Ceto medio pavlovianoL’indignazione per Vannacci, il mitomane Morgan e l’industria culturale in balìa del caso

Un tizio annuncia su Twitter l’uscita della sua opera e teneramente spera in uno scandalo di un quarto d’ora proprio nella domenica in cui l’attenzione è monopolizzata non solo dal libro del generale ma anche da un cantante che si crede Carmelo Bene

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Apro Twitter – o come si chiama ora – a mezzogiorno di domenica, e un tizio la cui identità è irrilevante ai fini di questo ragionamento annuncia che ha consegnato il suo nuovo libro. Scrive il tizio: «Immagino che inevitabilmente ci saranno polemiche», e io mi struggo di tenerezza.

Una cosa sola avrebbe dovuto insegnarci la vicenda che monopolizza i giornali da una settimana, cioè quella d’un generale che scrive un libro stigmatizzando un mondo che s’è immaginato, e il delirio collettivo raggiunge vertici tali da far comprare un libro a gente per la quale il libro è un prodotto estraneo quanto per me le figurine dei calciatori.

Una sola cosa avremmo dovuto imparare, ma come al solito abbiamo la curva d’apprendimento piatta, e ci teniamo tantissimo a percepirci svegli. Abbiamo teorizzato complotti, accurate programmazioni di manifesti politici, tempistiche studiate da scienziati della comunicazione, e non abbiamo visto l’ovvio.

Il redattore molto di sinistra del giornale del ceto medio riflessivo che s’insospettisce per questo libro con una sinossi assurda alle prime posizioni di Amazon, in un mercato così asfittico che per salire in classifica basta ti compri la camerata su cui comandi.

Il giornale del ceto medio riflessivo che il primo giorno non si fila la proposta di pezzo del redattore di sinistra, ma il giorno dopo accade quel che accade nelle tempeste perfette: che c’è un buco in pagina.

L’indignazione pavloviana di sinistra perché, ma tu pensa, uno che ha fatto dello sparare ai nemici una carriera non ha idee illuminate sul mondo, chi l’avrebbe mai detto.

I telegiornali di destra che a quel punto sono autorizzati a occuparsi in lungo e in largo del libro – è uno scandalo, quindi è una notizia – facendogli una pubblicità che gli uffici stampa delle case editrici possono solo sognarsi; loro costretti a mettere tomi in braccio agli autori intervistati perché la regola dei tg è sempre stata che loro l’inquadratura della copertina non te la fanno, e il generale che invece ha la sua copertina ovunque, e vedere la copertina è come vedere un pacco di patatine: diventa un prodotto, lo vanno a comprare.

La settimana in cui la gente i libri per il mare li ha già comprati e il mercato è particolarmente basso (sia Ada D’Adamo sia Michela Murgia vendono poco più della metà della settimana precedente) che diventa la settimana del trionfo di Roberto Vannacci, che – con l’handicap d’essere maschio e pure vivo – si ritrova a vendere un libro caratterizzato dai refusi e dalla copertina orrenda (e quindi perfetta per un paese che non si capisce come sia passato dal produrre il Rinascimento all’essere tragicamente privo di senso estetico).

Il tizio su Twitter – o come si chiama ora – pensa di poter programmare le polemiche che lo riguarderanno, e io m’intenerisco, perché sì, puoi programmare una polemica da un quarto d’ora, ma con una polemica da un quarto d’ora vendi forse abbastanza per una settimana in classifica bassa: la tempesta perfetta, per quella serve una concatenazione di eventi che non puoi controllare (anche se ci saranno sempre complottisti che ti spiegano che è tutto pianificato, percependosi al tempo stesso meno casi umani di chi crede che nei vaccini ci sia il microchip).

M’intenerisco perché il suo solingo tweet – o come si chiama ora – sta in mezzo a un social che monograficamente si occupa della tempesta perfetta di questa domenica: Morgan che, su un palco, ha detto, ohibò, «frocio di merda» a uno del pubblico.

Morgan che come Marina La Rosa rivendica «ho dei sentimenti» (mancava solo «sono una persona vera»). Morgan che si percepisce grande artista avendo scritto in un secolo ben una canzone che qualcuno ricordi.

Morgan che si percepisce Carmelo Bene e dice in tono che vorrebbe fosse sprezzante e risulta solo disperato «siete il pubblico». Morgan che si percepisce raffinato intellettuale e dice «a me non disturba» essendo stato assente il giorno in cui la maestra faceva l’elenco dei verbi transitivi.

Come tutte le persone normali, non guardo “X Factor”. Come tutte le persone normali, sento parlare di “X Factor” solo in circostanze come queste, in cui compattamente l’internet dei giusti chiede la testa di qualcuno: siete un programma inclusivo, quello ha detto «frocio di merda», non può passarla liscia, ohibò.

Il punto pare essere «frocio», più che «di merda». Leggo invocazioni del disegno di legge Zan (finalmente se ne capisce l’utilità: ci avrebbe salvato da una domenica in cui lo scandalo è Morgan, lasciandoci con la coda lunga dello scandalo Vannacci; o forse no, forse anche Vannacci a quest’ora sarebbe in gattabuia, per aver detto che mica è normale, quel gusto lì?).

Leggo accusatori che puntualizzano che «frocio è un insulto denunciabile per legge». Accipicchia. Non leggo nessuno notare che, da uno che si percepisce grande intellettuale, ci si aspetterebbe una proprietà di linguaggio superiore a quella che aveva mio padre se un automobilista al verde non si sbrigava a ripartire. Se gli intellettuali sono quelli che di fronte all’avversario non hanno repertorio dialettico più ricco di «bastardi» e «frocio di merda», poi non ci si può meravigliare se il pubblico non intellettuale si esprime a grugniti e compra Vannacci.

Penso al povero tizio che ha consegnato il libro nuovo, e spera in uno scandalo piccino picciò, e poi magari si trova a uscire in un giorno in cui la nostra attenzione di moscerini è monopolizzata da un telefono con telecamera che ha ripreso un cantante che dice le parolacce. L’industria culturale in balìa del caso. E neanche i ristori governativi in caso l’imprevista tempesta perfetta si diriga altrove.

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