Happy (future) HourL’aperitivo del domani sarà più sano e sostenibile

Alghe, verdure e insetti, ma anche stampanti 3D e liofilizzazione. Sono solo alcune delle ipotesi di stuzzichini che probabilmente mangeremo tra qualche decina d’anni

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Qualche mese fa il ristorante di un hotel a 5 stelle tra le montagne della Valle d’Aosta ha proposto un nuovo menu per il proprio aperitivo. Insieme a bicchieri di prosecco, i camerieri hanno cominciato a offrire ai clienti piattini di cavallette e larve.

Mentre mai come negli ultimi tempi si sta parlando di gastronomia in termini di sperimentazione e fusione tech, dalla carne coltivata alla farina di grilli, ci si chiede come questo si tradurrà nelle proposte di aperitivo dei prossimi decenni.

Ma prima di parlare di aperitivo come lo conosciamo, dobbiamo fare un salto indietro. La nascita di questo pre-pasto avviene nell’Ottocento a Torino, come momento conviviale che stimolasse l’appetito prima di cena. Col tempo si cominciò ad accompagnare ai classici drink, dal vermouth allo spritz, piccoli stuzzichini, tra i più popolari patatine, arachidi, formaggi, salumi, olive. L’idea era stata pensata soprattutto per le donne, che all’epoca non era costume bevessero a stomaco vuoto.

Da allora l’aperitivo si è evoluto, adattandosi alle trasformazioni economiche, territoriali e culturali italiane. Al contempo, ha sorvolato i confini nazionali, dall’happy hour statunitense all’aperò francese, esportando così il piacere del “mezzo pasto” per eccellenza dovunque nel mondo.

«L’aperitivo del futuro sarà decisamente più sano. Non mancherà tanta verdura di stagione, fresca e fermentata, probabilmente anche molti estratti. La componente alcolica sarà più bassa, cosa che è stata già registrata», dice Carlo Spinelli, studioso di storia e cultura dell’alimentazione.

Complice la facilità di accesso alle informazioni sul web e l’esperienza traumatica della pandemia, i consumatori sembrano infatti essere sempre più informati e responsabili circa la stagionalità, i valori nutrizionali e l’origine dei prodotti che consumano. Nel 2021 l’Osservatorio Sonda, un monitor sul gusto dedicato al settore Food & Beverage e all’Hospitaly, ha riportato che ben il settantotto per cento degli italiani dice di mangiare sano e scegliere i prodotti alimentari con attenzione.

«Fino a poco fa avevamo raggiunto questo sillogismo: cercare di vendere il più possibile un cibo buonissimo che costi poco produrre. Quando arrivarono le merendine infatti fu un successone, perché erano economiche e al pubblico interessava solo il loro sapore. Ma oggi sta prendendo piede una terza componente: la salute», spiega Spinelli.

Non stupisce, a questo proposito, la “febbre da proteine” che ha investito la dieta delle famiglie italiane negli ultimi anni, con un numero di interessati che tocca i 7,4 milioni di persone, secondo il GfK Italia Consumer Panel. E questa tendenza non sembra dar segni di cedimento. Secondo uno studio pubblicato su Nature, i cibi nuovi o futuri (NFF) saranno sempre più proteici, oltre che più sostenibili in termini di sfruttamento del suolo e spreco di acqua.

È proprio in quest’ottica che devono essere considerate le patatine a base di insetti, precisamente di larve di Tenebrio molitor, anche conosciuta come tarma della farina. Gli stuzzichini di insetti sono ormai un prodotto Made in Italy certificato da Entotrust, il primo certificatore in Europa specializzato in entomo-prodotti gastronomici. L’ente, fondato da ambientalisti e sostenitori della trasparenza alimentare, segue gli standard internazionali di cibo e sostenibilità. Chi ha aperto la strada a questa nuova versione dell’immancabile “salatino” è la Fucibo, una ditta italiana con sede a Vicenza, la prima ad aver ricevuto l’autorizzazione dalla Comunità Europea a utilizzare polvere di insetti in un prodotto alimentare.

Inoltre, in qualche modo, la presenza di insetti nel nostro aperitivo non è una novità assoluta. Il Dactylopius, anche chiamato cocciniglia, è un insetto bianco da cui si estrae un colorante naturale dalla tonalità rosso accesa. Utilizzato nell’alimentazione con la sigla E120, si può trovare ad esempio nelle patatine piccanti o al gusto bacon. E per anni è stato usato anche per colorare il Campari, che l’ha eliminato solo nel 2006.

Oltre agli insetti però, che hanno un sapore non troppo preponderante (le patatine a base di tarme, in realtà, ne contengono infatti solo il dieci per cento) e al contempo nemmeno troppo simile ai gusti tradizionali locali, per Spinelli tra i prodotti più popolari per l’aperitivo italiano si staglieranno le alghe. L’Unione Europea sta, infatti, puntando a creare un settore stabile di “algacoltura” e si stima che entro la fine di quest’anno questo mercato quintuplicherà le entrate, raggiungendo nove miliardi di euro.

Le alghe, non solo estremamente versatili e proteiche, presentano quello che Spinelli ha definito il “gusto dell’ultimo secolo”, cioè l’umami. Il termine, parola giapponese usata per indicare la sensazione gustativa indotta dal glutammato monosodico, fa da sempre parte della tradizionale gamma dei sapori italiani, caratterizzando ad esempio nientepopodimeno che i pomodori, i frutti di mare, o, dulcis in fundo, il parmigiano reggiano. Non è un caso che in Italia l’ottanta per cento degli italiani si dichiara più propenso ai piatti cucinati con questi ingredienti rispetto a quelli contenenti insetti, come confermato da un sondaggio di Fedagripesca-Confcooperative.

È probabile, poi, che per il nostro aperitivo recupereremo metodi di cottura che già conosciamo per riproporli in nuova veste. L’essiccazione e la liofilizzazione, ad esempio, sono tra le le tecniche più antiche esistenti e hanno sempre fatto parte del background culinario italiano, specialmente della cucina più povera, quando si doveva mettere da parte quanto più possibile. Si pensi alle frise salentine, ai missoltini di Como o ai peperoni cruschi di Senise.

«Un giorno, invece delle patatine fritte probabilmente mangeremo quelle liofilizzate. Oppure si pensi a quei prodotti a rischio estinzione o disastro naturale, possibilità a cui andremo sempre più incontro dato il cambiamento climatico. Potremmo liofilizzare quintali di cibi del genere e resistere molto tempo senza produrne di nuovi,» dice Spinelli.

La sperimentazione gastronomica non può non tener conto della tradizione, non solo per una questione di reticenza gustativa e culturale, ma anche di pura affezione. La combinazione tra innovazione e storia probabilmente sarà infatti la chiave più efficace nel ripensare l’aperitivo. Le nuove metodologie stanno già prendendo piede in settori molto antichi, come nel caso di Blue Rapsody, una start up interna alla Barilla che ha elaborato una versione della pasta stampata in 3D e congelata.

«Tutti parlano di nuovi prodotti, e effettivamente qualcuno l’abbiamo tirato fuori. Ma tuttavia sono quasi eccezioni. Si parla di “antichi cibi del futuro”. Alghe, insetti, sono tutti elementi che l’uomo ha sempre mangiato. E allora cosa c’è di nuovo? Il modo di pensarli, di proporli, di adattarli. Dobbiamo guardare indietro per capire il presente, e immaginare cosa mangiare in futuro, nell’aperitivo di domani», conclude Spinelli.

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