Dittatura 2030La teocrazia saudita prova a riformare la sharia, ma rifiuta del tutto la democrazia

Mohammed bin Salman vuole importare tutto dall’Occidente, ma non ha alcuna intenzione di riformare il suo paese in senso liberale, anche se è disposto a emendare la legge coranica di alcune prescrizioni particolarmente odiose tra cui la flagellazione, la lapidazione degli adulteri, l’amputazione delle mani dei ladri

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Importare di tutto dall’Occidente, tranne la democrazia: questa è strategia di Mohammed bin Salman, detto Mbs, e della sua “Vision 2030”, il progetto di modernizzazione accelerata dell’Arabia Saudita nel quale il principe ha intenzione di investire svariate migliaia di miliardi. Una concezione specularmente opposta all’ideologia della globalizzazione che voleva che la interconnessione tra le economie e l’incremento massimo dello sviluppo economico avrebbero portato di per sé la democratizzazione di tutte le aree del pianeta. 

Dunque, Mohammed bin Salman, che sviluppa una politica estera vincente in Medio Oriente, è fermamente convinto dell’opposto, la teocrazia illiberale non verrà mai intaccata. In Arabia Saudita, Stato teocratico, la Legge Fondamentale stabilisce nel suo primo articolo che «Il Libro di Dio (il Corano) e la Sunna del suo Profeta sono la Costituzione» e Mbs ha più volte dichiarato che si guarda bene dall’introdurre libere elezioni o pur timide riforme democratiche. L’esperienza disastrosa delle “Primavere Arabe” insegna. 

Al massimo, in una fondamentale intervista ad Al Arabiya, ha annunciato che intende abrogare il rispetto degli Hadith, pronunciamenti del Profeta non contenuti nel Corano non supportati dal massimo dei testimoni e non riscontrabili in alcuna Sura del Corano, circa il novanta per cento: «Negli affari sociali e personali siamo obbligati a mettere in atto solo le stipulazioni chiaramente enunciate nel Corano. Così non posso applicare una punizione della Sharia senza una enunciazione coranica chiara ed esplicita della Sunna».

Affermazione importante, segno di una volontà di riformismo coranico volto a emendare la Sharia di molte prescrizioni particolarmente odiose che dovrebbe portare ad abolire alcune leggi islamiche come la flagellazione, la lapidazione degli adulteri, l’amputazione delle mani dei ladri, così come leggi del diritto penale islamico quali la messa a morte degli apostati e degli omosessuali. Dunque una riforma tutta interna a una nuova interpretazione della tradizione islamica, sia pure coraggiosa, senza la minima concessione alla concezione occidentale dei diritti della persona e men che meno dei principi universali della democrazia politica. Per quanto riguarda la condizione della donna quindi, la fine di divieti shariatici abnormi, con la possibilità di guidare l’auto da sole o di andare da sole all’estero, in un contesto di timida emancipazione funzionale solo alla nuova vocazione turistica e produttiva del paese.

Forte di questo cambiamento tutto interno alla continuità coranica, saldamente intenzionato a non indebolire neanche pro forma con concessioni democratiche l’enorme potere assoluto della Corona, dopo avere eliminato la fronda dei principi a lui avversa nella Corte con il carcere, con l’esilio o col sequestro di immensi patrimoni, Mohammed bin Salman è certo di succedere presto come re e sovrano assoluto a suo padre, il malatissimo Salman bin Abdulaziz al Saud (la stessa denominazione ufficiale del paese, caso unico al mondo, è indissolubilmente subordinata alla dinastia regnante). E di sicuro non toccherà mai l’essenza violenta di uno Stato totalitario e illiberale, che uccide e fa a pezzi un oppositore come Jamal Khassogi e che mitraglia e uccide a centinaia gli immigrati clandestini alla frontiera con lo Yemen.

In questo contesto, l’ultimo episodio che ha fatto clamore in Italia, la notizia di una proposta a Roberto Mancini di venticinque milioni l’anno per diventare Ct della nazionale, il secondo più pagato al mondo, per farne una squadra competitiva tra le più quotate del pianeta, è solo una piccolissima parte dei programmi faraonici che Mohammed bin Salman sta attuando. Nel solo settore dello sport nel complesso l’Arabia Saudita negli ultimi tre anni ha infatti investito ben cento miliardi di dollari, riuscendo persino ad accaparrarsi, in uno dei paesi più caldi al mondo, i Giochi invernali asiatici del 2029.

Il cuore della riforma di Mbs resta l’Aramco: estrae il dieci per cento del petrolio del pianeta, produce il quaranta per cento del Prodotto interno lordo saudita, ed è stata ormai trasformata in una conglomerata globale dal valore di duemila miliardi di dollari e che si accinge a mettere sul mercato borsistico internazionale per drenare capitali per finanziare la nuova strategia di sviluppo non più petrolio-dipendente.

Forte della disastrosa è fallimentare esperienza algerina di superare la monocultura petrolifera con mega progetti di industrializzazione di base ispirati da economisti para sovietici della Rive gauche, Mohammed bin Salman intende diversificare l’economia saudita trasformando il paese in un hub energetico regionale basato anche sul nucleare (da qui le trattative con la Cina o con gli Stati Uniti per la fornitura delle tecnologie) e sull’idrogeno, sull’Hi Tech (da qui il suo interesse per un accordo storico con Israele), sull’immobiliare fantascientifico con l’edificio-città Neom lungo centoventisette chilometri per una superficie di ventiseimila e cinquecento chilometri quadrati (progetto tutto d’immagine, che stenta a decollare) e col turismo. Abbattuti i pregiudizi medioevali wahabiti e messi con le cattive al loro posto gli ulema conservatori, il paese si appresta infatti a mettere a disposizione del turismo internazionale stupendi siti archeologici (alcuni di età romana) e naturalistici.

Riforme di tutti i tipi, dunque. Ma mai, assolutamente mai, riforme democratiche.

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