Nella notte peggiore si sono registrate precipitazioni per oltre cinquecento millimetri. Vale a dire cinquecento litri su ogni area di un metro quadrato. Per cinque giorni, invece, la temperatura è salita sopra ai quaranta gradi. Dal 1951 lo aveva fatto solo altre sei volte. In un mese praticamente pareggiato quanto accaduto in settantadue anni. Il teatro di entrambi i fenomeni è lo stesso: Pechino e dintorni. Dati che rendono chiaro quanto anche la Cina sia coinvolta dal cambiamento climatico globale. E che anzi forse più di altri potrebbe essere esposta a fenomeni estremi. Da una parte piogge torrenziali, inondazioni e alluvioni. Dall’altra temperature a dir poco torride.
Tifoni e ondate di caldo estive non sono una novità per il territorio cinese, ma la violenza con cui è stata colpita la capitale cinese è piuttosto inusuale. Il passaggio del tifone Doksuri, il più potente a raggiungere la Cina negli ultimi anni, ha provocato almeno undici morti e ventisette dispersi. Circa centotrentamila sono state invece evacuate dalle proprie case. Si tratta della tempesta più letale ad aver colpito Pechino dal 2012, quando le inondazioni provocarono settantasette vittime. Almeno altre nove persone sono invece morte nella provincia dello Hebei, a nord di Pechino.
L’area della capitale, dove abitano circa ventidue milioni di persone, ha registrato un mese intero di precipitazioni nel giro di quarantotto ore, con una media di 175,7 millimetri. Secondo il servizio meteorologico cinese, si è trattato delle piogge più abbondanti da quando sono iniziate le registrazioni, centoquaranta anni fa. A essere colpiti più gravemente sono stati soprattutto alcuni sobborghi occidentali, in particolare Mentougou dove è esondato un fiume e diversi video condivisi sui social mostravano strade completamente allagate e ponti spazzati via dall’acqua.
L’impatto è stato rilevante anche sulla rete ferroviaria e sono stati colpiti anche due simboli della capitale. L’aeroporto internazionale di Daxing, inaugurato nel 2019 e fiore all’occhiello della nuova architettura cinese con la sua forma che ricorda quella di una fenice, è stato costretto a cancellare tutti i voli nella giornata di lunedì 31 luglio. Alcune immagini hanno mostrato persino delle acque che ristagnavano tra i templi della Città Proibita, affacciata su piazza Tienanmen a Pechino, simbolo della Cina imperiale e principale attrazione turistica del paese insieme alla Grande Muraglia. Alcuni media come il China Daily non avevano persino escluso un allagamento, che sarebbe stato il primo in 600 anni di storia.
La frequenza e la distruzione che le piogge provocano in Cina sono state esacerbate dal cambiamento climatico. Nel 2021 almeno trecento persone sono state uccise dalle inondazioni a Zhengzhou, nella provincia centrale dello Henan. Questa estate sono stati colpiti sia la provincia meridionale del Fujian sia la metropoli di Chongqing, con diverse aree inondate che hanno causato evacuazioni di massa. Dall’altra parte ci sono ondate di caldo anomali. Nello Xinjiang, la regione autonoma all’estremità occidentale della Repubblica Popolare, si è arrivati alcuni giorni fino a cinquantadue gradi: un record.
Non si tratta certo di un solo problema cinese. Sempre a luglio, il sud-ovest del Giappone ha conosciuto le piogge più intense di sempre, con alluvioni e frane causate dalla rottura degli argini di otto fiumi nelle prefetture di Fukuoka e Oita. Le frane rappresentano un grave rischio in Giappone, dove molte abitazioni sono costruite su terreni pianeggianti ai piedi di colline e montagne. Nel 2021 una frana nella località termale di Atami ha ucciso ventisette persone. Nel 2018, inondazioni e frane hanno ucciso più di 200 persone nel Giappone occidentale durante la stagione delle piogge.
Problemi seri anche in Corea del Sud, dove nelle scorse settimane le piogge torrenziali hanno causato quaranta morti e migliaia di evacuazioni, soprattutto nel centro-sud del paese asiatico. Il presidente Yoon Suk Yeol ha chiesto una revisione completa dell’approccio di Seul al cambiamento climatico. «Questo tipo di eventi meteorologici estremi diventeranno comuni, dobbiamo accettare il cambiamento climatico e affrontarlo», ha dichiarato dopo una riunione di emergenza. L’idea che le condizioni meteorologiche estreme legate al cambiamento climatico «siano un’anomalia e non possano essere evitate deve essere completamente rivista», ha detto Yoon.
Non è però sempre facile mettere le parole in pratica, anche per ragionamenti economici e politici. Giappone e Corea del Sud hanno fissato l’obiettivo del raggiungimento della neutralità carbonica entro il 2050, la Cina entro il 2060. Pechino, attualmente il maggiore emettitore di anidride carbonica al mondo, intende arrivare al picco delle emissioni entro il 2030.
Gli obiettivi ambiziosi fissati dal presidente Xi Jinping erano stati presi molto sul serio soprattutto all’inizio del suo secondo mandato e fino alla pandemia. Poi la “lunga marcia” per raggiungerli si è fatta improvvisamente più accidentata. Nell’autunno del 2021 si è verificata una grave crisi energetica. Pechino ha sostenuto che i problemi siano stati causati soprattutto dall’esterno, a partire dall’aumento dei prezzi. Ma per settimane si sono verificati blackout, razionamenti, chiusura di impianti produttivi, semafori spenti con chilometri di traffico paralizzato, ascensori tenuti a terra per conservare energia.
Almeno diciassette province e regioni, pari al sessantasei per cento del Prodotto interno lordo della Repubblica Popolare, hanno annunciato forme di interruzione di energia. La situazione era diventata particolarmente grave nel nord-est del paese, area che dipende molto dall’approvvigionamento dei combustibili fossili. A tutto ciò si è aggiunto anche un parziale razionamento del carburante nei distributori di alcune aree del paese. Risultato anche del congelamento delle tariffe energetiche che aveva mandato in difficoltà i produttori, mentre la domanda di carbone continuava a salire.
Questa brutta esperienza, unita alla necessità di rilanciare l’economia dopo quasi tre anni di dure restrizioni anti Covid, ha fatto sì che la stretta sulle emissioni sia stata parzialmente allentata. Già nell’autunno del 2021, dopo il via libera del governo centrale, le autorità locali hanno ordinato alle miniere di carbone di aumentare la produzione. Ciò non significa che Pechino abbia intrapreso la retromarcia sulla transizione energetica, considerando anche il suo ruolo da protagonista sul fronte delle energie rinnovabili. Il mercato dei pannelli solari e quello delle auto elettriche è letteralmente dominato dalla Cina.
Pechino è chiamata a trovare un equilibrio delicato tra le necessità immediate e quelle future. Anche perché i fenomeni climatici estremi come siccità e alluvioni hanno conseguenze devastanti su impianti produttivi, allevamenti e coltivazioni. Gettando un’ombra su quella che è da sempre la priorità fondamentale del Partito comunista dopo la grande carestia verificatasi durante il grande balzo in avanti di Mao Zedong: la sicurezza alimentare.
Ma Xi e il Partito non vogliono farsi mettere fretta da nessuno, men che meno dagli Stati Uniti. La Cina rivendica la sua etichetta da paese in via di sviluppo e chiede sì responsabilità comuni, ma minori a quelle dei paesi pienamente sviluppati. Il messaggio è il seguente: «Voi avete inquinato più di tutti finora e avete portato il mondo sull’orlo del collasso, ora non potete pretendere che tutti si adeguino al vostro ritmo di riduzione di emissioni mentre tocca ad altri svilupparsi come voi avete fatto prima». Un discorso che piace a diversi paesi del cosiddetto Sud globale, di cui Pechino si erge a capofila.
La posizione cinese è stata ribadita in modo chiaro nelle scorse settimane, quando si è presentato in Cina l’inviato speciale sul clima della Casa Bianca, John Kerry. Xi non lo ha ricevuto ma è intervenuto alla conferenza nazionale sulla protezione ecologica e ambientale, che si svolgeva proprio in quei giorni. In quella che è sembrata una risposta indiretta alle richieste degli Stati Uniti, Xi ha ribadito l’impegno incrollabile a raggiungere il picco delle emissioni entro il 2030, ma ha aggiunto che la Cina non si farà influenzare da altri nel determinare i suoi obiettivi. La lunga marcia si farà, ma senza grandi balzi in avanti.