Nuovi tempi Sapori primi

Dove una volta c’era la necessità di conservazione, ora c’è il bisogno di nuovo, il desiderio di andare oltre e di creare, con il lavoro dell’uomo e la sua ricerca, nuovi gusti prima impensabili

@Podere Belvedere

Negli ultimi mesi ho mangiato un cervo cacciato sei mesi prima. Un tonno conservato da 25 anni nella sua lattina. Una rapa che stava in un vaso da più di tre anni. Un pesce che era uscito dall’acqua tre mesi prima. Un gelato di grasso lasciato irrancidire. Non sono follie gastronomiche, e nemmeno attentati alla salute. Sono nuove frontiere che esplorano un mondo sconosciuto, per creare gusti che oggi ancora non esistono.
Perché l’ossessione dilagante tra gli chef per la conservazione sul lunghissimo periodo e la creazione delle condizioni indispensabili per rendere un prodotto ancora edibile dopo molto tempo, andando al di là di ogni ragionevole data di scadenza, per scoprire i suoi cambiamenti di gusto, vuole in realtà rispondere a un’esigenza.
Quella di non farsi bastare lo spettro degli alimenti conosciuti, e i loro sapori a cui ormai siamo abituati, ma tentare di andare oltre, e di costruirne altri, senza però farlo mescolando tra loro alimenti noti, come si faceva nell’era del food pairing, ma andando a creare nuovi sapori primari.

Non ci si vuole più limitare, da cuoco creativo, a miscelare tra loro sapori noti per creare un gusto terzo. Ma si tenta di lavorare a tal punto sull’alimento da crearne un altro, andando al di là del suo sapore originario, alla ricerca di aromi, consistenze, texture e caratteristiche differenti.
Lo si fa ormai comunemente con le fermentazioni, ma lo si fa anche con le frollature di carni e pesci, o con la conservazione portata al suo limite massimo.
Mangiare a giugno la carne di un cervo abbattuto a dicembre e posto – con la sua pelle – a maturare in celle con umidità e temperatura controllata vuol dire provare a costruire un nuovo alimento, sconosciuto al gusto dei più, e andare oltre il consueto. Allungare allo stremo edibile non è un affare di conservazione, ma di sapore e di ricerca, perché equivale a vedere nascere una nuova possibilità di morso e di sensazione palatale.

E anche se queste pratiche hanno radici antiche, non possiamo certo pensare che lì siano rimaste, anzi: grazie a tecnologie sempre nuove e performanti, e alla possibilità di analisi sempre più accurate, possiamo permetterci di mangiare un tonno in scatola da 25 anni, o un pesce pescato mesi prima, o vegetali lasciati maturare anni, anche perché siamo in grado di controllarne la carica batterica e di conservare oltre ogni ragionevole scadenza gli alimenti primari che lavoriamo.
Quello che era il privilegio del vino, invecchiare ed evolvere, diventando altro da sé grazie al lento passare del tempo, l’affinamento che ci permette di bere acini staccati dalla pianta decenni prima, è diventato oggi una possibilità anche per il cibo. Che ha così una nuova frontiera da esplorare, e ci regala nuove sensazioni del palato.

Edoardo Tilli, @Podere Belvedere

In mezzo, il lavoro certosino, la ricerca maniacale, la lenta e lunga riflessione di cuochi che guardano oltre e ritentano – con mezzi e conoscenze attuali – strade passate, rinnovandole.
È il caso di Edoardo Tilli, che nel suo regno verde immerso nelle colline prossime a Firenze sta lavorando sulle carni ben oltre il ragionevole, ben oltre la frollatura normale e con la precisa idea di lasciare la pelle all’animale, che riposa così “avvolto” nella sua naturale protezione. O di Jacopo Ticchi, che nel suo Da Lucio a Rimini fa la stessa cosa sui pesci ma anche sulle carni durante il periodo di fermo pesca. O del pensiero critico sulla conservazione delle verdure, che nasce invece dall’esigenza di non sprecare quello che la terra ci regala, principio su cui si fonda la cucina di pensiero di Chiara Pavan e Francesco Brutto a Venissa. Qui, grazie all’aceto, elemento fondamentale della cucina della tenuta assieme alle lattofermentazioni, all’acetosa e alla frutta acerba, si è trovato il modo per conservare e immortalare persino il profumo dei fiori, spontanei o coltivati, fiori che vengono poi aggiunti a insalate dai sapori e colori particolari mentre ovviamente l’aceto diventa aromatico. Ma è anche la strada percorsa dal gelatiere Stefano Guizzetti, che ricerca nella conservazione di lungo periodo di ricreare sapori complessi attraverso un singolo elemento, base per la creazione dei suoi gelati decisamente senza schemi. O dell’idea di Luigi Pomata, che esplora la durata nei decenni del tonno rosso di corsa della sua Carloforte, che cambia gusto, ma soprattutto struttura e palatabilità, diventando di fatto un altro alimento, dalla consistenza inattesa.

@Podere Belvedere

È un lavoro lento, una ricerca entusiasmante, nella maggior parte dei casi a tratti folle, e sicuramente maniacale, forse a un primo sguardo inutile, e ossessiva. Che, però, sul lungo periodo può fare la differenza per l’alimentazione di tutti noi, e offrire nuove possibilità di nutrimento, nuove frontiere del gusto, e nuove idee anche per l’industria, che potrebbe decidere di sfruttare questi studi per cogliere nuove opportunità. Sperimentatori, esploratori, visionari: questi uomini e donne del cibo stanno lavorando nel segreto delle loro cucine, nella pazzia dei loro gesti mai tentati, per regalarci la cucina del futuro.

Podere Belvedere
via San Piero a Strada, 23 – Pontassieve (FI)

Trattoria Da Lucio

via A. Vespucci, 71 – Rimini

Venissa
Fondamenta S. Caterina, 3 – Mazzorbo (VE)

Ciacco Lab
Viale Mentana, 91/A –  Parma
Piazza della Steccata, 1A –  Parma
Via Spadari, 13 – Milano

Ristorante Luigi Pomata
viale Regina Margherita, 18 – Cagliari

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