Epopea spalmabile La geniale invenzione della Supercrema, antenata della Nutella

Negli anni Cinquanta il prodotto di punta della Ferrero era il Giandujot, ma a volte trasudava dalla confezione. Fino a quando il patron Michele scoprì l’ingrediente per correggere questo difetto. Così i clienti potevano andare dal lattaio con la loro fetta di pane e acquistare solo la guarnizione. Salani pubblica la prima biografia di un imprenditore simbolo dell’eccellenza italiana

Barattoli di Nutella su uno scaffale
Foto di Jonathan Kemper su Unsplash

Alba, anni Cinquanta

Pietro ha buttato il seme, fatto nascere la pianticella. Toccherà alla moglie Piera, al fratello Giovanni e al figlio Michele farla crescere rigogliosa, operando in sinergia. Michele si trova a trascorrere ore a impastare, buttare, degustare, creare, riprovare, testare, portare al consumatore, sentire i suoi rilievi, ricambiarlo e ritestarlo, andare controcorrente, osare. Anche l’errore può essere l’indicazione per qualche cosa di diverso, di nuovo.

Il nuovo decennio è segnato dalla Costituzione entrata in vigore il 1° gennaio del 1948. L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro, e a Michele Ferrero che scorre quella Carta comune degli italiani sembra di contribuire a realizzare quell’obiettivo e altri fissati nei primi tre articoli laddove si esaltano la solidarietà politica, economica e sociale, e la dignità. Si avvicinano gli anni del Boom, il miracolo economico.

Nei confronti dei dipendenti cresce l’impegno sociale dell’azienda che costruisce case a chi preferisce abitare vicino al posto di lavoro: il primo Villaggio Ferrero, del 1953, sorge nei pressi dello stabilimento; il secondo alla periferia di Alba, in località Moretta. Per gli altri, Ferrero rafforza il servizio di autobus gratuito. Vengono istituite le colonie estive, sia al mare sia in montagna, per i figli dei dipendenti.

«I dipendenti devi rispettarli, coccolarli» confida Michele ai suoi collaboratori. «Devi farli sentire imprenditori a loro volta. Dall’operaio al dirigente, devono sentire l’azienda come propria e così contribuiranno insieme alla sua crescita. E tu, imprenditore, puoi addormentarti sereno la sera».

Innovazione tecnologica, perfetto gioco di squadra e investimenti sulla conoscenza. Rovistando tra le carte, affiora un altro fattore del successo di Michele: l’aggiornamento costante sulle novità del settore, in Italia e all’estero, che gli permette di perfezionare proprio il prodotto di punta dell’azienda. Il glorioso Giandujot, pur ottimo e vendutissimo, talvolta trasuda dalla confezione, e per questo difetto qualche commerciante si lamenta.

Michele scopre in una rivista specializzata l’esistenza di una sostanza, la lecitina di soia, che ha il potere di trattenere i grassi. In Europa la lecitina è ancora quasi sconosciuta, pochi la importano. Ma lui riesce a trovarne. L’esperimento ha esito felice. L’aggiunta di lecitina rende l’impasto più stabile e permette l’avvio, nel 1951, della produzione di Supercrema, come viene battezzata quella che potremmo definire la madre della Nutella.

Viene venduta in contenitori che vanno dalle latte ermetiche alle vaschette e ai bicchieri, ma anche in casette giocattolo di legno. «Ecco un ragazzo che ci sa fare» commenta lo zio Giovanni congratulandosi con il nipote davanti allo stato maggiore dell’azienda. La Supercrema spalmabile registra l’ennesimo successo, anche con il contributo dei commercianti che aderiscono alla cosiddetta “spalmata”: i bambini accorrono dal lattaio o dal panettiere con una fetta di pane in mano e per cinque lire ottengono una spalmata leggera di Supercrema.

Per dieci, una più spessa. Racconta Nicola Blundo, trentacinque anni in Ferrero, prima come impiegato amministrativo poi come tecnico: «Sono originario di Ariano Irpino, dove i miei genitori gestivano un negozio di generi alimentari che vendeva prodotti Ferrero. Mia madre faceva marketing, diceva alle casalinghe del paese: “Mandami tuo figlio con una fetta di pane che gli faccio assaggiare un prodotto speciale”. Era appunto la Supercrema spalmabile, l’antenata della Nutella».

Le mamme vengono convinte da quell’offerta di un prodotto di “elevato valore energetico, ben 5.100 calorie” a sole seicento lire al chilo, abbinabile alla quantità voluta di pane. Una strategia di comunicazione vincente perché ha per protagonisti gli stessi consumatori.

Le strategie aziendali della Ferrero suscitano ammirato stupore tra gli imprenditori del Nord. In una riunione della Confindustria lombarda in cui sono presenti i Motta, gli Alemagna e altri industriali dolciari – ricorda Giovanni Raimondo, direttore vendite e marketing per l’Europa – sono presenti anche Michele e Giovanni. «Al momento in cui prese la parola lo zio, annunciato come Giovanni Ferrero, ci fu un brusìo in sala con la domanda: “Ferrero chi?” Non li conosceva nessuno. E un’altra volta, quando incontrai Bruno Buitoni che era stupito dai progressi della Ferrero, mi chiese: “Ma ’sto Michele Ferrero esiste davvero o lo avete creato voi?”»

Parallelamente cresce l’entusiasmo nella città di Alba. Ricorda Ettore Paganelli, avvocato, già sindaco dal 1963 al 1970: «Nel dopoguerra i giovani avevano speranza ed entusiasmo, e queste erano alimentate dalla Ferrero. I langaroli non andavano più via, i posti di lavoro in Ferrero crescevano a vista d’occhio, e che posti di lavoro! Ben pagati, aumentavano di pari passo con i fatturati, con corredo di integrazioni dello stipendio come il pullman che va a prendere i dipendenti a casa e li riporta indietro a costo zero. Una trovata eccezionale, ha evitato che Alba avesse periferie fragili nate per collocare persone venute da fuori a lavorare in fabbrica».

A questo, Paganelli aggiunge un altro particolare non secondario: «Nei primi anni Sessanta, l’azienda aveva deciso di trasferire il suo Centro direzionale a Pino Torinese. Ad Alba, qualcuno sollevò commenti, paventando un distacco della famiglia Ferrero dalla città dove l’azienda era nata, dava lavoro e produceva profitti. All’epoca, peraltro, il Comune incassava una cospicua frazione dell’imposta di famiglia (tributo abrogato qualche anno dopo) proprio dalla famiglia Ferrero: nel caso di un cambio di residenza, quell’entrata si sarebbe sensibilmente ridotta».

«Queste voci dovevano essere giunte alla signora Piera, la madre del signor Michele, che mi telefonò, chiedendomi un incontro in municipio. Mi offrii io di farle visita in stabilimento, dove la signora mi comunicò l’intenzione del signor Michele di trasferirsi a Pino Torinese per essere più vicino al Centro direzionale, ma al contempo mi assicurò che la famiglia Ferrero non avrebbe mai fatto mancare la sua presenza e il suo apporto alla comunità albese».

Nonostante il forte, positivo impatto sulle casse pubbliche e sull’economia globale dell’Albese (basta una cifra a illustrarne la portata: a metà anni Sessanta l’azienda corrisponde, solo ad Alba, circa sei miliardi di lire di retribuzioni all’anno), la Ferrero non vuole privilegi. Ancora l’ex sindaco Paganelli: «Il cittadino Michele era un personaggio dotato di tanta delicatezza. Avrebbe potuto, con quello che stava crescendo alle sue spalle, avere un tono molto diverso con l’istituzione comunale, invece era sempre gentile e disponibile. Un giorno mi disse: “Vorrei che quando l’amministrazione comunale deve prendere una decisione che in qualche modo possa riguardarci, considerasse me e i miei famigliari come semplici cittadini”. Fu una lezione di serietà e civiltà, rara a trovarsi tra i rappresentanti della classe imprenditoriale d’oggi».

Da “Michele Ferrero” di Salvatore Giannella, Salani editore, 288 pagine, 18 euro.

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