Nel linguaggio cinematografico il MacGuffin è il motore virtuale di una sceneggiatura, un oggetto attraverso cui una trama acquista dinamicità mettendo in moto una serie di eventi. Traslando il termine dal cinema alla vita reale, è esattamente così che immagino ogni mia lettura, dei MacGuffin che potrebbero diventare la mia personalissima busta da 40.000 dollari, quella che innesca gli eventi del film Psyco, per intenderci. I magazine, e in particolare i magazine indipendenti, diventano con periodicità suppergiù fissa, origine di viaggi ed evasioni.
Ridisegnando radicalmente forme e contenuti, attraverso sperimentazioni editoriali in cui diversi linguaggi coesistono, gli indiemag danno vita a inediti immaginari culturali e visivi, veri e propri mondi abitati da parole e immagini. Periodici solo nella cadenza, ci fanno viaggiare nello spazio, ma anche nel tempo, anticipano tendenze e diventano archivi potenzialmente eterni di contenuti, tracciando il confine tra il vecchio giornale, quello che al pomeriggio sa già di stantio, e le nuove riviste, collezionabili oggetti del desiderio. Disposable vs. relatable direbbero gli inglesi con invidiabile capacità di sintesi.
Ecco una selezione di cinque magazine che, con la loro affinità per le narrazioni personali e i luoghi più strani e insoliti, sono il perfetto MacGuffin per i lettori curiosi:
Lost
Rilegatura filo refe a vista, carta usomano opaca, doppia copertina e testata in un lineare e incisivo font Bastoni, ci danno il benvenuto in questo magazine dall’aspetto essenziale. Ideato dal designer Nelgon Ng, Lost è un diario di viaggio intimo che arriva dalla Cina, ma accoglie tra le sue pagine storie da tutto il mondo. Non aspettatevi una guida piena di travel tips e nemmeno minuziose descrizioni di luoghi da visitare, perché Lost è quanto di più lontano possa esserci dal turismo, convenzionale e non. Questa rivista è fatta dalle sensazioni che ti restano addosso alla fine di ogni articolo, come il senso di smarrimento che fa provare il disastroso, ma irriverente epilogo del viaggio in solitaria in Mongolia di Phoebe Wu o come l’orgoglio nostrano nel leggere della “caccia al mare” in una Roma che non potrebbe apparire più eterna. Vera e ruvida come la sua carta, Lost è l’essenza del viaggio nel suo stato più puro.
Flâneur
La parola francese Flâneur, resa celebre dal poeta simbolista Baudelaire, indica una persona che vaga oziosamente tra le strade di una città per il puro piacere di godere del paesaggio e Flâneur, la rivista, fa esattamente questo. Fondata da Fabian Saul e Grashina Gabelmann, questo magazine berlinese dedica ogni edizione ad una diversa città, anzi ad una singola strada di una città. Tra saggi, interviste e reportage fotografici, attraverso le lenti di questo magazine scopriamo, ad esempio, la Parigi del Boulevard Périphérique, che con baguette e Tour Eiffel ha poco a che fare, o la Roma decadente e pittoresca di Corso Vittorio Emanuele II. A rendere originale ogni volume è la grafica che cambia di numero in numero, per sposare e restituire al lettore l’animo più autentico della città raccontata, come accade con l’edizione dedicata a Taipei – vincitrice degli Stack Awards 2019 – che ci appare come un caotico mix di colori.
Cartography
«Partire è il nostro modo migliore per comprendere il mondo» leggiamo sul sito di questo magazine italiano di cultura del viaggio. Ma se non è possibile partire – aggiungo io -, ci vengono in soccorso proprio progetti editoriali di questo tipo. Dal grande formato, a contraddire l’idea che una guida di viaggi debba necessariamente essere pocket, punto di forza della rivista fondata da Paola Corini e Luca De Santis è sicuramente la fotografia documentaristica (ed ecco spiegata la scelta del formato) che accompagna i suoi testi. In ogni edizione, attraverso parole e immagini, esploriamo tre diverse destinazioni con un taglio poco turistico e molto culturale.
Rubbish
Viaggiare senza mai muoversi di casa. Probabilmente negli ultimi anni tutti abbiamo imparato a farlo, io ad esempio ogni tanto faccio un giro nell’immaginaria Stars Hollow o nel sottosopra di Hawkins. Qualcosa del genere fanno anche gli Holycrap, collettivo artistico made in Singapore formato da madre, padre e due figli adolescenti, che insieme realizzano l’unica FAMzine (family zine) al mondo. Semi-artigianale e in edizione necessariamente limitata, questa zine dedicata al design, che nel suo ultimo numero ci fa vivere un amarcord delle nostre serie tv preferite, è un gioiello di cartotecnica con i suoi tanti formati e allegati, tra cui biglietti di metro e cinema, fiori essiccati, pupazzetti o orologi. Inutile dire che è di difficile reperibilità e che sconfina dal mondo magazine a quello dei libri d’artista.
C-Site
Apparentemente ci troviamo di fronte a una curatissima (e dal formato insolito) rivista di design, nella pratica abbiamo tra le mani un portale che ci fornisce l’accesso a un modo di fare editoria nuovo e diverso dal nostro. Questo magazine cinese decostruisce il concetto classico di intervista e ci propone un dialogo interdisciplinare e anonimo tra dieci persone, le cui identità vengono nascoste l’una all’altra. In ogni numero troviamo riflessioni e idee su un determinato argomento che finisce col prendere e suggerire slanci inediti. L’ultima edizione esplora, non a caso, la tematica della distanza.