Effetto dominoQuello che succede in Antartide non rimane in Antartide

Il continente circostante il Polo sud sta vivendo eventi atmosferici estremi sempre più frequenti, con un impatto ben visibile in tante zone del mondo (Europa compresa). La calotta glaciale antartica, mai così ridotta, è una specie di termometro globale che non possiamo più permetterci di ignorare

AP Photo/LaPresse (Ph. Natacha Pisarenko)

È praticamente certo che le continue emissioni di gas serra porteranno ad aumenti nella dimensione e nella frequenza degli eventi atmosferici estremi in Antartide». Nel silenzioso regno di ghiaccio e neve che si estende fino ai confini della Terra, si sta svolgendo un importante dramma ecologico che ha conseguenze che vanno ben al di là delle sue frontiere. 

In un contesto di crescente preoccupazione per il cambiamento climatico, nuove scoperte scientifiche stanno portando alla luce un aspetto spesso trascurato del Polo Sud: l’aumento nella frequenza e nell’intensità degli eventi climatici estremi sta provocando ondate di calore, cicloni, perdita di ozono e fiumi atmosferici provenienti dall’Amazzonia con impatti drastici sull’ambiente e sul clima dell’intero globo. Un recente studio, condotto da un team internazionale di quattordici scienziati e pubblicato su Frontiers in environmental science, ha rivelato che gli effetti atmosferici nell’area polare stanno superando le previsioni già molto pessimistiche. 

Le dinamiche che determinano l’estensione dei ghiacci attorno all’Antartide sono intrinsecamente complesse e variegate. Fino a qualche anno fa, a differenza di quanto osservato nell’Artico, non era mai stata verificata una diminuzione marcata della calotta glaciale. 

Queste due regioni polari presentano notevoli differenze: l’Artico, in prossimità del Polo Nord, è prevalentemente circondato da terre, come il nord del Canada, la Groenlandia, la Scandinavia e la Russia, con porzioni di mare interposto. Al contrario, l’Antartide costituisce un vasto continente circondato da un oceano. L’Artico, con la sua configurazione geografica, è una delle aree maggiormente sensibili al riscaldamento globale e la significativa riduzione del ghiaccio marino, superiore al dodici per cento nell’ultimo decennio, è chiaramente legata ai mutamenti climatici causati dalle attività umane. 

Ma le cose iniziano a riguardare anche il continente ghiacciato del Sud. Infatti lo scorso inverno la superficie dell’oceano Antartico coperta da ghiacci ha raggiunto l’estensione minima dal 1979, ossia da quando la si misura utilizzando i satelliti. E se la causa del record negativo di quest’anno è in parte dovuta a El Niño (un fenomeno climatico periodico che provoca un forte riscaldamento delle acque del Pacifico), gli studiosi confermano che in futuro per i ghiacciai del Sud le cose andranno sempre peggio a causa del surriscaldamento globale di natura antropica. 

I risultati dello studio non lasciano spazio a dubbi: la vulnerabilità dei sistemi antartici sta aumentando in modo allarmante. E non si tratta solo di un problema lontano, ma di un campanello d’allarme globale che richiede azioni immediate e drastiche. Tra i dati più inquietanti emersi ci sono i minimi record di ghiaccio marino, il crollo delle grandi piattaforme di ghiaccio e le temperature superficiali che hanno raggiunto addirittura 38,5°C sopra la media nell’Antartide orientale nel 2022. Un’ondata di calore di proporzioni epiche, la più grande mai registrata nel mondo.

I livelli di ghiaccio marino, che fluttuano ogni anno tra un minimo a febbraio e un massimo a settembre, stanno vivendo un crollo preoccupante. La quantità minima di banchisa ha raggiunto nuovi record negativi durante l’estate, questo è accaduto ben tre volte negli ultimi sette anni. Un chiaro segnale che il nostro clima sta attraversando cambiamenti profondi e rapidi. Ma non è finita qui. Il ghiaccio che copre la terraferma antartica sta diminuendo dagli anni Novanta, contribuendo all’innalzamento del livello del mare in tutto il mondo. 

AP Photo/LaPresse (Ph. Natacha Pisarenko)

Questo fenomeno, se non contrastato, avrà impatti significativi sulle comunità costiere e sugli ecosistemi marini dell’intero globo. Anche le piattaforme di ghiaccio, grandi distese che costeggiano le coste dell’Antartide, stanno cedendo terreno. Alcune di esse hanno subito collassi spettacolari negli ultimi decenni, segnalando cambiamenti drammatici nella regione. Inoltre questi eventi stanno innescando un ciclo vizioso con il fenomeno del riscaldamento globale. 

Le crescenti emissioni antropogeniche contribuiscono all’incremento delle temperature medie, avviando il processo di degradazione del permafrost e il conseguente rilascio di considerevoli quantità di gas serra nell’atmosfera. All’interno di questi depositi criogenici, sono intrappolate consistenti riserve di gas ad effetto serra, tra cui l’anidride carbonica e il metano. Secondo gli studi si stima un potenziale rilascio di oltre millesettecento miliardi di tonnellate metriche di metano e CO2, una cifra notevolmente superiore alle emissioni annuali complessive derivanti da tutte le attività umane sul pianeta.

Una recente ricerca pubblicata su Nature evidenzia che la Circolazione di sovrapposizione dell’oceano meridionale, una corrente oceanica profonda di importanza globale, potrebbe subire un rapido rallentamento fino al quaranta per cento entro il 2050 a causa del continuo aumento delle emissioni di gas serra. Il punto è che questa corrente gioca un ruolo cruciale nel regolare il clima del pianeta e influenzare vari aspetti del sistema climatico. L’effetto domino che questa possibile riduzione potrebbe innescare è motivo di preoccupazione tra gli scienziati. 

Infatti il rallentamento della Circolazione di sovrapposizione dell’oceano meridionale avrebbe un impatto diretto sulla distribuzione del calore e dei nutrienti negli oceani, con conseguenze a cascata per l’intero sistema climatico. Ad esempio, si potrebbero verificare cambiamenti nei modelli meteorologici globali, influenzando i regimi di precipitazione e causando eventi climatici estremi in diverse parti del mondo, cosa che sta già accadendo. Inoltre, uno degli aspetti più preoccupanti è l’effetto diretto sull’innalzamento del livello del mare.

Questo rallentamento potrebbe contribuire a un aumento della superficie marina, intensificando le inondazioni costiere e mettendo a rischio numerose comunità in tutto il mondo. In aggiunta, l’alterazione dei modelli oceanici potrebbe compromettere gli ecosistemi marini, causando carenze di nutrienti che sono essenziali per la sopravvivenza dell’ecosistema acquatico.

Secondo le allarmanti conclusioni di un autorevole studio di alcuni anni fa, se non verranno adottate misure concrete per contenere il riscaldamento globale entro un limite di 1,5 gradi Celsius, il nostro pianeta potrebbe trovarsi di fronte a uno scenario inquietante: il livello del mare potrebbe innalzarsi a un punto tale da obbligare approssimativamente trecento milioni di individui a migrare verso l’entroterra. Questa non è una prospettiva da sottovalutare. 

Secondo le stime  della Nasa un aumento di un solo metro delle acque oceaniche negli Stati Uniti metterebbe in movimento tra i sei e i tredici milioni di cittadini, generando una situazione irreversibile. L’esempio della Florida illustra bene i rischi concreti che potremmo dover affrontare. Per quanto riguarda l’Europa, sono i Paesi Bassi a fare da campanello d’allarme. Posizionati al di sotto del livello del mare, con una profondità massima di 6,7 metri, si trovano di fronte a una sfida senza precedenti. Potranno adattarsi fino a un massimo di due metri di innalzamento del livello del mare, tenendo conto di un aumento di temperatura di 1,5 gradi. Tuttavia, è importante notare che nei peggiori scenari di emissioni, entro il 2100 potremmo affrontare un aumento del livello del mare fino a sei metri. 

Secondo l’Ipcc, il Mediterraneo, con il suo ruolo vitale nella vita delle regioni italiane costiere, non è da meno. Circa quaranta aree geografiche rischiano seriamente entro la fine del secolo. Recentemente l’Enea, istituto di ricerca pubblico nei settori dell’ambiente e dell’energia, ha aggiornato la lista delle zone costiere a rischio in Italia, che al momento ha raggiunto quota quaranta. In Italia, l’erosione costiera, che secondo Legambiente riguarda quasi metà delle spiagge della penisola, rappresenta una sfida particolarmente rilevante. Nel corso di cinquant’anni, il paese ha perso in media 23 metri di spiaggia su 1750 chilometri di litorale. La situazione è peggiorata a causa della subsidenza, un lento sprofondamento del suolo, che intensifica gli effetti dell’innalzamento del mare legato al cambiamento climatico.

In tutto ciò la calotta glaciale antartica emerge come un importante indicatore delle variazioni climatiche in corso, come fosse una specie di grande termometro globale. A partire da una ricerca condotta nel 2021, pubblicata da Nature comunication, si è cominciato a gettare nuova luce sui complessi meccanismi che influenzano la stabilità dei ghiacci dell’Antartide occidentale. 

Nonostante la crescente evidenza di un potenziale collasso, dice lo studio, emergono possibilità concrete di impedire che ciò accada: il nostro ruolo nel mitigare questa situazione è ancora cruciale. Le prove presentate dimostrano in modo chiaro che il cambiamento climatico è il principale artefice di questa situazione critica. Tuttavia, l’intervento umano può rappresentare una risorsa importante per invertire questa rotta. La chiave per proteggere l’integrità della calotta glaciale antartica e, alla fine, delle comunità in tutto il mondo, si trova nelle decisioni immediate che dovremmo prendere nei prossimi anni riguardo alle emissioni di gas serra e all’impatto ambientale complessivo.

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