Sembra contraddittorio parlare di siccità davanti alle alluvioni che hanno sconvolto Emilia Romagna e Marche nelle scorse settimane. Ma si tratta di due fenomeni che hanno origine nella stessa causa: il riscaldamento climatico. Le alluvioni «sono un processo geomorfologico inevitabile nella storia del Pianeta. Ci sono sempre state e sempre ci saranno. In più il cambiamento climatico le sta rendendo più frequenti e più intense», spiega il meteorologo Luca Mercalli. «Ora tutto il Po ha ripreso una piovosità che ci porta fuori dalla siccità. Però bisogna vedere quanto quest’acqua sarà penetrata nei suoli perché ci sono 17 mesi di siccità da saturare».
Ma come spieghiamo le alluvioni di maggio?
Maggio è un mese piovoso come novembre. Nella pluviometria media della Pianura Padana, i mesi più piovosi sono maggio, novembre e ottobre. L’autunno e la primavera sono più o meno a pari merito. Quindi non è strano che a maggio piova. È strano che la pioggia sia stata di questa intensità e abbia causato un disastro. Nel Nord Italia maggio non è un mese siccitoso, anzi è uno dei mesi più piovosi dell’anno. Per fortuna, perché è quello che dovrebbe fornire l’acqua che poi serve per l’estate successiva. La situazione è molto complicata perché la siccità precedente si è estinta con un altro evento estremo. Purtroppo ha piovuto in modo eccessivo e violento.
Quando saranno finite le inondazioni, tornerà il fenomeno opposto della siccità e sarà una caratteristica dell’estate?
Impossibile dirlo. Non si possono fare previsioni a lungo termine di questa portata. Intanto adesso di acqua ne è arrivata più o meno su tutto il bacino del Po. Ora tutto il Po ha ripreso una piovosità che ci porta fuori dalla siccità. Però bisogna vedere quanto quest’acqua sarà penetrata nei suoli perché ci sono 17 mesi di siccità da saturare. Le piogge violente sono passate rapidamente sul territorio facendo danni, ma non è detto che le falde profonde siano già state alimentate. Aspetti che si vedranno dopo.
Cosa potrebbe accadere?
Le misure di precisione verranno fatte sui pozzi campione e si vedrà. Perché la maggior parte dell’acqua è andata a mare. La siccità verrà via via colmata nei prossimi mesi. Poi come andrà la stagione non possiamo saperlo adesso. Le previsioni di precisione durano 10 giorni. Si esaurirà questa fase di pioggia e di fresco, le temperature si alzeranno e fino a fine maggio proseguirà la primavera. Il primo giugno inizierà l’estate meteorologica e si vedrà. Se non pioverà più e le temperature saranno fuori media, può tornare la siccità. Meno intensa di prima perché un po’ di acqua ha caricato i suoli. Ma se non dovesse più piovere fino ad agosto, la siccità tornerebbe a essere un problema. Invece se ci dovessero essere altre piogge, speriamo regolari e non violente, distribuite più o meno nei mesi successivi, allora la siccità pian piano si dovrebbe spegnere completamente e ricaricheremo le falde.
Cosa si può fare per evitare inondazioni e siccità?
Niente. Con una portata di eventi di questo genere è illusorio pensare di poterli evitare. Questa parola va tolta dal vocabolario delle alluvioni poiché sono un processo geomorfologico inevitabile nella storia del Pianeta. Ci sono sempre state e sempre ci saranno. In più il cambiamento climatico le sta rendendo più frequenti e più intense. Si possono alleviare i danni, ma non evitare. In Romagna in soli 15 giorni sono caduti 300 litri di acqua per metro quadrato. Due episodi record: il 2 e il 17 maggio. L’alluvione di inizio mese ha creato i primi allagamenti e ha imbevuto i suoli dell’Appennino, la seconda ha trovato i terreni già saturi e ha portato una quantità di acqua fuori dalle statistiche storiche. Se una collina frana, frana. Punto. Non si può fermare con le mani o con opere di contenimento. Si può fare un muretto, ma se viene giù l’intera collina (con le strade sopra) non c’è nulla da fare. E lo stesso vale per l’acqua: se arriva tutta insieme, da qualche parte dovrà andare.
Per ridurre i danni quali sono le mosse più opportune?
Possiamo solo agire dal punto di vista della prevenzione con la formazione delle persone per evitare di perdere la vita. Ci vorrebbe una corretta formazione di protezione civile o come fanno i giapponesi con i terremoti: esercitazioni e informazioni su cosa fare quando ci sono le allerte. L’unica speranza è evitare i morti, ma tutto il resto non si può cambiare. Le onde di piena su questi piccoli fiumi hanno raggiunto i 15 metri di altezza. Cosa si può fare? Qualsiasi operazione anche di manutenzione del territorio forse le avrebbe portate a 14 metri, ma non sarebbe cambiato nulla. E gli argini diventano una falsa sicurezza. Nella teoria idraulica è una cosa nota da cento anni. L’argine serve fino a un certo punto, ma contro l’evento eccezionale non serve più. Da qualche parte cede. Costruire la casa sotto l’argine non pone le persone al sicuro.
Il problema è che la politica, a livello nazionale e locale, non ha agito?
Sono stufo di sentire tutti esperti con una ricetta e con dei motti che semplificano, tipo “è successo perché non hanno pulito i fiumi” oppure “è successo perché non hanno dato l’allarme”. Un’alluvione è un fenomeno complesso ed emergenziale. Perciò produce una parte di eventi imprevedibili. C’era l’allerta rossa, ma non posso prevedere il punto esatto dove scoppierà un argine. Perché se lo sapessi lo riparerei la sera prima. Come nel terremoto non posso sapere con precisione come cadrà una casa. All’interno del fenomeno parossistico si creano un’infinità di situazioni locali che non sono prevedibili. È prevedibile solo lo stato di allerta generale perché purtroppo è un fenomeno di dimensioni colossali. E già tanto, rispetto a 50 anni fa, poter dare l’allerta. All’epoca avremmo avuto forse 100 morti, anziché 14. Poi c’è il problema della gestione del territorio a livello decennale. La cementificazione. L’Italia è un territorio strautilizzato. Strade, case, fabbriche. C’è una quantità di infrastrutturazione edilizia che aumenta la vulnerabilità. Ma ciò è la conseguenza di scelte prese negli ultimi 70 anni.
Invece cosa si può fare nei confronti del cambiamento climatico?
Il cambiamento climatico è un fenomeno globale. L’unica cosa che si può fare, predicato da 30 anni dalle Nazioni Unite, è ridurre la causa che fa aumentare la temperatura e, di conseguenza, i fenomeni estremi. Cioè la famosa riduzione delle emissioni di gas effetto serra. Questo lo dice l’accordo di Parigi, firmato nel 2015: più abbassiamo la quantità di Co2 che buttiamo in atmosfera, più riusciamo a limitare l’aumento della temperatura. L’accordo prevede anche due percorsi. Quello più prudente dovrebbe consentire di ridurre il danno climatico tenendo la temperatura sotto i due gradi di aumento a fine secolo. Oppure, se non si fa nulla, l’incremento sarà di 5 gradi. Se riduciamo la temperatura, ridurremo in futuro la frequenza di questi nuovi eventi estremi. Ma lo devono fare tutti. Non possiamo farlo solo noi in Italia. Anche la Cina, gli Stati Uniti e la Russia. E questo al momento non sta avvenendo. António Guterres, il segretario generale Onu, ha detto che ogni frazione di grado conta. Ma il clima sta cambiando senza alcuna forma di prevenzione, anzi la guerra in Ucraina sta facendo aumentare le emissioni. Al momento non abbiamo una strategia di mitigazione climatica e in futuro dovremmo aspettarci sempre più eventi estremi.
I giovani attivi nel settore ambientale vent’anni fa guardavano a Greenpeace, Legambiente e al Wwf. Ora a Fridays for Future, Extinction Rebellion e Ultima Generazione. Cosa è cambiato e quanto possono incidere i giovani?
I giovani fanno bene ad attirare l’attenzione su questo problema perché purtroppo saranno i bersagli dei danni del futuro. Chi ha vent’anni vedrà il peggio nella seconda parte del secolo. Però non basta scendere in piazza e fare lo sciopero del clima perché la politica internazionale cambi. Poi sono tre anni che ci sono queste azioni da quando si è formato il movimento dei ragazzi dopo le iniziative di Greta Thunberg. Ma non è che sia servito a qualcosa. Anzi, a gran parte della società sono addirittura diventati antipatici. Non mi sembra che ci sia questa grande empatia. Forse il problema è il numero: non sono abbastanza. Non tutti i giovani sono sensibilizzati e molti purtroppo sono indifferenti.