Alberto Mortara già dagli anni Trenta aveva iniziato i collegamenti con il movimento di “Giustizia e libertà”, non solo per evidenti affinità politico-ideologiche, ma anche per i legami familiari – per via materna – che aveva con i due fratelli Carlo e Nello Rosselli (oltre che con la loro madre, la famosa “zia Amelia” cui rimarrà sempre affezionatissimo). Allora, e fino al 1938, Mortara aveva svolto un’intensa attività operativa presso la Confederazione dei lavoratori del commercio, che lo aveva portato anche a Roma, a dirigere l’ufficio studi della stessa Confederazione. Motivo, questo, non ultimo dei rapporti con gli esponenti antifascisti, non solo quelli di “Giustizia e libertà”. Di seguito, la legislazione antiebraica, oltre al suo rifiuto a iscriversi al partito fascista, avevano costretto Mortara a trovare altri impieghi: dapprima come dirigente presso la filiale italiana della catena inglese “British Home Stores”, poi, durante i primi mesi del 1943, come dirigente in una raffineria di oli minerali.
Proprio come tenace oppositore del regime, alleato con il Terzo Reich hitleriano e ormai coinvolto nel pieno del secondo conflitto mondiale, Mortara era stato arrestato nel luglio del ’43, mentre si trovava nello studio di Mario Paggi, suo amico e come lui antifascista intransigente. Ma, per fortuna, era riuscito quasi subito a tornare in libertà. Tant’è vero che di lì a poche settimane – esattamente nell’agosto – lo ritroviamo al numero 31 di via Poerio, nella casa milanese di Mario Alberto Rollier, dove avviene la fondazione del Movimento federalista europeo, alla presenza non solo dei due maggior leaders, Altiero Spinelli e Ernesto Rossi, che nel confino di Ventotene avevano preparato e poi – insieme a Eugenio Colorni – lanciato al mondo il famoso manifesto Per un’Europa libera e unita, più noto come Manifesto di Ventotene. E in quella riunione, insieme a Mortara c’erano altri, destinati più tardi a farsi un nome, da Leone Ginzburg a Vittorio Foa, da Manlio Rossi Doria a Dino Roberto, a Alberto Damiani…
Comunque, nelle file della Resistenza Mortara operava già da quando, con il nome di battaglia “Pepe”, aveva aderito al Partito d’azione, insieme a alcuni amici coi quali aveva vissuto l’esperienza liceale – da Ernesto Nathan Rogers a Dino Luzzatto, a Gian Luigi Banfi. Spesso si spostava soprattutto da Milano a Firenze, riuscendo a svolgere un’efficace attività di collegamento anche se la polizia lo stava tenendo d’occhio. Leo Valiani, che l’aveva conosciuto al principio del ’44, ha lasciato scritto che “la sua determinazione, la sua serietà, la sua salda preparazione culturale, la sua esemplare modestia impressionavano favorevolmente”. Anzi, aveva aggiunto: “Da appassionato studioso di economia, quale si rivelò ancora giovanissimo, cercò di approfondire gli aspetti più concreti dei problemi che si ponevano alla sua attenzione”.
Ma anche Mortara – come sarebbe accaduto a altri suoi compagni, intransigenti nella fedeltà alle regole del “non mollare” – è costretto a lasciare l’Italia. Tant’è vero che, dopo il bombardamento della casa di Firenze dove erano nascosti, nella primavera del ’44 (esattamente il 14 maggio, come si ricava dalla minuta di una sua lettera indirizzata a Carlo Ludovico Ragghianti l’8 giugno) decide – insieme alla moglie Alice Feldstein, un’ebrea d’origine viennese che aveva sposato nel ’42, e alla figlia, la piccola Elèna Emilia – di riparare in Svizzera, a quel tempo ospitale terra d’asilo per molti rifugiati. Uno di loro, che gli era molto amico, Ernesto N. Rogers, ne preannuncia “sollevato” il prossimo arrivo con una lettera benaugurale, datata 2 maggio.
Inizialmente, dopo una breve sosta nel campo Casa d’Italia di Bellinzona, vive nel campo per internati civili Majestic di Lugano; poi nel campo di lavoro per rifugiati di Pian San Giacomo (Grigioni) fino al 20 settembre 1944, quando viene trasferito in un altro campo di lavoro, quello di Pont de la Morge, nel Vallese. Infine dal 20 novembre 1944 trova rifugio a Ginevra, dove non tarda a riprendere i contatti con Ernesto Rossi, che lo incita a collaborare ad Avanguardia, un foglio che usciva a Locarno due volte alla settimana. Anche Spinelli, ovviamente, non manca di intervenire per diffondere le idee federaliste. E infatti sul numero 73 del 23 settembre 1944 esce il “Progetto di Dichiarazione Federalista dei movimenti di resistenza europei”. Alberto Mortara partecipa attivamente al dibattito su questi temi, elaborando proposte sulla futura riforma della struttura economica della società, come documentato dal suo carteggio con Altiero Spinelli nell’agosto 1944, uscito postumo nel volume di scritti di Spinelli.
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Avanguardia è una pubblicazione preziosa, perché sapeva dare voce sia a quanto stava succedendo in Italia (sul numero 81 del 21 ottobre ’44, per esempio riporta il testo del discorso su Il problema della democrazia e il Partito d’azione, tenuto da Ugo La Malfa il 17 settembre a Roma), sia alle indispensabili prospettive per l’Europa di domani, come risulta dall’articolo, apparso sul numero successivo, quello del 28 ottobre ’44, dove sotto il drastico interrogativo Europeismo Liberatore o egoismo suicida? spicca un riferimento a quanto si poteva leggere nel numero di settembre del ’43 dei Cahiers de Liberation – probabilmente segnalati dallo stesso Mortara –, e precisamente che “la pace non può essere una costruzione immediata e totale”, mentre occorre prevedere subito almeno “la costruzione di federazioni che permettano a Stati vicini per territorio e civiltà di sopprimere le barriere monetarie, doganali e militari”.
Tema, questo, del futuro del nostro Continente, che ritorna di lì a poche settimane, nel numero del 2 dicembre ’44, con l’articolo L’Europa di domani. Dai Blocchi alla Federazione, che porta la sigla “gib”, dove si legge una tesi, rimasta sempre cara allo spirito di pragmatismo e concretismo, così evidenti in Mortara: “Il cammino è lungo e si percorrerà solo a tappe […]. Ma subito, oggi non domani, il concetto d’una graduale Federazione di Stati europei deve essere diffuso, studiato, discusso, presentato ai governi come materiale per la loro trattative”. Un tema, questo dell’unità europea, che Mortara saprà tenere sempre vivo, anche dopo la fine della guerra e la caduta del fascismo, quando però apparirà sempre meno facile realizzare quanto, invece, avevano subito lucidamente intravisto i sostenitori (lui compreso) del manifesto Per un’Europa libera e unita.
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Viene la Liberazione, e Mortara non perde tempo a rientrare in Italia. La politica non lo abbandona, e sempre in forza delle sue riconosciute competenze, a Milano diventa uno dei componenti del “comitato economico” del Partito d’azione. Sul piano professionale, entra come consigliere economico alla Montecatini, dove il suo amico Mario Alberto Rollier era stato nominato commissario. Ma non dimentica mai la sua adorata Venezia, la sua città natale, di cui ci ha lasciato questo toccante frammento manoscritto, senza data: “Il silenzio notturno assoluto di Venezia. Era un silenzio diverso dagli altri, ovattato, senza echi, del quale si potevano contare le poche interruzioni di qualsiasi suono, scambio di saluti, la cadenza di un remo, il chiudersi di una finestra sembrava venire da una profondità lontana ed era subito catturato e ingoiato, come la caduta di un sassolino nell’acqua si chiude con il leggero “cloc” dell’impatto e subito si disperde nel brivido dell’increspatura alla superficie […]”.
E, naturalmente, anche se in seguito svolgerà altri impegni lavorativi, non tralascerà mai la passione di scrivere, soprattutto sui prediletti argomenti legati all’economia e allo sviluppo. Tuttavia, se dovessi scegliere anche solo un frammento, che ci dia la misura di una sua simbolica eredità ideale, non avrei il minimo dubbio a suggerire di rileggere un suo articolo, apparso il 30 dicembre del 1950 sulle colonne del settimanale “La lotta socialista”. Già il titolo, L’unità europea condizione del Socialismo! (compresa la maiuscola!), riflette quella che rimarrà una costante del suo credo nel federalismo “quale spinta al superamento della sovranità nazionale, con la costituzione di organismi comuni dotati di effettivo potere”.
Ma Alberto Mortara è troppo attento e consapevole che un simile traguardo – pur così essenziale – rimaneva molto arduo, per riuscire a realizzarlo in tempi brevi. E allora? Con lucido realismo ecco la sua risposta, su cui dobbiamo tutt’oggi meditare:
«Meglio un’Europa unita sotto un regime democratico anche non conforme alle nostre aspirazioni, piuttosto che un’Europa costituita dalla somma di tanti Stati nazionali, almeno altrettanto lontani, nella loro struttura, dai nostri ideali. Meglio un inizio d’Europa unita, che affermi il principio del superamento delle sovranità nazionali e che rappresenti una forza di richiamo e un esempio per gli allargamenti successivi, piuttosto che il mantenimento di una situazione di cui non possono che avvantaggiarsi gli interessi costituiti».