Nuove pratiche alimentari Insetti, economia circolare e bioconversione degli scarti sono i temi su cui lavorare

Il pianeta reclama soluzioni ai problemi che lo stanno distruggendo e la scienza, avvalendosi della ricerca e delle nuove tecnologie, può portare queste riposte. Se ne parlerà anche a ColtivaTo, il Festival Internazionale dell’Agricoltura di Torino, dove ci sarà un tavolo di discussione legato a cibo e salute

Foto di Nik Shuliahin su Unsplash

In questi giorni si parla tanto di sicurezza alimentare. Si discute, al bar e, soprattutto ai tavoli della politica. Si fa polemica e anche tanta confusione. Qualche giorno fa, infatti, sono stati firmati quattro decreti su quattro farine (farina di grillo, locusta migratoria, verme della farina e larva gialla) e sulla loro etichettatura nel mercato alimentare, che dovrà presentare anche il livello massimo consentito di impiego di tali farine nei preparati in vendita. Decreti che, comunque, devono essere letti con una certa distanza critica: in Italia, infatti, è da oltre sessant’anni che le etichette devono riportare per legge la lista di tutti gli ingredienti, in ordine decrescente di peso o volume. E ora arriva anche la proposta di legge, approvata dal Consiglio dei ministri, che prevede uno stop alla produzione e vendita dei cosiddetti cibi sintetici, ovvero quei cibi nati in laboratorio dalla sintesi delle molecole. «Con il divieto di produzione e commercializzazione della carne sintetica il governo guarda alla tutela della collettività. Come Governo abbiamo affrontato il tema della qualità che i prodotti da laboratorio non garantiscono. Abbiamo voluto tutelare la nostra cultura e la nostra tradizione, anche enogastronomica», ha detto infatti il ministro dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste, Francesco Lollobrigida.

Tradizione enogastronomica e tutela del nostro patrimonio. Insomma, andiamo avanti nella tecnologia e nella ricerca, ma in qualche modo il ragù della nonna è sacro e non si tocca. Il tutto suona, a dire il vero, un po’ strano. Soprattutto perché in un mondo in cui si discute tanto di sostenibilità e di strade da trovare per aiutare il pianeta ad essere meno carico e sfruttato, uno stop alle nuove vie di fuga sembra per lo meno un concetto ridondante.

Tutto questo succede a pochi giorni dall’apertura di ColtivaTo, il Festival Internazionale dell’Agricoltura, ideato da Antonio Pascale, scrittore e ispettore del Ministero dell’Agricoltura, e Maria Lodovica Gullino, fitopatologa e imprenditrice. L’evento si terrà a Torino dal 31 marzo al 2 aprile e sarà l’occasione di raccontare, attraverso dibattiti e talk, un’agricoltura reale. Quella che si avvale di nuove tecnologie, quella che prova a diminuire i costi e aumentare la produzione, cercando di coniugare al meglio quantità e qualità. Perché oggi, su questa terra, siamo circa otto miliardi di persone, ma a fine secolo potremmo arrivare ad essere anche undici miliardi. E sì, bisognerà sfamarle, questi undici miliardi di persone.

Ph credit Manuela Gomez

Lo scopo di ColtivaTo è chiaro e immediato, come si può leggere nel suo manifesto: «Se chiediamo alle persone: “Preferite farvi operare da un dentista del 1930 o da uno moderno?” nessuno preferirà quello antico – nessuno sosterrà che il trapano di una volta fosse migliore e che un’operazione senza anestesia temprasse il fisico. Se invece cambiamo oggetto e chiediamo “Preferite il cibo di una volta o quello moderno?” la risposta non sarà scontata, nella convinzione che l’agricoltura di un tempo fosse migliore, meno inquinante, più salubre, più naturale. Il Festival nasce intorno ad alcune riflessioni su questo paradosso».

Tra i vari tavoli di discussione, uno anche legato alla tematica cibo e salute. Perché alla fine, il gioco si fa su queste regole. Quanto possono essere nemiche della salute le nuove pratiche alimentari? Quanto l’inserimento di novel food può creare sconvolgimento soprattutto in quella che è la nostra tradizione gastronomica?

Da queste domande nasce un momento di incontro, in cui le parole chiave, quelle su cui concentrarsi, sono insetti, economia circolare e bioconversione di scarti organici. Il cibo, infatti, è strettamente connesso al concetto di salute. E lo è in senso ampio. Oggi vi sono diverse necessità che non possono essere ignorate; quella del dover diminuire gli sprechi, della valorizzazione degli scarti delle industrie alimentari e della possibilità di produrre proteine animali sostenibili. Il tutto da armonizzare con la produzione di un cibo sano, equilibrato e a ridotto impatto ambientale, anche per le fasce più povere della società. Questo l’obiettivo del focus: «Sostenere le economie locali circolari e i piccoli produttori, andando a preferire prodotti alimentari a “filiera corta” e stagionali, promuovere abitudini alimentari sane, anche attraverso la ristorazione collettiva, con l’obiettivo di costruire comunità consapevoli e informate sugli effetti che la produzione del cibo, e le conseguenti scelte individuali, hanno sulla salute e sui risvolti che hanno sul pianeta».

Ph credit Marco Carulli

Ne abbiamo voluto parlare con due delle relatrici presenti a Torino, in modo da avere una visione scientifica e reale di quanto sta accadendo e di quali possano essere le soluzioni da imboccare.

«A Torino dibatteremo sulle possibilità che ci sono di utilizzo degli scarti in modo più attivo. Anche per riuscire a produrre proteine in una maniera un po’ più sostenibile. Si stima, infatti, che in media buttiamo circa mezzo chilo di scarti alimentari a settimana. Se facciamo una moltiplicazione, ci rendiamo contro che arriviamo ad una quantità di chili pro capite importante», afferma Debora Fino, professoressa di Impianti Chimici al Politecnico di Torino.

Ecco, quindi, un primo punto di partenza: gli sprechi. «Produrre del cibo in modo più sostenibile è una via percorribile. Tutti sappiamo che quando parliamo di proteine animali parliamo anche di cibo impattante rispetto alla CO2 emessa». Da una parte, quindi, c’è un impatto nella fase di produzione. Dall’altra, c’è lo spreco: «Se questo spreco venisse veicolato per produrre proteine che possano entrare nelle nostre filiere alimentari, questo potrebbe essere un cerchio che va a limitare i danni».

Secondo gli scienziati, oggi abbiamo tutte le risposte tecnologiche che potrebbero servirci per limitare i danni creati in centinaia di secoli dall’uomo. Vero è che spesso tutto questo ha un costo, ma forse vi è l’obbligo, anche morale, di provare a sostenerlo. «Quello che si può fare è importante farlo e pensare in termini di tutela delle risorse, iniziare a sposare delle scelte non economiche, ma che vanno nella direzione giusta. Perché quello alimentare è uno dei settori che, da un punto di vista del carbonio, dell’acqua, del consumo di suolo, ha l’impatto maggiore e non possiamo voltarci dall’altra parte» conferma infatti Fino.

Si tratta quindi di cercare altrove. Insetti, carni sintetiche. «Il termine non è proprio corretto», dice Laura Gasco, professoressa del Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari dell’Università degli Studi di Torino. «Pensiamo più ad una genesi del cibo. Lo scompattiamo in macro-componenti e poi andiamo a produrre molecole alimentari per strade diverse da quelle che abbiamo sempre battuto. Ci sono modalità che devono assolutamente andare a produrre proteine per quest’altra strada, che è per forza più sostenibile di un chilo di carne di manzo».

Un’alternativa, insomma. Anche sulla tematica più dibattuta del momento la pensa allo stesso modo: «Molti insetti possono essere allevati con prodotti degli scarti e ci aiuterebbero a ridurre materie prime che possono essere utilizzate per altro. Diventa un modo di usare un nutriente che sennò andrebbe perso». Gli insetti, infatti, «Possono essere allevati in una verticalità di spazio e si riesce a produrre, a parità di metro quadro, una quantità di nutrienti maggiori: inoltre, hanno basse emissioni di gas serra, consumano poca acqua e sono sostenibili».

Il problema, senza dubbio, è culturale. Lo è in tutto il mondo e lo è soprattutto da noi in Italia, che del patrimonio gastronomico ne abbia fatto vanto e orgoglio. «Il cibo è un’occasione conviviale. La paura è quella che, ad un certo punto, staremo seduti intorno ad un tavolo per mangiare una pastiglietta. Non è così, ma dobbiamo ripensare tutto. È una specie di guerra, che però si vince», ammette ancora la professoressa Fino.

Cultura e salute. Motivazioni che fanno leva sulla paura del diverso. Molte popolazioni consumano infatti da sempre gli insetti, ma questo non rientra nel nostro modo di vedere le cose. «Ho sentito di tutto sulla composizione degli insetti e sulla loro pericolosità. Come, ad esempio, che contengono chitina e che sarebbe dannosa per l’uomo. La chitina in realtà è la sostanza più presente in natura ed è in grado di modulare in modo favorevole il microbiota del nostro intestino, per una flora batterica buona. Una sorta di probiotico naturale insomma», continua Gasco.

La scienza, poi, è d’accordo. Il nostro Paese ha una sicurezza alimentare importante, forse è il più sicuro al mondo. Il nostro cibo viene controllato nei minimi dettagli, il problema è che si parla spesso solo delle falle del sistema. Quel che serve è un pizzico di fiducia in più. E, sicuramente, affidarsi alla scienza, dialogare con la scienza, per sviscerare dubbi e diventare più consapevoli di ciò che mangiamo. E questa è la vera sfida che ci troviamo a dover sostenere nell’epoca contemporanea.

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