Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti oggi incontrerà il collega della Salute, Orazio Schillaci. E la richiesta che arriverà da Schillaci sarà di aumentare i fondi per il servizio sanitario nazionale nella prossima legge di bilancio di almeno tre miliardi, in modo da compensare in parte il buco da 15 miliardi nei conti dovuto all’inflazione.
Come raccontato da La Stampa, su questo enorme deficit pesano l’aumento dei costi e il rinnovo del contratto dei medici 2019-2021, con un calo dell’11,5% della reale capacità di spesa. Ci sono 15 Regioni con i conti in rosso, di cui sette che non riescono a garantire i livelli essenziali di assistenza. Mentre i medici sono sempre più in fuga verso la pensione e lo stress di chi resta che fa commettere 100mila errori all’anno in corsia.
L’inflazione, in quattro anni, nel 2024 si sarà mangiata 15 miliardi di finanziamenti. Ci sono tre Regioni su quattro che non riescono più a tenere i bilanci in pareggio, come documenta il recente rapporto sul Coordinamento della finanza pubblica della Corte dei Conti.
Le perdite aumentano: erano di 800 milioni nel 2020, sono arrivate a un miliardo e passa l’anno successivo, per toccare quota un miliardo e 470 milioni nel 2022. Con previsioni per quest’anno ancora più fosche.
Intanto con i bilanci 2022 riportati ancora in attivo sono rimaste solo Lombardia, Veneto, Umbria, Marche, Campania e Calabria. Ma in molti casi si tratta di avanzi irrisori. Tutte le altre Regioni sono invece in rosso: quelle messe peggio sono le Province autonome di Trento e Bolzano, rispettivamente a -243 e -297 milioni, la Sicilia a -247 e il Lazio, che accusa una perdita di oltre 216 milioni.
Con deficit più consistenti, ritoccare le voci di spesa al centesimo non basta più. Anche perché la spesa sanitaria assorbe da sola circa l’80% dei bilanci regionali. Per cui il 2024 potrebbe diventare l’anno dei commissariamenti e dei relativi piani di rientro in sanità. Con tutto quel che segue in termini di tagli alle prestazioni e blocco delle assunzioni. Tra l’altro, come documenta la Corte dei conti, le Regioni in piano di rientro sono quelle che vedono crescere più lentamente la spesa sanitaria per singolo cittadino, facendo aumentare così le diseguaglianze territoriali già marcate, visto che la spesa pro-capite va dai 2.836 euro dell’Alto Adige ai 2.041 della Calabria.
E se la coperta è corta, si fa fatica a garantire i livelli essenziali di assistenza, i cosiddetti Lea. Secondo l’ultimo monitoraggio effettuato dal ministero della Salute nel 2021, sono sette le Regioni che non sono riuscite a garantirli: Alto Adige, Molise, Campania, Sicilia, Sardegna, Valle d’Aosta e Calabria.
Dopo i milioni di prestazioni saltate durate l’emergenza Covid, il recupero riguardo i ricoveri ospedalieri si è fermato al 66%, con Nord e Centro però rispettivamente al 72 e al 78% mentre il Sud è inchiodato al 40%. Stesso discorso vale per visite e analisi, con un recupero che a livello nazionale è del 57%, ma che vede il Nord all’81%, il Centro al 79% e il Sud a uno striminzito 15%. E mentre nelle Regioni economicamente più forti chi non si è servito del servizio pubblico nella maggioranza dei casi si è diretto pagando verso il privato, nel Meridione – dove la disponibilità di spesa è più bassa – il grosso delle prestazioni saltate in Asl e ospedali si è tradotto in molti casi in rinuncia alle cure. E il paradosso è che, nonostante il governo abbia stanziato 500 milioni per il taglio delle liste di attesa, 152 non sono stati spesi. Anche in questo caso con grandi differenze territoriali: al Nord è stato usato il 92% delle risorse, al Centro il 57% mentre al Sud solo il 41%.