Non si è mai capito perché i fascisti e i comunisti, diciamo le loro caricature di nuovo conio, si infurino ogni qual volta qualcuno gli dia di fascisti e di comunisti, come peraltro succede ormai quotidianamente con i membri della maggioranza di governo da poco riemersi dai sistemi di riciclo delle acque reflue e come capita ormai da decenni con i fanatici delle magnifiche sorti e progressive un tempo consegnati alla spazzatura della storia assieme all’umido.
«Il fascismo è morto» rispondono gli uni, «vedete comunisti ovunque» ridacchiano gli altri, e noi siamo qui in mezzo da trent’anni a dire una cosa diversa. Questa: vivaddio il fascismo storico e il socialismo reale non esistono più, il doppio nemico della civiltà contemporanea è scappato, è vinto, è battuto, dietro il fascio e dietro la cortina non c’è più nessuno, solo reduci e nostalgici e saltimbanchi buoni da scherzare, buoni da twittare, da farci il sugo quando viene Natale.
Epperò la società contemporanea, non solo italiana ma occidentale, oggi è minacciata internamente da chi vuole imporre il pugno di ferro dello Stato etico, in particolare sul tema dei diritti civili e della libertà di espressione, e da chi lotta contro il capitalismo demo-pluto-massonico-giudaico.
E, sì, Stato etico e anticapitalismo sono tratti comuni di entrambi gli “ismi” novecenteschi (e non a caso il primo nasce da una costola del secondo, il secondo si alleò col primo agli inizi del secondo conflitto mondiale e ora insieme fanno da tappeto ideologico al Cremlino).
E, quindi, come dovremmo chiamare chi nell’agosto 2023 vuole ancora legiferare sul nostro corpo, sulle nostre abitudini e sul nostro linguaggio?
Come dovremmo chiamare chi vuole controllare, spiare e limitare le attività private?
Come dovremmo chiamare, infine, chi scatena la gogna digitale e gli schiavettoni reali e prova a cancellare le garanzie costituzionali perché il proprio tabù è da sfatare senza la misericordia concessa all’incubo che invece tormenta l’avversario?
Parlare di “matrice fascista” è una scemenza madornale, così come “odore di mafia”, visto che né la matrice né l’odore risultano essere reati, ed è ridicolo caricaturizzare come rossi-mangia-bambini chiunque critichi gli eccessi del capitalismo.
Ma qui stiamo parlando di una cultura dominante di destra e di sinistra che vuole sovvertire il sistema capitalista per sostituirlo con il sovranismo etico, con lo smantellamento dello Stato liberale e con il reddito di cittadinanza, spesso di concerto con gli amici ungheresi, russi, venezuelani e trumpiani, per non parlare di chi aggiunge al mazzo anche il no alla globalizzazione, ai vaccini, a Big Pharma, alle multinazionali e al diritto del popolo ucraino di difendersi dall’imperialisno nazibolscevico dei russi. Come andrebbero chiamati questi qui se non “neo, ex, post fascisti” o, nell’altra versione, “neo, ex, post comunisti”?
Definizioni altrettanto esatte non ce ne sono, mentre ci sarebbero le risposte, se non le soluzioni, per provare ad addensare il brodo primordiale che ha infiammato questo ritorno al passato, un passato che si ripete sotto forma di farsa e di tragedia perché privo di un impianto ideologico coerente, ma con un’imitazione dei bei tempi che furono, anche se furono tutto tranne che bei tempi.
Gli Stati Uniti sono stati l’unico paese del mondo civilizzato che tra gli anni anni Venti e gli anni Trenta sono riusciti a non cedere alle tentazioni del fascismo e del comunismo e non solo per le fideistiche ragioni del “qui non può succedere” raccontate da Sinclair Lewis nel suo distopico romanzo del 1935, ma al contrario per alcune scelte politiche precise e lungimiranti.
L’allora presidente Franklin Delano Roosevelt aggiunse le misure sociali del New Deal alle prescrizioni del liberalismo americano di sinistra, politiche volte a mitigare gli effetti perversi del capitalismo negli anni della Grande Depressione e dei forgotten men ma anche, così facendo, volte a scongiurare l’avvento del socialismo.
Bisognerebbe ripartire da qui, da Roosevelt, per evitare in Europa e nel mondo una seconda catastrofe politica come quella degli anni Venti e Trents del secolo scorso. Peccato, però, che alle porte non ci sia nessun Roosevelt, semmai una schiatta di liberali presuntuosi e una masnada di reduci e combattenti delle guerre ideologiche del passato: gli uni e gli altri inadatti a difendere la società contemporanea dai neo, ex, post lanzichenecchi interni ed esterni.