Studere, studereDalle lezioni nei boschi all’educazione collaborativa, l’Italia registra un aumento di scuole alternative

L’articolo trenta della Costituzione sancisce il diritto dei genitori di istruire i propri figli in autonomia. E, complice il Covid-19, nel nostro Paese diminuiscono le iscrizioni alle forme di apprendimento tradizionali, preferendo metodi innovativi e più esperienziali

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«È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli […] Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti». Recita così l’articolo trenta della Costituzione che, di fatto, sancisce l’obbligo all’istruzione ma anche il diritto di mamma e papà a potersene occupare in totale autonomia, scegliendo di gestirla in famiglia, a volte con l’aiuto di tutor (in questo caso si chiama “istruzione parentale”) oppure all’interno di organizzazioni esterne ma con un approccio educativo differente da quello della scuola tradizionale.

Quelle, per esempio, ispirate a principi della Waldpadagogikc, la pedagogia esperienziale o costruttivista, come le “scuole nel bosco” nate in Danimarca negli anni Cinquanta e basate sull’apprendimento attraverso l’esplorazione all’aria aperta (ce ne sono anche sul fiume e sugli alberi) oggi presenti un po’ in tutta Italia. Oppure quelle che si rifanno alle teorie di pedagogisti come Marcello Bernardi e Gianni Milano, tra gli ispiratori delle “scuole libertarie o democratiche”, senza campanella o lezioni frontali e dove è sancita la libertà dei bambini di riunirsi in assemblea per decidere cosa e quando imparare.

Tante possibilità differenti, insomma, che il progetto “Tutta un’altra scuola” promosso da Terra Nuova Edizioni ha cercato di mappare arrivando a contare duecentotrentaquattro scuole alternative: nel cinquanta per cento dei casi Montessoriane, il restante cinquanta per cento diviso tra steineriane, parentali e libertarie. Percorsi di studio che si ispirano a linee guida scientifiche diverse accomunate però – per riassumere – da un insegnamento non convenzionale, più creativo, esperienziale, basato sulla collaborazione tra i pari e molto più rispettoso dei differenti tempi di apprendimento, possibilità che oggi vengono prese in considerazione da un numero sempre maggiore di genitori, a partire dall’home schooling.

Secondo gli ultimi dati ministeriali acquisiti dall’Adnkronos, in Italia sono triplicati gli homeschooler, passando da un totale di cinquemilacentoventisei registrati per l’anno accademico 2018-2019 a ben quindicimilatrecentosessantuno nel 2020-2021. E, anche se per il 2022-2023 mancano ancora dati ufficiali, gli addetti ai lavori parlano di un fenomeno in crescita, in Italia come all’estero, dove queste forme alternative di istruzione esistono da più tempo. Sessantamila bambini in Canada, settantamila in Inghilterra e due milioni negli Stati Uniti (vale a dire un bambino su cinque) invece di frequentare la scuola vengono istruiti in casa, da genitori o tutor. Ed è stata proprio la pandemia a far lievitare il numero di bambini che studiano a casa, istruiti dai genitori, da insegnanti privati o da comunità di educatori più larghe.

Nella maggior parte dei casi, nel nostro Paese l’istruzione alternativa è scelta soprattutto per la scuola materna e la primaria. Oltre diecimila dei quindicimila studenti italiani impegnati in percorsi di istruzione parentale nell’anno scolastico 2020-2021 erano bambini della scuola elementare, circa quattromilatrecento ragazzini della scuola media e solo la restante parte (poco più di novecentoquaranta alunni) ragazzi delle scuole superiori. Ma perché non inserire i figli in un percorso scolastico tradizionale, che sarebbe in fondo più semplice? Per offrire esperienze più stimolanti, creative e che prevedano molte ore all’aria aperta.

A sceglierlo sono sia i giovani genitori, sia i genitori “di ritorno”, quindi nuovamente padri e madri dopo una separazione. «Il nostro progetto si rivolge ai bambini dai tre ai sei anni ed è ispirato alla “Pedagogia della lumaca” di Gianfranco Zavalloni» spiega Elisa Valsecchi, fondatrice con Paola Ravasio e Daniele Vanoli nel 2019 dell’associazione “La Lumaca ribelle” che a Carvico, in provincia di Bergamo, ha aperto la scuola dell’infanzia “Casa della lumaca”. «L’obiettivo è quello di rimettere al centro i bisogni dei bambini che, spesso, per molte ragioni diverse, nella scuola tradizionale non hanno spazio. Ma non è un servizio “contro”, bensì in dialogo con gli insegnanti del territorio, ai quali proponiamo corsi sull’outdoor education, per fare rete, valorizzare i possibili punti in comune e trovarne di nuovi. Pedagogia della lumaca, in pratica, vuol dire educazione lenta, lontanissima dalla “performance” e basata sulle esperienze: dall’osservazione delle foglie e degli insetti alla falegnameria, dalla cucina alla coltivazione dell’orto, dal cucito fino alle letture, in aula o nella biblioteca comunale». Il tutto con un rapporto bambini-educatori (al momento gli iscritti sono sedici) decisamente ideale, di uno a dieci.

Niente voti e interrogazioni, invece, per i bambini delle elementari e delle medie che frequentano la scuola dell’associazione “A tutto cielo” (Cascina santa Brera, San Giuliano milanese, Milano). Una scuola nella natura, tra campi, asini e orto, che accoglie studenti dai tre ai tredici anni. E dove le giornate cominciano sempre all’aperto, tutti insieme attorno al fuoco, per un momento di condivisione e ascolto di storie e pensieri. Poi, via, ciascuno con la propria classe.

«“A tutto cielo”, dove lavoro ormai da dieci anni, non è una scuola “alternativa” ma, semplicemente, un luogo che offre ai bambini la possibilità di fare e imparare le cose in un altro modo» spiega Giacomo Caneschi, insegnante ed educatore di Cascina Santa Brera. Matematica, lingua inglese (potenziata perché, con un’insegnante e una lettrice madrelingua, qui i bambini la praticano per sette/otto ore la settimana), scienze e storia, non manca nessuna materia.

«Lavoriamo seguendo le indicazioni ministeriali anche perché, alla fine dell’anno, i bambini devono sostenere un esame che certifichi le competenze acquisite e la possibilità di accedere alla classe successiva. Poi però rispettiamo i tempi e il bisogno che hanno i bambini di esplorare sé stessi, le proprie emozioni, il mondo e se stessi nel mondo. Quindi offriamo continue occasioni di apprendimento esperienziale, situazioni-stimolo e di cooperazione tra pari, anche perché le nostre classi sono piccole, con dieci studenti al massimo ciascuna» continua Caneschi.

Iscrivere i figli in scuole di questo tipo, naturalmente, non è una scelta come un’altra. Richiede la collaborazione dei genitori. Sul piano della partecipazione (oltre che del sostegno economico) ma soprattutto della coerenza educativa. Dall’alimentazione agli orari fino all’uso di telefonini e computer. «I nostri bambini vengono introdotti gradualmente al digitale a partire dalla V elementare-I media. Ma, in generale, continuiamo a utilizzare moltissimo carta, dizionari, enciclopedie: sarebbe un problema se, a casa, non ci fosse lo stesso tipo di attenzione. In genere, però, chi viene da noi condivide già la nostra filosofia educativa» dice Caneschi.

Certo, passare da esperienze di questo tipo a una scuola superiore tradizionale poi non deve essere facile. «Ma ogni cambiamento comporta crisi e qualche difficoltà. L’importante è saperle affrontare grazie alla conoscenza di sé maturata fino a quel momento» aggiunge l’insegnante.

Cosa dice la legge
L’articolo trentatré della Costituzione italiana stabilisce che: «L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento. La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi». Operando la distinzione fra scuola e istruzione, dunque, questo articolo viene interpretato nel senso di una più generale obbligatorietà dell’istruzione e non del tipo di scuola, e una conseguente legittimità delle scuole parentali. Per legge, infine, la famiglia è tenuta esclusivamente all’obbligo di avvisare il sindaco e il dirigente scolastico della scuola di appartenenza di voler educare i figli in casa.

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