Mancano undici mesi alle elezioni europee di giugno 2024 e ad oggi non è semplice ipotizzare come sarà composto il nuovo Parlamento europeo e, di conseguenza, quale sarà la maggioranza che guiderà l’Unione fino al 2029. Sembra che anche per questa tornata elettorale si procederà con il sistema dello Spitzenkandidat, che garantisce al gruppo che ottiene più seggi in Parlamento la possibilità di proporre il proprio candidato principale alla presidenza della Commissione europea. Non tutti sono pienamente convinti da questo meccanismo che ha portato all’elezione di Jean-Claude Juncker nel 2014 ma che non ha funzionato nel 2019 (Ursula Von der Leyen è stata individuata dal Consiglio, il candidato di punta del Partito popolare europeo era Manfred Weber). Si dovrebbe comunque andare in quella direzione.
Più della metà degli eurodeputati verranno eletti dai cinque Paesi più popolosi: Germania, Francia, Italia, Spagna e Polonia. Capire lo stato di salute dei vari gruppi politici in queste realtà potrebbe essere utile per avanzare delle ipotesi, tenendo ben presente che l’appuntamento elettorale è ancora lontano e il consenso può cambiare molto velocemente. Un’indicazione la si potrebbe avere già nei prossimi mesi con le elezioni nazionali in Spagna (a fine luglio) e in Polonia (a ottobre) quando verranno rinnovati i Governi del quarto e del quinto paese dell’UE per numero di abitanti.
Il bivio dei popolari
Il PPE, storicamente il più votato alle elezioni europee, deve ancora decidere se proseguire sulla strada che gli ha consentito di esprimere il presidente della Commissione praticamente sempre -e quindi continuare a dialogare con socialisti e liberali- o virare a destra guardando a Conservatori e Identità e Democrazia. Una decisione che sarà la cartina tornasole della politica della prossima Commissione su temi come l’immigrazione e le politiche ambientali. Sul green deal, pilastro della Commissione Von der Leyen, ad esempio, non tutti i deputati del PPE la pensano allo stesso modo e nelle ultime settimane i popolari stanno frenando su diverse delle proposte dell’esecutivo, strizzando l’occhio ai partiti di destra. C’è poi la questione Russia: se il PPE dovesse guardare a destra sarà necessario far combaciare le idee dei neonazisti di Alternative für Deutschland o dei francesi di Rassemblement National guidati da Marine Le Pen, con quelle dei cristiano-democratici tedeschi o dei partiti popolari del nord est europeo. Non sarà facile.
Liberali divisi sullo Spitzenkandidat
Un’alternativa di cui si è parlato potrebbe essere quella di mettere insieme i conservatori di ECR e i liberali di Renew Europe. Bisognerà capire cosa vorrà fare da grande il gruppo di cui fanno parte Azione, Italia Viva e, ovviamente, Reinassance di Macron. È difficile pensare di tenere insieme le posizioni del presidente francese o di Renzi su ambiente, migranti e diritti con quelle dei sovranisti polacchi del premier Morawiecki. Molto però dipenderà dal risultato elettorale dei conservatori: non è escluso, in caso di sorpasso a destra, che una componente di Renew Europe possa sedersi al tavolo con PPE e ECR (e magari con la parte meno estremista di Identità e Democrazia).
La sensazione è che i liberali si auspichino il mantenimento della maggioranza di centro con Popolari ed S&D, invece di una più complessa coalizione con i conservatori di Meloni che sarebbe difficile da far digerire al proprio elettorato. «Va evitato uno slittamento dei popolari verso le questioni della destra populista», ha detto il leader di Azione Carlo Calenda qualche settimana fa. I sondaggi di Europeelects mostrano come, se si votasse oggi, RE registrerebbe un leggero calo rispetto al 2019 a causa della situazione di Paesi importanti come Francia e Spagna (dove Ciudadanos sta praticamente scomparendo). In Italia secondo l’eurodeputato italiano eletto in Francia Sandro Gozi non è da escludere una «lista comune di Renew Europe». Una mossa utile anche per superare la soglia del quattro percento.
Intanto, secondo quanto riferisce Politico, i liberali si stanno dividendo sull’opportunità o meno di sostenere lo spitzenkandidat. Stéphane Séjourné, europarlamentare e segretario generale di Renaissance avrebbe proposto una squadra di candidati per le varie posizioni di potere e non un’unica figura come invece vorrebbe l’ALDE, il raggruppamento con cui hanno fondato Renew Europe. Dopo la pausa estiva se ne saprà di più.
Socialisti e democratici o socialisti europei?
Tra i Socialisti e Democratici sarà importante capire se ci sarà un contraccolpo dopo lo scandalo Qatargate. Dai sondaggi sembra che per il momento il gruppo di centrosinistra abbia retto l’urto senza grosse ripercussioni e potrebbe attestarsi su percentuali non troppo diverse da quelle di cinque anni fa. Anche il nuovo Partito Democratico di Elly Schlein dovrebbe essere in linea con il risultato non esaltante delle ultime europee ma stavolta potrebbe essere sufficiente per affermarsi come primo partito del gruppo. Molto dipenderà dagli spagnoli guidati da Sanchez: le elezioni nazionali del 23 luglio -quando sarà passato poco meno di un mese dall’inizio del semestre spagnolo alla guida del Consiglio dell’UE- daranno indicazioni importanti anche in vista dell’appuntamento elettorale di giugno. Con i tedeschi in calo di consensi e il Partito democratico che continua a stazionare poco sotto il venti percento, un buon risultato del PSOE sarebbe fondamentale per S&D (qui, più che in altri gruppi, si fa sentire la mancanza dei deputati britannici). Intanto è iniziato a circolare già qualche nome tra i papabili candidati di punta, come quello dell’ex premier finlandese Sanna Marin o del portoghese Antonio Costa.
Sulla questione alleanze non ci sono molte alternative: dopo il voto la strada più semplice è quella di proseguire con la maggioranza attuale (Renew Europe più PPE) sperando che i popolari non svoltino a destra. In quel caso per S&D si prefigurerebbero quasi certamente cinque anni all’opposizione, senza commissari o cariche di peso a Bruxelles. Nel frattempo la presidente del gruppo al Parlamento europeo Iratxe García Pérez ha lanciato un sondaggio sull’ipotesi di un cambio di nome in vista delle prossime elezioni: da Socialisti e Democratici a Socialisti europei. Una proposta di ritorno al passato che non ha trovato l’appoggio del PD.
A sinistra dei socialisti, i verdi sono in calo e probabilmente non avranno il ruolo determinante che si sarebbero aspettati non molto tempo fa. I tedeschi di Bündnis 90/Die Grünen, di gran lunga la prima forza del gruppo al Parlamento europeo, stanno pagando il calo di consensi nei confronti dell’operato di Olaf Sholz con cui sono al Governo. Negli altri Paesi non sembrano esserci le condizioni per grandi exploit e potrebbero addirittura essere sorpassati dalla GUE, il partito di estrema sinistra.
A meno di un anno dalle elezioni, quindi, la sensazione è che questa volta, con l’ascesa delle destre, la scelta del Partito popolare potrebbe avere ripercussioni che vanno ben oltre l’orizzonte dei prossimi cinque anni. Su temi quali green deal, migranti e relazioni esterne, allearsi con i gruppi tradizionali o con l’estrema destra – in parte euroscettica – può fare tutta la differenza del mondo.