione sale, rispetto al periodo pre-Covid, più che al Centro e al Nord. E qui, come si è visto, la povertà scende più che nel resto del Paese.

La domanda dei giovani lavoratori neo-assunti, lo sappiamo, è in proporzione più alta di quella dei pensionati. I primi hanno più bisogni, una maggiore propensione a spendere. Puntare ancora di più su di loro vuol dire privilegiare la crescita futura rispetto a ogni altra cosa.

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