A Belfast vige una tregua ormai da molti anni, almeno da quando la Provisional IRA, l’ultima formazione indipendentista, ha abbandonato le armi. Ma la storia della lotta per l’indipendenza irlandese è ancora molto presente. Racconta della più lunga guerra di occupazione al mondo che si srotola in oltre quattrocento anni di dominio britannico. Racconta di generazioni di irlandesi che si sono susseguite nel combattere per un’Irlanda che potessero ritenere come la propria terra. Ci sono scritte e murales nelle strade che narrano di donne e uomini che si sono impegnati in prima linea per realizzare i propri ideali di indipendenza.
Ci sono donne e uomini che non hanno mai smesso di volerli realizzare. Nel 2013, quando Erik Messori arriva a Belfast, i trattati di pace sono ancora molto recenti. Firmati nel 2005 rappresentano l’epilogo di un periodo denso di fatti che hanno disegnato soprattutto gli anni tra i Settanta e i Novanta, come la vicenda di Bobby Sands, l’indipendentista che nel 1981, insieme ad altri nove compagni, si lasciò morire di fame nel carcere di Long Kesh portando alle estreme conseguenze la protesta contro Margareth Thatcher che si era rifiutata di concedere loro lo status di prigionieri politici. O come la protesta delle donne contro le truppe inglesi che le avevano costrette a stare chiuse in casa, impedendo loro persino di andare a fare la spesa.
Ci sono le tracce di una serie di attentati che sembrava infinita e che aveva reso i protagonisti dei terroristi e sovversivi nell’immaginario collettivo. Si è scritto molto, soprattutto in quegli anni, ma di loro si sa ben poco. Ed Erik Messori si immerge in questa storia con gli strumenti che sa usare meglio, la sua macchina fotografica. Cerca le storie, cerca le persone, cerca l’empatia. Cerca di capire e di sapere. Per poi scegliere la strada che forse meglio di molte altre può raccontare la lotta per l’indipendenza irlandese: ritrarre i corpi dei protagonisti. Corpi disegnati, che hanno affidato all’immagine un racconto doloroso, non ancora finito. Come scrive Giulia Caruso nel libro che raccoglie questo lavoro di Messori, Independence on my skin, ritrae «uomini e donne che quella storia l’hanno vissuta e pagata a caro prezzo sulla propria pelle, lottando in prima fila, magari arruolandosi nelle file dell’IRA. Alcuni erano ancora bambini che giocavano per le strade della città occupata, mentre le truppe inglesi portavano via per sempre il sorriso dell’infanzia dal loro viso.
Independence on my Skin è fatto di scatti nudi e crudi nei bagni dei pub, spesso di fretta, per paura di essere visti. Scatti clandestini eseguiti di notte, in abitazioni sconosciute, sfidando il pericolo di essere scoperti e la diffidenza spesso pericolosa di chi si sente ancora minacciato da un dominio meno evidente che in passato, ma sempre presente». Un bianco e nero fortemente contrastato per ritratti che sono quasi sempre dei close-up su porzioni di corpi senza volto prende il posto dell’alfabeto in un racconto dai toni punk, al gusto anni Settanta, ma estremamente attuale e di peso documentale: fotografa i tatuaggi di ex combattenti dell’IRA , ex prigionieri politici, persone normalmente inavvicinabili.
Il progetto, come spiega l’autore in una intervista riportata nel volume, nasce perché «da bambino ero rimasto colpito dall’eco delle notizie dall’Irlanda del Nord riportate dai telegiornali. Davanti ai miei occhi scorrevano immagini di attentati, di scontri, di bombe e di vittime. Nelle mie orecchie echeggiavano frasi come «quei terroristi criminali dell’IRA» ripetute dai cronisti. E dopo tanti anni, visitando quegli stessi luoghi e incontrando i reduci di quella guerra, è nato il desiderio di raccontare la loro storia da un’angolatura diversa, oltre le etichette infamanti. Di portare alla luce qualcosa della loro vita più autentica e intima. E cosa c’è di più intimo di un tatuaggio?».
Il libro raccoglie anche i murales sparsi per la città e con i tatuaggi completa un lavoro sulla memoria perché entrambi sono destinati a scomparire: i tatuaggi con i corpi di chi li indossa e i murales con le inevitabili trasformazioni urbane. Non solo. È un libro prezioso perché parla un linguaggio emozionale. Sono corpi senza volti e disegni lungo strade deserte a prendere la parola, entrando nei dettagli delle vite di ognuno, tra armi e bandiere, parole e nomi in gaelico, mappe dell’Irlanda e volti di amici e famigliari persi nella guerra… Una canzone per immagini, che risuona anche oggi, fatta di ideali frustrati e mai sopiti, di una guerra mai conclusa che si intreccia perfettamente alle note di quella degli U2, citata da Andrea Casoli nel suo saggio: How long, how long must we sing this song?, “per quanto, per quanto tempo ancora dovremo cantare questa canzone?”.