Autunno 2022. Elon Musk completa l’acquisizione di Twitter e, di punto in bianco, licenzia i due capi del team che si occupava di sostenibilità, silenziando di fatto l’account deputato a dare voce ai membri della società civile presenti in Egitto per la Cop27. Una scelta tecnica e imprenditoriale solo all’apparenza, considerando che nel giro di pochi mesi – oltre a cambiare nome e a perdere due terzi del suo valore economico – la piattaforma fondata nel 2006 si è trasformata in un luogo ostile per fare divulgazione sui temi climatici e ambientali.
Le nuove (blande) politiche di moderazione di Musk hanno favorito la crescita di profili falsi creati appositamente per diffondere informazioni fuorvianti e anti-scientifiche sul riscaldamento globale, spesso condite da termini diventati virali come #climatescam (truffa climatica). Secondo un report della Climate action against disinformation (Caad), questo hashtag è apparso spesso in evidenza nonostante fosse meno utilizzato rispetto ad altre chiavi di ricerca. Un fenomeno che sfugge alle classiche regole degli algoritmi social.
Dall’altra parte, i contenuti green sembrano avere una risonanza sempre minore. Un’analisi di Berkeley earth, non profit statunitense specializzata in analisi e aggregazione di dati ambientali, ha mostrato che i tweet degli scienziati del clima hanno perso engagement con l’arrivo di Musk: i Mi piace sarebbero calati del trentotto per cento e i retweet del quaranta per cento.
«Le comunicazioni sul clima su Twitter sono meno utili perché trovo che i miei tweet ottengano meno engagement. In risposta a quasi tutti i tweet sul cambiamento climatico, sono sommerso da risposte di account verificati con affermazioni fuorvianti o scorrette», dice Andrew Dessler, professore di scienze atmosferiche alla Texas A&M University, a France24.
Non è tutto. Da quando il Ceo di Tesla e SpaceX ha preso le redini della piattaforma, i tweet che negano la responsabilità antropica dietro l’emergenza climatica stanno proliferando. Stando a una ricerca dell’University of London, nel 2022 i contenuti di questo tipo hanno raggiunto il massimo storico, superando quota ottocentocinquantamila nell’arco dei dodici mesi (seicentocinquantamila nel 2021 e duecentoventimila nel 2020).
Il dibattito scientifico sulla crisi climatica è ormai chiuso, ma quello mediatico è ancora (purtroppo) apertissimo e l’imprenditore sudafricano vuole cavalcarlo fino in fondo, senza regole. Il risultato è che gli esperti di clima e ambiente si sentono inascoltati, poco rispettati e vulnerabili agli insulti di profili spesso falsi e con nomi di fantasia. E quindi migrano verso altre piattaforme come Substack, Mastodon, LinkedIn, Threads o TikTok.
È una tendenza preoccupante perché i social media sono uno spazio fondamentale per creare consapevolezza sui problemi del nostro tempo, specialmente se globali, urgenti e pervasivi come la crisi climatica. Su X, invece, si parla sempre meno – e peggio – di ambiente.
A testimoniarlo è un recente studio pubblicato sulla rivista Trends in Ecology & Evolution. Gli esperti hanno monitorato più di trecentottantamila «environmentally oriented users», utenti attivi con delle competenze sulle tematiche verdi, scoprendo che il 47,5 per cento del campione ha smesso di twittare da quando Musk ha acquistato Twitter. Si tratta di un tasso d’abbandono più elevato rispetto ad altre categorie di profili.
Gli esperti hanno usato come gruppo di controllo un campione di quattrocentocinquantottomila utenti attivi nel campo della politica, escludendo poi diciassettemila account che si sovrapponevano per temi studiati e trattati.
Dai risultati è emerso che, da ottobre 2022 ad aprile 2023, la percentuale di utenti è diminuita in entrambi i gruppi, ma a ritmi ben diversi. Solo il 52,5 per cento degli esperti di clima e ambiente era ancora attivo quotidianamente: una cifra molto più bassa rispetto al 79,4 per cento riferito agli esperti di politica. «I nostri risultati aumentano le preoccupanti segnalazioni sulla crescente disinformazione sui cambiamenti climatici all’interno della piattaforma», scrivono gli autori su Trends in Ecology & Evolution.
Gli esperti segnalano una progressiva scomparsa della «comunità ambientalista» che si è formata su Twitter negli ultimi dieci anni. Si tratta di un gruppo che comprende ecologisti, scienziati, professionisti nella conservazione della biodiversità e altri gruppi di interesse. I ricercatori hanno definito l’esodo una «minaccia esistenziale alla diffusione di informazioni capaci di mobilitare un pubblico diversificato».
Il trend è stato confermato da un altro sondaggio di Nature. Negli ultimi sei mesi, più della metà degli scienziati intervistati (poco meno di novemiladuecento) ha ammesso di aver ridotto il tempo trascorso su Twitter, mentre quasi il sette per cento ha smesso di utilizzare la piattaforma.
Il futuro di X come “luogo” di sensibilizzazione, informazione e ricerca è quindi sempre più precario, come dimostrano le parole dello scienziato ambientale americano Peter Gleick (100.745 follower): «Non posso più rimanere attivo qui. Musk e le sue truppe d’assalto a scacchi blu hanno completato la trasformazione di Twitter in un pozzo nero tossico, pieno di odio, razzista, sessista e antisemita. Non pubblicherò nuovi contenuti tranne le informazioni sul mio nuovo libro».