Il viaggio temporale che prende inizio al tavolo 19 della seconda edizione del Festival di Gastronomika, moderato dallo scrittore e divulgatore di storia e cultura del food Carlo Spinelli, ha origine in tempi ben lontani come il Neolitico. Per quanto l’età della pietra possa farsi percepire lontana dal nostro vivere quotidiano, è stata sorprendentemente la culla di molte tecniche di cultura gastronomica che riportiamo ancora oggi.
Basti pensare alla tanto in voga fermentazione, che si è scardinata dallo scopo ultimo di conservazione degli alimenti per volgere a nostro favore il naturale fenomeno di deterioramento del cibo, divenendo una tecnica dall’attitudine sperimentale per accentuare e stimolare la degustazione di sapori inesplorati.
È con questo sguardo “futuristico” al passato che si radica l’incipit della riflessione tra i diversi partecipanti, che si interrogano su quali principi e aspetti debbano rispettare le materie prime e le tecniche di produzione del futuro. Emergono immediatamente sfide culturali di carattere economico e sociale: una produzione che incontra una domanda quantitativa crescente, un sistema agri-food che necessita di delinearsi entro canoni di sostenibilità globale, i vincoli dell’appropriazione culturale gastronomica che osteggia un possibile cambio di prospettiva e il manifestarsi sempre più consolidato di disturbi alimentari.
Specie aliene dal futuro
Vengono presentati al tavolo i primi ingredienti innovativi che nel presente portano un retrogusto di futuro: pesci di acqua dolce che fino a poco tempo fa venivano bistrattati dall’immaginario comune o specie aliene come il granchio blu reale (Callinectes sapidus), detto anche granchio dell’Atlantico. Segnalato dagli esperti come specie invasiva che rischia di mettere a repentaglio l’ecosistema marino.
Se nell’ambito naturalistico il Granchio blu prende le vesti di “antagonista” pericoloso dei mari, assume altresì vesti di prelibato protagonista presso piatti di chef come Chiara Pavan, sensibilizzati sul tema. Contenere quindi la proliferazione di specie invasive, generando un mercato dal ritorno positivo di tutela dell’ambiente, ha tutti i presupposti per essere un fenomeno che si protrarrà in futuro, percependoci dunque sempre più consapevoli dell’attivo intervento nella definizione degli equilibri ambientali.
«Il concetto di alga come possibile ingrediente è partito proprio così» aggiunge il moderatore Carlo Spinelli inserendo nel dibattito un altro prodotto sempre più comune nelle tavole contemporanee.
Tabù e preconcetti da sfatare
Il primo ostacolo che incontra il visionario brainstorming di cibi 2.0 è proprio la percezione che ha il consumatore. Sorge spontaneo chiedersi cosa è considerato tabù mangiare nella nostra cultura e quanto questi tabù pongano opposizione con i novel food. Quest’ultimo si mostra assoggettato a percezioni emotive radicate in un “Made in Italy” che porta con sé una retorica ancorata a temi di autenticità e valore identitario come indiscutibile stendardo. Esempio lampante sono le carni sintetiche che, nonostante le promettenti prospettive, a oggi rappresentano un topic “ultra macinato” dalla resistenza dell’opinione collettiva.
Chi come Edoardo Tilli del Podere Belvedere ha fatto dell’ossidazione e delle frollature della carne il proprio vademecum sostiene: «In Toscana, dove la situazione è molto più semplice a livello burocratico, io posso acquistare direttamente dal cacciatore e da questo nascono tanti vantaggi, come ad esempio l’abbattimento dei costi e la possibilità di procurarsi l’animale con la pelle e quindi di poterla mantenere durante il processo di frollatura. Quello che per molte altre cucine regionali potrebbe essere scarto di processo per me sprigiona sapori ancestrali». Evidenziando l’importanza della chiave anti spreco e dell’abbandono di questo “fanatismo del bello” aggiunge: «Bisogna che il cuoco esca un po’ dalla cucina, dialoghi anche con le altre parti per portare cultura, se non una lotta vera e propria, verso un cambio di tendenza che veda anche meno sprechi».
Possibili nuove tecniche e trasporti
La liofilizzazione naturale emerge al tavolo come promettente tecnica anti spreco e di conservazione che ha permesso di rendere immortale un tubero, come nel caso del chuño, ricorrendo solo a risorse naturali. Questa tecnica ha origini antichissime, infatti proviene da culture indigene dell’America meridionale (Argentina, Bolivia, Cile, Perù). Esponendo le patate a temperature al di sotto dei -15°C, alternando ore di luce e ombra, questo, assieme al successivo passaggio nelle acque gelide di un fiume, determina con il tempo una disidratazione naturale. Un altro vantaggio di questa millenaria tecnica è quello di riuscire a consumare le patate amare rendendole più croccanti, perfette come snack o per zuppe e stufati.
Che sapore ha invece il cioccolato del futuro? Risponde Marco Bertani, fondatore e artigiano di Cocoah, una delle realtà italiane di “bean to bar” (letteralmente “dalla fava alla barretta”): «Il trasporto della materia prima nel caso del cioccolato diviene un tassello imprescindibile del processo, poiché si vede vincolata all’importazione che limita consistentemente il discorso di sostenibilità dell’intera filiera. La speranza è quindi che i mezzi di trasporto diventino più sostenibili. Addirittura vi sono delle piccolissime realtà che hanno optato per il trasporto in barca a vela (Mas Brothers) per abbracciare la sostenibilità, ma è incerto se quest’ultima andrà di pari passo con la sostenibilità economica del prodotto finale».
Educare la domanda per intavolare l’avanguardia
Davide Marzullo, chef che guida la brigata della Trattoria Contemporanea a Lomazzo, riconferma il bisogno di educare la domanda poiché solo una domanda sostenibile può scaturire e creare terreno fertile per un’offerta sostenibile. La riflessione verte così verso i fattori che influenzano e impattano le scelte alimentari odierne e sull’aumento esponenziale della fruizione di informazioni che si fanno tendenza, comportando riscontri non sempre positivi, come nel caso del disboscamento da avocado trend.
La diversificazione delle risorse, e di conseguenze della domanda stessa, si contrappone alle monoculture funzionali all’industria alimentare che risponde a una colonizzazione politica ed economica. Negli ultimi anni ci si è domandati, dopo la comparsa di numerose intolleranze e allergie, se la spasmodica ricerca di una varietà di grano che risponde ai canoni dell’iper-produttività non abbia isolato o nel peggiore dei casi estinto dal mercato varietà che risponderebbero meglio alle odierne condizioni ambientali e di salute.
A tal proposito interviene l’agronoma del tavolo proponendo: «Una mia cliente aveva in mente di creare una Agropizzeria, ovvero una realtà che produce pizza partendo proprio dalla produzione e raccolta di varietà di grano, e via dicendo per gli altri possibili ingredienti». Chissà se si arriverà a parlare di pizza del territorio così come si intende per il vino.
Ingredienti da sperimentazione futura
Avanzano anche ingredienti come i funghi: «Funghi come il Penicilium sono più adatti per la carne rispetto al comune Koji (Aspergillus oryzae) perché penetrano in profondità nella carne e si arriva a dei sapori più ancestrali» dice Edoardo Tilli proponendo la sua esperienza e sperimentazione personale in ambito di micologia, una disciplina che recentemente è sempre più approfondita e applicata anche in ambito gastronomico, fornendo alternative di sapore gustose e nutrienti per il cibo del futuro.
Così come la bava di lumaca come addensante naturale e nutriente per il gelato. Chiaramente deve provenire da allevamenti registrati e deve essere estratto attraverso un processo non invasivo e che lo protegga dalle contaminazioni batteriche.
Sono queste alcune voci, materie e tecniche presenti al “porto di mare” creatosi al tavolo 19, caratterizzato da un dinamismo intellettuale tra esperti del settore e da contaminazioni che rispondono a evoluzioni tecnologiche e culturali, impiattando sapori che danno una risposta coraggiosa alla lotta per la tutela dell’ambiente e per un cambio di prospettiva consapevole. Visioni arricchite dalla loro natura eterogenea che riflette come probabilmente l’ingrediente chiave del futuro sia la creatività visionaria.