Le sfide globali e noiIn un anno e mezzo decideremo il nostro futuro (e forse non siamo pronti)

A giugno 2024, si insedierà il nuovo Parlamento europeo e pochi mesi dopo gli americani sceglieranno il loro nuovo presidente. Sono gli appuntamenti che plasmeranno le nostre vite negli anni a venire e sono molto più vicini di quanto si possa pensare

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Il prossimo anno di questi tempi si insedierà il nuovo Parlamento europeo, si formeranno nuove alleanze politiche continentali e si eleggerà il nuovo presidente della Commissione di Bruxelles. Qualche mese dopo, a novembre, gli americani sceglieranno il loro nuovo presidente. Saranno momenti decisivi per il nostro futuro, probabilmente le elezioni più importanti della nostra epoca (lo so, si dice ogni volta così, ma viviamo in tempi difficili e di sfide sempre più pericolose), con effetti rilevanti sulla guerra in Ucraina, sui diritti civili in Occidente e sull’economia globale.

Mancano un anno e un anno e mezzo a questi appuntamenti, ma in realtà sono molto più vicini di quanto si possa pensare guardando semplicemente il calendario. Quel che più conta è che ci stiamo arrivando del tutto impreparati, specialmente noi italiani. In Europa è in corso un nuovo riequilibrio tra le tradizionali famiglie politiche europee. I popolari e i socialdemocratici non sono più avversari come una volta e insieme formano una maggioranza non estremista. I liberal-democratici sono sempre lontani dal guidare le istituzioni europee, anche adesso che hanno un leader globale come Emmanuel Macron.

Il punto è che le prossime elezioni potrebbero far saltare il patto tra popolari, socialdemocratici e liberali con cui è stata governata (bene) l’Europa durante la crisi causata dal Covid e la guerra di aggressione russa all’Ucraina che vuole essere europea. La minaccia dei sovranisti e dei nazionalisti, alimentata anche dalla propaganda russa, ma anche la crescita dei conservatori meno estremisti, con ogni probabilità non consentirà alle tradizionali famiglie europee di continuare l’attuale alleanza di governo e quindi già adesso si prospetta una nuova maggioranza politica costituita dai popolari e dai conservatori, tra cui i Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni e i nazionalisti polacchi.

Lo scenario più probabile, dunque, è quello di un deciso spostamento a destra delle istituzioni europee che potrebbe sfaldare l’Unione e fomentare ulteriormente le istanze nazionaliste e populiste dei demagoghi di destra. Sui diritti civili saranno guai seri per tutti, mentre le istanze sovraniste rischieranno di minare le fondamenta dell’Unione.

Restando all’Italia, ricordiamoci le posizioni di Giorgia Meloni prima che diventasse presidente del Consiglio sul primato del diritto interno rispetto a quello europeo, ovvero una via legislativa per giungere all’Italexit proprio mentre gli inglesi cominciano a capire in che pasticci si sono messi con la Brexit.

L’altro tema preoccupante è quello della sicurezza europea messa a rischio da Vladimir Putin e dai suoi sgherri. I popolari europei sono stati tra i maggiori sostenitori della resistenza ucraina, come hanno più volte dimostrato le presidenti Roberta Metsola e Ursula Von der Layen, ma che cosa succederà una volta che il Ppe governerà l’Europa con i più scettici conservatori?

È vero che, per ragioni storiche e geografiche, i nazionalisti polacchi sono innanzitutto antirussi e difficilmente cambieranno idea, ma il solido e serio atlantismo dimostrato da Giorgia Meloni da quando è al governo dovrà comunque superare la prova dei crescenti mugugni dei suoi alleati interni filo russi e, soprattutto, il risultato delle elezioni americane, perché una cosa è doversi accreditare in una Washington a salda guida atlantica, un’altra è fare sponda con il più affine Donald Trump o con un altro nazionalista disinteressato alle sorti dell’Europa, figuriamoci dell’Ucraina.

E così arriviamo alla sfida americana di novembre del prossimo anno tra un presidente come Joe Biden, che ha guidato in modo favoloso il mondo libero dopo la débâcle afghana decisa dal suo predecessore, ma che è anche anziano e visibilmente stanco, e un quasi golpista devoto a Putin come Donald Trump.

L’alternativa a Trump al momento è Ron DeSantis, il negazionista del Covid che governa la Florida. DeSantis sull’Ucraina ha le posizioni più filorusse e antieuropee possibili, mentre sul fronte interno promuove politiche reazionarie sui diritti civili e si presenta agli elettori come un Trump intelligente, un Trump capace, un Trump efficiente, uno che se decidesse di organizzare un golpe, come aveva tentato Trump tra il novembre del 2020 e il gennaio 2021, sarebbe in grado di portarlo a compimento.

Trump o DeSantis alla Casa Bianca sono entrambi uno scenario da tregenda per l’America, per l’Ucraina, per l’Europa e per il mondo libero. E finalmente una vittoria, dopo tante sconfitte in Ucraina, per le cosche mafiose al potere in Russia.

L’Italia è una piccola rotella dell’ingranaggio e al momento è senza alcun ruolo nel quadrante globale, perché l’attuale leadership neo, ex, post fascista non ha credibilità internazionale, nessuna esperienza e nemmeno precedenti di affidabilità, basti pensare che senza alcun motivo il governo Meloni, unico Paese dell’Ue, ha bloccato per mesi la nascita del Mes, il Meccanismo europeo di stabilità messo in piedi per evitare che le crisi nazionali possano impattare letalmente sull’Unione.

L’alternativa alla Meloni non c’è. Il Pd di Elly Schlein è un’assemblea di istituto che i vecchi volponi della ditta credevano di poter governare, quando invece è evidente che il partito sia avviluppato nel caos creato da una micidiale miscela di principianti, di reduci e di gruppettari uniti soltanto da una forte vocazione minoritaria e da un rancore adolescenziale che li porta a cancellare dal partito ogni traccia di riformismo liberal.

I populisti di Giuseppe Conte sono un fenomeno da avanspettacolo buono per la Duma, per Mar-a-lago e per Elly Schlein, più che per Bruxelles. I liberal-democratici e i riformisti hanno sprecato l’occasione della vita di creare un’alternativa credibile al bipopulismo facendo fallire il progetto di partito unitario e restando a reggere il moccolo in un Partito democratico che non c’è più. Alcuni sognano di fare la gamba liberale della destra, e sperano che altrettanto faccia Macron, altri si girano dall’altra parte e tentano di tenere alta la bandiera riformista mentre la calca populista e radicale li schiaccia inesorabilmente.

Manca meno di un anno alle elezioni, ed è tardi per costruire un’alternativa seria. Ma in meno di un anno si possono fare molte cose, o almeno si può provare a farle. Restare inerti a guardare l’avanzata dei nazionalisti e dei populisti perché tanto non c’è niente da fare non è una soluzione politica, è complicità.

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