La Zona Demilitarizzata è un monumento alla follia umana, eppure, inaspettatamente, al suo interno un miracolo zoologico e botanico, costellazioni di piante e animali a lungo dimenticati sono tornati a fiorire e vivere. Lo racconta Simon Winchester nel suo “Terra”, pubblicato per Mimesis edizioni
Protetta da una triplice recinzione di filo spinato elettrificato, campi minati e trappole esplosive, attraversata dai fasci di luce dei riflettori e dai laser dei nidi di mitragliatrici, soggetta a una litania di trattati e accordi di cessate il fuoco, una fascia di quattrocento miglia quadrate di terra coreana vergine è rimasta vuota e intatta dall’inizio dell’autunno del 1953. Questa creazione distopica, la Zona Demilitarizzata, la DMZ larga quattro chilometri che separa la Corea del Nord dalla Corea del Sud all’incirca lungo il 38° parallelo, è giustamente considerata un monumento alla follia umana, eppure, inaspettatamente, al suo interno si è verificato qualcosa di meraviglioso ed edificante. Per un miracolo zoologico e botanico, costellazioni di piante e animali a lungo dimenticati sono tornati a fiorire e vivere in questa striscia in grande abbondanza inselvatichita, attirati dalla perfetta serenità di quello che è altrimenti ritenuto uno dei luoghi più pericolosi del mondo.
All’interno della zona, lunga 155 miglia, è stato creato un museo vivente della biologia della zona temperata. Sebbene fosse una barriera progettata appositamente per scongiurare la ripresa dei conflitti fra eserciti di grande ferocia, ha visto invece una fragile rinascita della vita naturale, poiché è uno dei pochi luoghi del pianeta chiaratamente libero dalla presenza dell’uomo. A tutta l’umanità è vietato entrare nella DMZ e la Natura, di conseguenza, fiorisce con gratitudine in pace.
Una sorta di pace, almeno. Gli altoparlanti montati sulle cime delle colline e sui promontori da ambo i lati delle recinzioni diffondono incessantemente e a un volume inimmaginabile un profluvio di propaganda – inni, discorsi, arie, canti di marcia, annunci orwelliani di vittorie o violenze –, inducendo molti osservatori umani e sentinelle a indossare tappi per le orecchie. Tuttavia, gli animali all’interno della recinzione, se osservati attraverso lenti potenti, sembrano non curarsene: le gru coronate rosse planano leggiadre nelle risaie millenarie e ormai invase dalla vegetazione, beccano, si pavoneggiano soddisfatte con la loro andatura impettita e poi decollano di nuovo, in formazione di squadriglia, prima di posarsi ancora una volta su un raccolto più ricco nelle vicinanze. Gli altri uccelli sono ugualmente tranquilli: le gru dal collo bianco, quasi altrettanto rare e speciali, vanno e vengono, e così anche le martore dal ciuffo giallo, i fagiani e le gazze, le tortore e i bulbul, le cince e i picchi, tutti rari in Corea del Sud, ma qui presenti a migliaia (se non fosse per gli altoparlanti a tutto volume che ne coprono i versi). Allo stesso modo, i mammiferi: l’orso nero asiatico, la lince, il cervo d’acqua cinese, i goral e i leopardi dell’Amur raramente avvistati, tutti ora noti per prosperare felicemente in questa riserva naturale immensa, spontanea, accidentale.
L’idea di consentire alla natura di sostituirsi all’uomo in un tratto di territorio e, col tempo, di invertire o almeno riparare i danni provocati da secoli di attività umana non è nuova. Già nel XVIII secolo a.C. l’autore dell’Epopea di Gilgamesh lamentava la distruzione delle foreste mesopotamiche e si chiedeva, nei vari testi di questo lungo e influente poema11, come l’umanità potesse mai rispondere a Dio delle ferite inferte al suo mondo. E oggi, quando leggiamo di come la Natura si sia ripresa la terra della DMZ, di come il territorio irradiato e abbandonato intorno a Chernobyl sia tornato allo stato selvaggio di un tempo, godiamo di una certa perversa epicità, sapendo che la forza che doveva vincere – la Natura, la giungla – alla fine ha trionfato.
A volte, però, vince in modo così aggressivo da perdere. A volte, la legge della giungla può rivelarsi sgradevolmente crudele per gli umani che vi si imbattono, preferendovi una natura più piacevole per gli occhi e per la mente. Gli eventi di un esperimento olandese iniziato alla fine degli anni Sessanta illustrano la collisione tra esseri umani animati da buone intenzioni e alcune forze naturali destabilizzanti che hanno scatenato.
Tratto da “Terra” (Mimesis) di Simon Winchester, pp. 394, 19€