Nel blu dei tetti Tre nuovi alberghi con terrazza e piscina per evadere dalla città

Tra Milano e Roma si sono diffuse esclusive e soleggiate isole verticali, dove godersi la vista e fingere di essere altrove. Il Six Senses, la Soho House, il Radisson Hotel regalano la sensazione eccitante di una metropoli che provvede a tutto, perfino all’estate

courtesy of Soho House

La vita di chi vive in città attraversa momenti diversi. Da una parte, l’adrenalina, gli incontri, le risposte che offre se sollecitata, se interrogata, se indagata. Dall’altra, però, l’afasia della gabbia, del cemento, dell’asfalto, dei palazzi su più piani, tristi e tutti uguali che subito spezzano l’armonia. L’autunno reca con sé un’impressione di nostalgica coerenza. La primavera svela delle inaspettate sorprese, tra i fiori che cominciano a sbocciare lungo i viali e l’erba tra le rotaie del tram che si tinge di nuovo di verde. L’estate in città, invece, perde dietro di sé quella vaga sensazione di necessità. Diventa faticosa, cessa di apparire funzionale. Le giornate si illanguidiscono, sono brevi e contemporaneamente infinite.

Ci si dice, a Milano come a Roma, immensi agglomerati di case, uffici, parchi, cinema, teatri, stadi, fiere, negozi, che servirebbe ripensare gli spazi e annettervi anche delle cascate d’acqua, dei lembi di spiaggia. Le città del futuro dovranno comprendere tutto all’interno di sé, comprese le vacanze marine. Dovranno includere l’estate. Ecco perché alcuni alberghi hanno cominciato a concepire terrazze sempre più vaste, sempre più alte, là dove soffia la brezza, e piscine nelle quali nuotare, lettini sui quali rilassarsi, prendere il sole, abbronzarsi, in un moderno, esclusivo stabilimento balneare.

courtesy of Radisson Collection Hotel, Santa Sofia Milan

È il caso del Radisson Hotel, a Milano, in via Santa Sofia, l’ennesima acquisizione del gruppo Radisson, in un punto curioso del capoluogo meneghino, considerando che si tratta di uno dei più trafficati tratti della circonvallazione, dove la 94 attraversa la strada rombando, cedendo quasi su se stessa e le case circostanti sono impacchettate dai lavori in vista dell’apertura della linea della metropolitana. Qui raramente ci si ferma, si accosta, si tira il fiato. È un punto di passaggio. Non si alzano gli occhi per contemplare il cielo. Tanto più sembra strano che invece l’albergo spalanchi la sua bocca inaspettata, rassicurante e raccolga gli avventori che non possono essere casuali. Bisogna sapere dove andare. Del resto, qui sorgeva la vecchia sede di Allianz.

È difficile accorgersi della facciata rivestita di trachite veneta, e neppure ci si può rendere conto del tetto, dalle falde in rame ossidato. Si entra e ci si dirige verso l’alto, con l’ascensore, non badando alle centocinquantanove stanze che pure fanno capolino dai sette piani che separano la hall dalla terrazza, e si giunge improvvisamente all’aperto. Subito si riconosce Milano, come fosse la prima volta. È difficile accorgersi di lei quando si cammina giù per la strada, e raramente si mostra così simile a se stessa. Dalle altezze vertiginose dei grattacieli di City Life, perfino dal Duomo e dalle adiacenti terrazze, Milano si dispiega diversamente, è una distesa grigia, fumante.

courtesy of Six Senses, Rome

Qui le superfici sovrastanti delle case hanno il rosso del mattone, sono timide, domestiche, conservano qualcosa del paese che Milano è stata e in un certo senso è ancora. E poi il blu delle facciate delle chiese, che le piastrelle della piscina riprendono ed esaltano, scintillando sul fondale di un’acqua resa pressappoco cerulea. Grazie alla collaborazione tra Alessandro Mario Cesario e Studio AtelierP si ha davvero l’impressione di trovarsi improvvisamente in un lido, su un’isola, dai sapori vagamente esotici. Merito dei vapori afosi della stagione, della freschezza del bagnarsi, e della cucina fornita dal ristorante, una fusione tra Giappone e Perù che prevede ceviche di hamachi con leche de tigre allo yuzu, oppure melanzane alla griglia con glassa al miso, soia allo yuzu e maionese al rocoto, torta tres leches con gelato al matcha.

È un’atmosfera raccolta, stretta, sofisticata. Assolutamente diversa da quelle capitoline, opulente, ampie, della Soho House. Ci si chiede come diventerà quando si sarà trasferita a Milano, quando insomma arriverà la sua versione lombarda, padana, come si inserirà in questo perimetro tracciato, severo, sofisticato e famigliare. A Roma, neanche a dirlo, si è integrata benissimo. Si è come depositata, come un grande uccello, sulle sfumature rosse e oro dei balconi concavi, investiti dal sole che tramonta. Come avevamo già avuto modo di descrivere, non si tratta affatto solo di un albergo: è davvero una sorta di città dentro la città, un microcosmo dotato di tutto, all’interno del quale è difficile entrare tanto quanto uscire. Stanze da letto, ristoranti, incontri culturali, caffè, gallerie d’arte, cinema, sale di registrazione, pomeriggi dedicati ai bambini, serate dedicate ai giovanissimi.

courtesy of Soho House

L’effetto di una bolla, di una pellicola trasparente che si chiude sopra la testa è inevitabile. Soprattutto quando giunge l’estate e comincia dunque la stagione della piscina. Per finire in un posto come questo bisogna essere iscritti, sapere che esiste, essere abituati a frequentarlo. Del resto, tutti ricorderanno l’episodio di Sex and the city in cui Samantha si aggiunge alla lunga lista d’attesa che prevede l’ingresso alla Soho House di Manhattan, irretita dall’abbronzatura da urlo dei giovani, sofisticati avventori che incontra per la strada durante una torrida settimana agostana. È talmente determinata ad accedervi che alla fine ruba la tessera d’iscrizione di un’altra cliente. Chiunque di noi, forse, sarebbe tentato considerati gli ulivi che circondano i tavolini del noto ristorante Cecconi che guardano giù, a strapiombo su Porta Tiburtina, e gli ombrelloni, i lettini imbottiti, gli asciugamani di spugna a corredo…

Se tuttavia, come accade alle seppur mondanissime protagoniste di Sex and the city, la Soho House rimane inaccessibile, basta spostarsi nella conosciuta via del Corso, dove, peraltro, le terrazze abbondano. Al Six Senses però ci si trova in un edificio del XV secolo rimesso a nuovo, per la precisione Palazzo Salviati Cesi Mellini. Dal circuito dei bagni termali alla scala monumentale, dal lucernario decorativo alle colonne imponenti, dalla vista delle camere restaurate che affaccia sulla chiesa di San Marcello al Corso alla grande vasca battesimale riportata alla luce durante gli scavi archeologici dell’inizio del Novecento, ora visibile da un oblò di vetro sul pavimento del ristorante, l’impressione è di essere stati catapultati dentro la Roma antica, la Roma dei sette re.

courtesy of Six Senses

Un’oasi sospesa, rarefatta, silenziosa che si respira anche all’ultimo piano, appena inaugurato, dove troneggia la piscina che guarda al Pantheon, alla Fontana di Trevi, ai monumenti storici. Piante rampicanti, un menù prevalentemente vegetariano del ristorante NOTOS, il respiro delle fronde, il rumore dell’acqua che scorre dai tubi della piscina e che ricorda le vecchie brocche con cui si preparavano le vasche ai tempi di Giulio Cesare, ed ecco la solita, sensazione straniante di evasione, di elevazione sulla propria quotidianità che offrono questi luoghi.