I miserabili Il destino segnato dei collaborazionisti ucraini alleati di Putin

Gli oligarchi coinvolti nell’occupazione russa della Crimea e del Donbas sono accusati di tradimento in Ucraina, sanzionati in occidente e cercano un ruolo nel sistema del Cremlino, ma il regime li guarda con sdegno e sospetto

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Fin dall’annessione illegale della Crimea e la guerra ibrida scatenata nel Donbas nel 2014 la Russia ha integrato i collaborazionisti delle élite politiche ucraine locali nelle nuove strutture di potere, un processo che con l’invasione su larga scala del 2022 è diventato più vasto, esplicito e intenso. Per queste persone non c’è modo di tornare indietro: in Ucraina sono considerati dei traditori, in Occidente sono soggetti a sanzioni individuali, per il resto del mondo sono poco più che delle nullità.

La loro unica opzione è trovare un posto di rilievo nel sistema politico o negli apparati dello Stato della Federazione Russa, il paese di cui ora fanno (illegalmente) parte. Ma in un momento di restrizioni economiche, incertezze per il futuro e sospetti reciproci il sistema di lunga data dei clan politici del Cremlino è riluttante nell’ammettere nuovi membri, specialmente se si tratta di persone che hanno tanto da chiedere e poco da offrire. 

Nonostante le annessioni territoriali e le dichiarazioni retoriche firmate da Vladimir Putin su come russi e ucraini siano “un unico popolo”, a Mosca nessuno vede le regioni ucraine annesse alla Russia come parte della propria nazione, ma solo come brandelli di territorio strappati all’Ucraina per umiliarne le aspirazioni di libertà, identità e indipendenza nazionale. 

I collaborazionisti ucraini sono principalmente ex membri di rilievo dei partiti filorussi della politica ucraina pre-bellica, piccoli oligarchi in affari con alcuni magnati russi e funzionari statali corrotti che sono riusciti a scalare le gerarchie del potere locale. 

Secondo Konstantin Skorkin, analista del Carnegie Endowment for International Peace, questi gruppi condividono un destino che dipende interamente dall’esito della guerra e la consapevolezza che se la Russia viene sconfitta per loro è la fine, ma le realtà territoriali in cui si muovono sono troppo diverse per presentarsi come fronte unitario che rivendica i propri interessi nei confronti di Mosca. 

La realtà dell’Ucraina occupata può essere divisa in tre parti: la penisola di Crimea, le due “repubbliche popolari” del Donbas, e le regioni (oblast) di Kherson e Zaporizhzhia.

Il gruppo più privilegiato è quello dei collaborazionisti in Crimea, da sempre una regione di grande importanza strategica per Mosca che nel 2014 è stata velocemente annessa alla Russia con un referendum farsa, e dove fin dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica esiste un élite locale etnicamente russa. 

Sono rappresentati da Sergei Aksyonov, da nove anni governatore della penisola. Aksyonov è un russo nato nella Moldavia sovietica e cresciuto in Crimea, nel 2010 diventò membro del parlamento locale per rappresentare la comunità russa, da sempre è schierato dalla parte di Putin.

Intorno a lui si è costruito un gruppo strutturato, che ha messo insieme le élite russo-ucraine locali e alcune persone vicine al regime dell’ex presidente ucraino Viktor Yanukovich fuggite in Crimea dopo la rivoluzione di Euromaidan. Pertanto si tratta di un gruppo realmente vicino a Mosca, che governa un territorio dove la maggioranza della popolazione non è apertamente ostile, e che finora non è stato coinvolto negli scontri diretti tra carri armati e soldati, né allo spostamento delle linee di contatto e alla ferocia della guerra di attrito che caratterizza le altre regioni.  

La posizione di chi governa il Donbas è molto diversa. Mosca ha sempre tenuto a debita distanza le due repubbliche fittizie di Donetsk e Luhansk, che probabilmente nelle intenzioni iniziali di Putin dovevano restare gli strumenti di una guerra per procura contro lo Stato ucraino fino all’istallazione a Kyjiv di un regime pro-Cremlino. 

Per tenerle sotto controllo la Russia ha elevato a leder politici dei personaggi marginali, e anche dopo l’annessione dell’anno scorso ha continuato a usare le milizie locali come carne da cannone, fino a ridurle all’irrilevanza – le operazioni più importanti sono state affidate ai mercenari della Wagner e ai soldati ceceni.

I ministri più importanti dei governi di Donetsk e Luhansk sono funzionari russi nominati dal Cremlino, gli ucraini che ne fanno parte sono consapevoli che qualsiasi passo falso diventerebbe l’occasione per una repulisti su vasta scala che porrebbe fine allo status speciale del Donbas, che per loro rimane l’unica realtà dove possono sperare di esercitare potere. 

Ad affrontare la sfida più dura però sono gli ucraini che governano gli oblast di Kherson e Zaporizhzhia. Questa è una zona di prima linea, conquistata solo parzialmente dai russi, dov’è presente una rete di partigiani che conduce operazioni di sabotaggio e tentativi di eliminare (a volte riuscendoci) i funzionari nominati da Mosca. Qui la popolazione è diffusamente ostile agli occupanti, non c’è un sentimento filorusso da coltivare né una milizia locale, la sicurezza dei collaborazionisti dipende interamente dai soldati russi. 

I due centri di gravità sono i governatori ad interim Yevgeny Balitsky a Zaporizhzhia e Vladimir Saldo a Kherson. Entrambi hanno un passato nella politica locale pre-bellica, e i loro entourage includono ex membri del regime di Yanukovich. Questi individui sanno benissimo che il loro destino è appeso a un filo, se la controffensiva avrà successo i territori che governano saranno i primi a essere riconquistati da Kyjiv, e loro verranno dimenticati da Mosca.

Fatta eccezione per la Crimea, le aspirazioni degli ex politici ucraini di essere trattati alla pari dai russi non si sono realizzate mentre i rischi della loro scelta crescono ogni giorno. Anche se la Russia riuscisse a mantenere il controllo di tutti i territori occupati con un armistizio o un cessate il fuoco, i governatori locali si troverebbero ad amministrare delle città ridotte in macerie circondate da postazioni militari e campi minati, una realtà ben diversa dalla spartizione di potere e ricchezze che probabilmente avevano immaginato all’inizio dell’invasione.

Sia nel 2014 che nel 2022 la Russia non è riuscita a dividere le élite ucraine, anche la maggior parte degli oligarchi e dei politici filorussi dell’Ucraina orientale – che guardavano a Putin come un garante – non volevano subire un’invasione militare. In entrambe le occasioni solo una piccola minoranza (la più miserabile) si è schierata dalla parte di Mosca, in entrambe le occasioni la Russia ha sottovalutato la forza dell’identità nazionale dell’Ucraina.