Lettere al continenteLa nostra Europa è come un club per scambisti

Con questo messaggio inviato a dei colleghi europei (Lana Bastašić, Kamel Daoud, Drago Jančar, Oksana Zabužko) alla vigilia del Forum di Amsterdam Forum sulla Cultura Europea, lo scrittore olandese Arnon Grunberg apre una discussione sugli Stati europei, la loro democrazia e le loro vulnerabilità

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Cinque scrittori di diversi Paesi hanno immaginato il futuro dell’Europa attraverso una catena di lettere iniziata da Arnon Grunberg e proseguita con Drago Jančar, Lana Bastašić, Oksana Zabužko e Kamel Daoud

Cari Lana Bastašić, Kamel Daoud, Drago Jančar, Oksana Zabužko,
è surreale ma allo stesso tempo emozionante scrivere una lettera sull’Europa a quattro persone che non ho mai avuto il piacere di incontrare fino ad ora. L’Europa è uno degli argomenti che provoca in assoluto il numero più elevato di malintesi: un po’ come come entrare per la prima volta in un club per scambisti. Poiché è stata oggetto di molte metafore, perché non adottare anche questa? Proprio così, un club per scambisti.

Cominciamo con il dire che questo continente ci sta tanto, o almeno un po’, a cuore, visto che abbiamo accettato di partecipare a un forum sull’Europa e sul futuro della democrazia. Non serve essere cinici per cacciare un mezzo sospiro e chiedersi: di nuovo? Siamo in Ricomincio da capo? Anche se differiamo per età e background, presumo che tutti voi abbiate partecipato a diversi incontri in cui uno dei temi principali era proprio questo.

Che la democrazia liberale sia vulnerabile è un dato di fatto, e probabilmente oggi lo è ancora di più di quanto non lo fosse, ad esempio, nel 1990; in generale, per una questione di tempo e luogo, è sempre stata fragile e minacciata. Lo dico da universalista riluttante. Dopo tutto, i primi anni Novanta sono stati quelli della guerra in Jugoslavia, dimenticata dal subconscio collettivo, o almeno da chi non faceva parte di quel mondo. Nel 1993 la fragilità della democrazia doveva essere percepita diversamente a Sarajevo rispetto a Parigi, Londra o Milano.

Susan Sontag a Sarajevo
Come sapete, nel 1993 Susan Sontag si recò a Sarajevo, allora sotto assedio, per mettere in scena Aspettando Godot. Scrisse che ci era già stata in precedenza e che la gente del posto le aveva detto: «Facciamo parte dell’Europa, siamo il popolo dell’ex Jugoslavia che difende i valori europei: laicità, tolleranza religiosa e multietnicità. Come può il resto del continente essere indifferente di fronte alla situazione in cui ci troviamo?».

A questa domanda Sontag rispose: «L’Europa è, ed è sempre stata, un luogo di barbarie e di civiltà». Purtroppo, scrisse, «non volevano ascoltare. Pochi mesi dopo nessuno contesterebbe una simile affermazione». Seguendo il filosofo tedesco Theodor Adorno, la barbarie è inscritta nel principio di civiltà. Possiamo discutere su cosa intendesse esattamente; oppure, semplicemente, possiamo concludere affermando la necessaria presenza di barbari in ogni civiltà, fuori o dentro le mura, per fare una distinzione tra noi e “loro”. Tra la civiltà e la barbarie.

Non sono affatto un convinto conservatore, ma dubito che noi esseri umani possiamo vivere senza un nemico, come dubito che sia possibile dare forma a un’identità collettiva che non abbia nemici reali o immaginari.

Mi chiedo inoltre se trent’anni dopo il viaggio di Sontag a Sarajevo possiamo ancora affermare che la laicità, la tolleranza religiosa e la multietnicità siano valori europei: in caso contrario, suggerirei di non lamentarci troppo. La realtà non ha soddisfatto le nostre aspettative, l’Europa può averci deluso, ma dobbiamo andare avanti.

La delusione rispetto al presente è un sentimento comune, proprio come la glorificazione di un passato quasi sempre mitico. Il rovescio della medaglia è la tendenza a vedere il passato – di preferenza il proprio – come una serie di crimini e misfatti che devono essere perseguiti. Sono favorevole – chi non lo sarebbe? – a un’analisi storica il più possibile meticolosa e imparziale. Certo, un’analisi storica neutra non è possibile, ma vale la pena lo stesso.

La tendenza a vedere la Storia come un esercizio di azione penale è nemica della comprensione e dell’analisi. Alcune volte è impossibile evitare di perseguire il passato per correggere il presente ma, pur non negando che ci sono vittime e carnefici esiste, e lo sappiamo bene, una zona grigia di atti in cui la moralità e le scelte delle persone non sempre sono evidenti.

Gli asini in Europa
Non so come mi comporterei se mi trovassi in condizioni estreme di guerra o di persecuzione. Da quando sono giunto alla conclusione di essere un peccatore comune – non sono affatto religioso, ma le parole “peccatore comune” riassumono bene la zona grigia – le mie aspettative riguardo a me stesso non sono molto alte. Ogni volta che ceniamo insieme, un mio amico mi dice che un peccatore ha bisogno del futuro e un santo del passato ma, correggetemi se sbaglio, tutti abbiamo bisogno del futuro. Ora, la domanda che sorge spontanea è la seguente: di che tipo di futuro abbiamo bisogno? E per chi? Dobbiamo includere altre specie nei nostri pensieri e progetti? Gli asini in Europa sono anch’essi europei?

Il poeta e drammaturgo tedesco Friedrich Schiller scrisse: «Deutschland? Aber wo liegt es? Ich weiß das Land nicht zu finden; / Wo das gelehrte beginnt, hört das politische auf» («La Germania? Ma dov’è? Non trovo questo Paese; / Dove comincia quello appreso, quello politico finisce»). Prometto che da ora in poi smetterò di usare nomi pomposi.

Ma possiamo praticare l’arte della conversazione senza fare nomi? Per un motivo o per l’altro, ho sempre avuto un debole per la Germania. Anche se mi sono trasferito da Amsterdam a New York nel 1995, un giorno mi piacerebbe diventare tedesco, qualunque cosa significhi o comporti esserlo, come ad esempio avere un passaporto. O per diventarlo c’è bisogno di qualcosa in più?

In ogni caso, la domanda di Schiller vale anche per l’Europa. Mentre la Germania, almeno per il momento, ha delimitato i suoi confini, l’Europa li cerca ancora. Gli inglesi volevano essere europei pur non facendo parte dell’Europa; ora molti di loro sono delusi, sono stati presi in giro a sufficienza, e sono maestri nel prendersi in giro da soli. Onore al merito.

L’Europa è la storia dell’Europa stessa? Esiste una storia comune? E quanta ancora ce ne serve per costruire il nostro futuro? Abbiamo bisogno di un’altra utopia? Oppure, poiché siamo diventati tristi e saggi dopo il fallimento di tante utopie dovremmo cercare ora di trovare un po’ di felicità nell’imperfezione?

Prigionieri della Storia
È sconsigliato divenire prigionieri della Storia, e dei miti e delle leggende che spesso sono legati al racconto della Storia stessa, poiché è proprio quando il conservatorismo e il tradizionalismo si lasciano imprigionare che le loro conseguenze più terribili e intolleranti cominciano a prendere forma.

La possibilità di fuga è per me l’essenza di ciò che significhi essere un mortale, un essere umano, o come lo si voglia chiamare. Evadere è possibile, talvolta addirittura inevitabile; a volte il fuggitivo sarà applaudito, altre volte sarà etichettato come codardo, ma questo non è molto importante a mio avviso.

Se voglio difendere la democrazia liberale, e credo di volerlo fare (se poi voglio morire per essa è un’altra questione), devo convivere con persone che non hanno alcuna ammirazione per questo tipo di sistema politico.

Non credo che la decenza implichi voler difendere la democrazia liberale, sarebbe una totale mancanza di immaginazione e sarebbe contrario allo spirito di libertà. Non sono nemmeno sicuro che parliamo della stessa cosa quando usiamo le parole “democrazia liberale”.

È presuntuoso immaginare che, poiché siamo autori e scrittori (per citare una delle piccole cose che ci uniscono), dobbiamo avere le stesse opinioni e credenze.

Vivere con persone che vogliono uccidermi
Dal mio punto di vista la democrazia liberale comporta che io possa vivere con individui appassionati di cose che invece io disprezzo, che possa addirittura cenare con loro. Volendo, questo significa che posso convivere con persone che vogliono uccidermi, ma finché si trattengono dal farlo non ho particolari problemi. Hanno diritto alla loro immaginazione e ai loro passatempi, purché rispettino la legge; e questa è per me un’altra caratteristica della democrazia liberale: posso sentirmi protetto dalla legge, senza dovermi fare giustizia da solo o corrompere poliziotti, giudici e pubblici ministeri. Posso anche convivere con persone che hanno ideali politici che considero pericolosi, disgustosi e probabilmente immorali. Nessuna autorità ci dice che cosa pensare e cosa no, chi ammirare e chi no, a chi credere e a chi no. Questo è il sistema di cui parlo.

Sono diventato un europeo trasferendomi a New York. Probabilmente è più facile essere europei quando non si vive più in Europa. L’Europa rappresenta un desiderio, una terra promessa in lontananza, ma nel momento in cui ci si mette piede, ci si dimentica della promessa.

Inutile dire che le tentazioni sono troppe, l’oscurità è proprio lì. Un filosofo – ho promesso di non fare altri nomi – ha detto che la libertà è un mistero.

Ma la tentazione non è la stessa cosa di un’autorità con una polizia segreta e un esercito per imporre un insieme di dogmi ai suoi cittadini. Possiamo anche vivere sotto il giogo del mercantilismo – e, a proposito, il romanzo ha un futuro economico o dovremmo togliere i soldi dall’equazione una volta per tutte, in modo che tutto ciò di cui l’artista ha bisogno sia un ricco mecenate? – ma non è la stessa cosa di un regime brutale. Basti pensare all’Iran.

Se pensassi di essere un missionario il cui compito è quello di convertire gli altri perché mi seguano e condividano la mia visione del mondo, le mie lotte, le mie idee sulla giustizia, allora non prenderei sul serio la libertà. Uno scrittore, per esempio, per sedurre i propri lettori mostra loro la sua visione del mondo, ma questo non equivale certo all’atto di convertire attivamente qualcuno.

Lo scrittore offensivo
Il mio scontento è nato da tante discussioni con alcuni dei miei contemporanei e dei miei migliori amici, che non riescono a smettere di convertire altre persone. Bisogna fare la cosa giusta. Credere la cosa giusta. Dire la cosa giusta. Non sono diventato scrittore per vivere la vita, nemmeno quella intellettuale, di un boy scout.

L’Europa è qualcosa di più di una semplice geografia? Se sì, come possiamo definirla? Possiamo essere d’accordo su valori che non siano generici al punto da rendere evidente che sono stati formulati per non offendere nessuno?

Lo scrittore è sempre stato pronto a offendere le persone, ma non solo per il gusto di offendere; mi aspetto ora che si impegni a fondo per essere il più possibile onesto. Onestà e gradevolezza non sempre vanno d’accordo. Da un lato adorerei piacere perché vorrei essere ricordato anche come un seduttore part-time; dall’altro non voglio tradire la nostra professione.

Le persone che ci hanno invitato, quelle che ci pagano, i nostri lettori, potrebbero non gradire le cose che abbiamo da dire. Se dovesse accadere, ci scuseremmo. Nell’attesa di vedervi ad Amsterdam.

Statemi bene,
Arnon Grunberg

Pubblicato in collaborazione con Voxeurop.eu

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