Si dice che siamo così intelligenti, pericolosamente intelligenti, e io sono la prova vivente che non è così. Ma non è intelligenza, la nostra: è necessità. A questo proposito, c’è una bella storiella che spiega questo concetto. Un antisemita chiede a un rabbino con tono di scherno: «Perché gli ebrei suonano tutti così bene il violino?» Il rabbino tira un sospiro, allarga le braccia e con un lieve sorriso sotto la folta barba risponde: «Perché provi lei, caro amico, a scappare per l’Europa con un pianoforte sotto al braccio!» Ed è anche per questo che stiamo sulle scatole a molti. Eh: perseguitati ben prima di Mosè, prima di sapere che eravamo ebrei, prima che Colui che è si rivelasse. E dopo, coerentemente, hanno continuato a perseguitarci. E senza saltare un anno. Perché è vero che noi siamo attaccati alle tradizioni, ma pure gli altri non scherzano.
Ora però continuiamo ad addentrarci nelle feste, perché sono un’ottima cartina al tornasole per capire come siamo fatti. Prendiamo lo Yom Kippur. La festa è preceduta dal nostro Capodanno. E, dopo Capodanno, è seguita da dieci giorni che vengono chiamati senza inutili giri di parole «giorni terribili». Bene, sappiate che questi giorni terribili finiscono degnamente con il giorno di Kippur. Un giorno di digiuno, guarda un po’. Digiuno assoluto. Chiamatela pure: espiazione. Come al solito, sia individuale che collettiva. Comunque, ecco, per dare l’idea: parliamo di un digiuno di 25 ore. Non 24. 25. Ed è proprio quell’ora in più che ti frega.
Sia chiaro: durante il digiuno, oltre a non mangiare, non si deve bere, non si deve fare sesso. E, inoltre, prescrizione di crudeltà raffinatissima: non bisogna lavarsi i denti. Ma se non mangi, direte voi. Certo, e qui sta la perfida grandezza della norma: se non ti lavi i denti, non puoi neanche illuderti di aver mangiato. Devi rinunciare anche a immaginartelo. E c’è un’altra crudeltà di una certa bellezza: durante lo strettissimo digiuno, la tavola rimane apparecchiata. E noi, ebrei italiani, per non farci mancare niente, la cospargiamo anche di grano: così, in segno di abbondanza.
Insomma, tutto è attraversato da un sottile sadismo. E questo, in un certo senso, vale anche per un’altra festa molto importante: Purim. In superficie, Purim è una festa in piena regola: si mangia, si beve, ci si diverte. Ma per forza, obbligatoriamente. Siamo al 14 del mese di adar, ovvero tra febbraio e marzo. E, a Purim, si rievoca la storia che si trova nella Bibbia, nel libro di Ester. Per farvela breve: c’è il cattivo, il perfido Aman, che vuole sterminare gli ebrei. E ci sono i buoni: Ester, una ragazza semplice che diventa imprevedibilmente regina, e il suo fedele alleato, il pio e mite Mardocheo. Ebbene, i buoni, pur se in netto svantaggio, riescono a scongiurare il folle piano del cattivo e a rovesciare il corso delle cose. A ribaltare le sorti. Perché questo significa Purim: «le sorti, i destini». E quindi, nella storia di Ester e Mardocheo, tutto il male si ritorce contro il cattivone Aman, che viene giustamente impiccato. E noi mangiamo pure le sue orecchie: le orecchie di Aman, dolce buonissimo.
Comunque, è per questo – per l’esito non scontato della storia – che la festa di Purim è un ribaltamento assoluto delle cose, dei ruoli, delle parti. Durante Purim, infatti, è buona regola – ovvero, come si dice, «è gran mitzvah» – travestirsi, cambiare identità, fare follie. Meglio ancora se, a cambiare, è l’identità sessuale: l’uomo diventa donna per una sera. E viceversa. Anche noi siamo liquidi, ben prima di Rosa Chemical. E poi, attenti, è scritto nel Talmud che durante Purim si deve bere. Non è che si può. Si DEVE.
Si deve bere fino a non sapere più – così è scritto – se si sta benedicendo Aman (il cattivo) o maledicendo Mardocheo (il buono). Ovvero: fino al punto di non riconoscere più il torto e la ragione. E nemmeno la strada di casa. Non c’è verso: devi ubriacarti pesantemente. A norma di legge: la trasgressione obbligatoria. Tanto che ti viene una voglia irrefrenabile di trasgredire la trasgressione e di startene a casa a guardare la tv con il plaid sulle ginocchia. Ma non ti è permesso. E tu comunque non riusciresti a farlo. Perché la norma ti abita, ti scandisce tutto, ti regola anche gli eccessi. La vita collettiva e quella individuale.